domenica 22 marzo 2009

Vittorio Melandri: Fratelli d'Italia

Il nostro Inno nazionale non gode di buona fama letteraria e c’è chi anche musicalmente lo ritiene brutto, senza tentennamenti. Credo però non sia difficile riconoscere che quando nel 1847 Mameli e Novaro scrissero le parole e la musica, i sentimenti e le ragioni che dettarono le une e l’altra, erano ispirati da sensibilità e idee affatto diverse da quelle di oggi. Nell’ultimo domenicale del fondatore de la Repubblica (22 marzo 2009), mi è capitato di avvertire una eco del nostro bistrattato Inno nazionale. Laddove Eugenio Scalfari si riferisce alla “incompatibilità degli italiani nei confronti dello Stato”, ad un “popolo che ha rinunciato ad esser popolo”, come evitare che spinta da queste parole la memoria vada ai primi versi della seconda strofa di “Fratelli d’Italia”: “noi siamo da secoli/calpesti, derisi,/ perché non siam popolo,/perché siam divisi”. Certo è vero che ci si guarda bene oggi dal cantarla questa parte dell’Inno, ci si ferma sempre prima, salvo ripetere i primi versi per tirarla un poco più in lungo, ma basta andare sul sito della Presidenza della Repubblica per rinfrescarsi la memoria. Nello stesso sito, si trova anche un puntuale chiarimento sul “chi è” il “Ferruccio” che compare nella penultima strofa. Nel sito è annotato infatti che si tratta del capitano Francesco Ferrucci che già ferito gravemente viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo straniero, al quale rivolge le parole d’infamia divenute celebri “tu uccidi un uomo morto”. Il possibile parallelo, da un lato, fra Maramaldo­ e Berlusconi (quest’ultimo a differenza del primo, non al soldo dello straniero, ma solo al soldo dei soldi), e dall’altro lato fra Ferrucci e il Popolo Italiano, entrambi feriti a morte, si esaurisce al momento di tirare le conclusioni. Oggi infatti e purtroppo, la maggioranza del Popolo Italiano/Ferrucci anziché rivolgersi al Berlusconi/Maramaldo, con la frase del tipo fiero, tu uccidi un popolo morto, gli si inginocchia ai piedi servile e adorante, immemore dei sacrifici sin qui fatti da tanti suoi “fratelli”, per fare dell’Italia uno Stato, degli Italiani un Popolo. E la minoranza del Popolo Italiano/Ferrucci non sa far di meglio che “maramaldeggiare” con le ombre lunghe dei suoi mediocri condottieri, salvo nemmeno dimostrarsi capace di disarcionare almeno questi cavalieri già di loro appiedati. Ed oggi, oltre a non essere pronti alla vita, come dimostra il dibattito attorno al “testamento biologico” in corso in un Parlamento prono ai voleri di uno “Stato straniero”, non siamo nemmeno “pronti alla morte”.



Vittorio Melandri

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