Dal sito di SD
Perché Sinistra e perché Libertà
di Massimo Mezzetti*
Mer, 18/03/2009 - 07:09
Se, come il Di Vittorio bambino nella recente fiction televisiva, andiamo a leggere, nel “libro che contiene tutte le parole del mondo”, alla voce “Libertà”, troveremo scritto: “Stato di chi è libero; condizione di chi ha la possibilità di agire senza essere soggetto all'autorità o al dominio altrui; diritto di operare le proprie scelte e di agire secondo le proprie convinzioni senza ledere gli altrui diritti e rispettando le regole di un sistema organizzato”.
La stretta coniugazione di libertà e di giustizia, il rispetto dei diritti dei singoli e l'attenzione all'interesse generale, l'affermazione della pari dignità ed uguaglianza di ogni per¬sona e insieme della comune solidarietà sono alcuni degli aspetti princi¬pali della nostra Costituzione (non tutti ancora pienamente attuati), che riflettono i valori più genuini dell'antifascismo e della Resistenza e sui quali è venuto costruendosi il tessuto della vita sociale e politica della Re¬pubblica italiana in quest'ultimo sessanten¬nio.
La Co¬stituzione italiana non ha infatti soltanto il carattere di car¬ta delle “regole”, che devono presiedere al corretto funzionamento delle istituzioni pub¬bliche, ma è anzitutto carta dei “valori”, che definiscono il senso dell'appartenenza collet¬tiva, e sono pertanto destinati a creare le condizioni per una ordinata convivenza civile.
Il contributo distintivo della sinistra è sempre stato e deve tornare ad essere quello di formare una coscienza della responsabilità individuale di fronte alla comunità. Ma questo fcimento deve oggi trovare, a mio avviso, una innovata capacità di fondarsi sulla capacità di accompagnare, alla tradizionale lotta per i diritti, la nozione di dovere all'interno della stessa società. Se bisogna coltivare il senso di responsabilità, occorre allo stesso tempo accompagnarlo alle opportunità.
C'è un accordo tra la società e ciascuno dei suoi individui entro cui devono essere definiti tutti i compiti, sia quelli della società verso il cittadino che viceversa.
Il senso del dovere è la chiave di volta per una società decente e va oltre l'individualismo; definisce infatti il contesto in cui vengono date certe regole.
E’ un concetto personale ma è anche un obbligo verso la società. Il rispetto ed il senso di responsabilità verso gli altri sono un pre-requisito importante per una comunità forte ed attiva.
E’ il mezzo con cui possiamo costruire una società che non soffoca il nostro individualismo ma gli permette di svilupparsi in modo sano. Esso accorda l'istinto con il senso comune; permette di giungere ad una nozione della natura umana più ampia e conseguentemente più accurata di quella formulata sul gretto interesse personale.
I diritti di cui godiamo riflettono i doveri che dobbiamo osservare. I diritti e le responsabilità dell’individuo rappresentano un punto cruciale che accompagna l’idea moderna di comunità.
L’accettazione del dovere senza la libertà è schiavitù, e la libertà senza obbedienza alle regole che ci si è dati democraticamente è arbitrio. E’ il modello di libertà che accompagna la nuova destra italiana: strano impasto di libero arbitrio, neoautoritarismo e populismo. Al contrario, il dovere vincola la libertà e questa nobilita quello.
Diventare liberi non significa diventare grandi nel mondo, diventare liberi contro l’altro da se; significa diventare liberi da se stessi, dalla menzogna che mi fa credere che ci sono solo io, che sono io il centro del mondo; liberi dall’odio che ci fa annientare la natura; liberi da se stessi per gli altri.
Allora da tutto ciò si comprende come il reale significato di cittadinanza è il diritto di partecipazione ad una società in cambio del dovere di agire con responsabilità nei confronti di essa.
Per avere successo dobbiamo invece cooperare. Dobbiamo avere coscienza che la nostra prosperità è intimamente legata alla prosperità di coloro che ci stanno attorno.
Dobbiamo capire che condividere un senso di appartenenza alla società che ci circonda è una parte essenziale per risolvere i problemi comuni.
Insomma, non è sufficiente il discorso sulle regole della democrazia, che quotidianamente occupa il dibattito politico, ma è forte l’urgenza della ricostruzione di un’etica pubblica.
L’etica pubblica perimetra l’area della condivisione, della comune lealtà civile, fissa e custodisce i termini del patto in cui ci impegniamo a modellare le nostre forme di vita collettiva e le comuni istituzioni entro cui perseguire i nostri differenti obiettivi, ideali o interessi.
Ma una tale idee di etica pubblica non può non derivare da una profonda affermazione di una cultura della responsabilità individuale, da una maggiore coscienza dell’appartenenza della singola persona ad una comunità di uomini liberi.
Occorre lavorare su questa linea, per portare tutti a prendere parte attiva alla vita sociale, per rendere a tutti il gusto e il senso della politica, per rigenerare, dentro il moto di un collettivo rinascimento, nuovi circuiti di selezione dei ceti dirigenti.
La Sinistra non può, anche in questo inizio di nuovo millennio, non coniugare i tratti di un’etica per la politica con i valori della nostra tradizione culturale che, malgrado le distorsioni e i compromessi della sua storia, rimangono forti e validi.
Il contesto però è radicalmente mutato.
La libertà è più fragile che mai e necessita di nuove forme espressive e di protezione.
Le questioni della giustizia sociale le quali richiamano il valore forte dell’eguaglianza, contro un’esaltazione unilaterale del principio di libertà, che si riduce, talora, ad una concezione della società che ne fa un puro spazio di sopravvivenza degli individui abbandonati alle proprie “capacità” da uno Stato “minimo” che si limita a garantire la correttezza formale della gara: quasi che le posizioni di partenza fossero uguali e le possibilità individuali fossero le stesse per tutti.
Compito della Sinistra deve essere il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze, ma quando le differenze diventano status, definitive per la vita, si creano fratture sociali e disuguaglianze intollerabili.
E allora sta alla Sinistra esprimere la capacità di elevare gli svantaggiati in termini più egualitari, cioè come pari opportunità di autorealizzazione e benessere, di influenza politica e status sociale. Ma oggi l’eguaglianza deve includere altre nozioni come quelle di razza, cultura e sesso; rinasce così in forme nuove il bisogno di giustizia, così come prende forme nuove il diritto al lavoro, così come crescono nuove domande, quella del sapere, quella di servizi che funzionino.
Di conseguenza la fratellanza deve lasciare spazio a forme più ampie di solidarietà. Le preoccupazioni ambientali devono entrare a far parte integrante di ogni politica e i bisogni dei posteri devono essere tenuti in considerazione ogni qual volta si prende una decisione.
Le ragioni della Sinistra vivono in una idea dello sviluppo che contiene dentro se stesso, nell’atto in cui si svolge, i meccanismi di regolazione per non distruggere le fonti della vita, per impedire le diseguaglianze più gravi, quelle che si perpetuano nel tempo.
Valori e idee devono essere per noi ancora alla base delle scelte politiche, che altrimenti sarebbero esclusivo dominio dei tecnocrati. Valori e idee danno forma ad un movimento politico e danno significato al suo programma.
Ha davvero ragione Norberto Bobbio nell’affermare che fino a che vi saranno uomini il cui impegno politico è mosso da un profondo senso di insoddisfazione e di sofferenza di fronte alle iniquità della società contemporanea, questi terranno in vita gli ideali che hanno contrassegnato da più di un secolo tutte le sinistre della storia.
Benjamin Constant - un padre del liberalismo - tessendo l'elogio delle libertà personali, private, metteva in guardia contro il rischio che “assorbiti dalla nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, noi possiamo rinunciare troppo facilmente al nostro diritto di partecipare al potere politico”. E invitava a non lasciare la politica - mezzo per dare la felicità ai popoli - nelle mani delle “autorità”, come pure esse vorrebbero. Un secolo dopo, gli fece eco lo scrittore Paul Valéry quando maliziosamente definiva la politica - quella di chi detiene il potere - come «l'arte di impedire alla gente di occuparsi di quel che la riguarda». Contro quel tipo di politica, un'intera tradizione di pensiero, da Aristotele a Hannah Arendt, ha proposto una politica fatta di partecipazione, una politica di cui non è sufficiente ricercare il fine e lo scopo, ma a cui occorre dare «un senso», come scrive appunto la Arendt: “Intesa così - e soltanto così - la politica non può non costituire la preoccupazione di ogni uomo libero”.
Coordinamento nazionale SD
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