Da Reset
Democrazia e dissenso
[ EN ]Nadia Urbinati
Il cittadino democratico, sul cui voto si regge la legittimità dell’intero meccanismo politico, é chiamato a ragionare con la propria testa (e a votare in solitudine e come singolo), ad associarsi agli altri per scambiarsi conoscenze e opinioni, a cambiare idea e ricambiarla ancora, se necessario. Il dissenso é una virtù costitutiva della democrazia. Anziché corrodere i sentimenti sociali, come gli autoritari e i conservatori pensano, esso rafforza la simpatia e la cooperazione tra i cittadini. Il dissenso é rivelatore di una fondamentale lealtà a un paese, una società, una comunità.
Le società umane sono tenute insieme da qualche cosa di piú della convenienza, del calcolo o della minaccia della pena. C’é nella costituzione dello stato, di quello democratico certamente, qualcosa che é permanente, che non deve mai essere messo in discussione e che le istituzioni politiche devono proteggere e preservare. Una costituzione democratica é infatti molto di più di una carta scritta. Essa presuppone la lealtà culturale e morale a certi valori. Il tipo di lealtà o sentimento di fedeltà consiste in un impegno esplicito verso i fondamenti ideali che la legge dello stato incorpora. La forza di questo ethos meta-giuridico si riflette nel modo con cui le procedure funzionano e i cittadini interagiscono nella vita quotidiana. Questo principio é la sovranità dell’individuo, di ciascun individuo, dal quale discende la sovranità del giudizio politico individuale.
La sovranità del giudizio individuale é il principio che giustifica il governo democratico, che é governo per mezzo della discussione, ed é il punto fisso (ciò che le persone convengono a tenere “come sacro”) che tiene insieme la società democratica. Come comune riconoscimento, esso è oltre la discussione. Non si tratta semplicemente di un principio di moralità privata, ma é un valore che dà alla democrazia la sua propria specificità etica. Soprattutto, non si tratta di un principio astratto o di un fondamento metafisico, ma invece di una graduale acquisizione della civiltà, immanente alla storia umana nei suoi fondamenti e per questa ragione capace di radicarsi idealmente nel profondo della psiche come a diventare un abito morale ovvero senso comune.
Nella società democratica, il valore dell’individualità acquista legittimità morale e codificazione giuridica per effetto della pratica di relazione degli individui come relazione di eguaglianza tra diversi. Esso si esprime sia in forma etica (come sentimento di simpatia e cooperazione) sia in forma legale (come diritto alla libertà individuale e all’eguaglianza politica e sociale). Queste due facce insieme compongono ciò che possiamo chiamare la costituzione morale democratica. In una democrazia rappresentativa, questa costituzione morale permea e orienta la competenza deliberativa dei cittadini e, contemporaneamente, protegge l’ordine politico e legale sia dalle inclinazioni illiberali delle maggioranze forti e arroganti sia dalle inclinazioni anti-egualitarie che gli interessi economici e corporativi generano.
La moralità costituzionale della società democratica stabilisce anche i limiti della tolleranza, del pluralismo e della libertà del dissenso. In una democrazia costituzionale a ciascuno è garantita la libertà legale di contestare anche i principi fondamentali. Tuttavia, mentre la costituzione difende la libertà di dissenso, i cittadini e la società devono poter e saper sviluppare sentimenti civili non distruttivi del tessuto sociale. I limiti morali della libertà individuale e della tolleranza garantiti dalla costituzione democratica sono o dovrebbero essere intrinseci all’ethos che pervade la democrazia stessa. Questo ethos fa perno sull’individuo come bene primario e implica un abito mentale essenzialmente socratico. Al suo centro sta la persona, non semplicemente come un agente razionale mosso da preferenze, ma come un individuo che ha il diritto di chiedere ragione per l’obbedienza che deve alle leggi dello stato.
Non a caso, le istituzioni deliberative democratiche sono strutturate sul presupposto della libera discussione e della formazione pubblica della volontà e del giudizio, attraverso la libera circolazione delle idee e il pluralismo dei mezzi di informazione; e infine attraverso la libertà di associazione e di esposizione delle proprio opinioni. Il cittadino democratico, sul cui voto si regge la legittimità dell’intero meccanismo politico, é chiamato a ragionare con la propria testa (e a votare in solitudine e come singolo), ad associarsi agli altri per scambiarsi conoscenze e opinioni, a cambiare idea e ricambiarla ancora, se necessario. Infine, a contestare chi detiene il potere. In sostanza, le istituzioni democratiche di deliberazione sono così concepite da educare gradualmente i cittadini a riconoscere che possono cambiare opinione, a dare valore al loro diritto a mettere in discussione l’autorità e a domandare perché devono obbedire o condividere o credere; infine a chiedere conto a coloro che nel loro nome governano o siedono in parlamento.
Come si può facilmente intuire, sovranità dell’individuo e dissenso sono inscindibili nella società democratica. Non solo o semplicemente perché il dissenso é in funzione anti-autorità o come reazione al potere della maggioranza. Proprio perché l’etica democratica é di tipo socratico, per l’individuo l’auto-cultura é una virtù pubblica e privata. Poiché la legittimità democratica si regge sul consenso (che non é mai da confondersi con consensualismo o con il conformismo), l’autonomia di giudizio e il reciproco rispetto delle idee, il dissenso é una virtù costitutiva della democrazia. Anziché corrodere i sentimenti sociali, come gli autoritari e i conservatori pensano, esso rafforza la simpatia e la cooperazione tra i cittadini. La libera discussione pubblica e il dissenso rafforzano infatti l’impegno e le credenze degli individui perché, come tutti ben sappiamo, discutiamo e ci appassioniamo per cose che amiamo e alle quali siamo legati da vincoli più profondi dell’assenso razionale a principi. Il dissenso é rivelatore di una fondamentale lealtà a un paese, una società, una comunità. Anche una comunità religiosa fondata sull’obbedienza a dogmi e l’insindacabile gerarchia dell’autorità interpretativa come la Chiesa cattolica preferisce molto probabilmente credenti attivi e spiritualmente vivaci a credenti apatici e passivi.
Il dissenso mitiga la tendenza all’uniformità culturale inerente alla società democratica e rafforza l’accettazione della regola di maggioranza come un metodo per prendere decisioni che si basa sul riconoscimento dell’eguale fallibilità dei cittadini. Avere un eguale diritto di rivedere opinioni e decisioni é lo stesso che riconoscere che nessuno ha il potere dell’infallibilità e può quindi ragionevolmente pretendere di avere opinioni inconfutabili. Albert Hirschman ha definito non a caso l’atteggiamento di chi mira a “vincere una contesa argomentativa piuttosto che....ascoltare e trovare che si può all’occasione apprendere qualche cosa dagli altri” come quello di una persona predisposta verso una politica autoritaria anziché democratica.
Invece, proprio perché la dimensione della democrazia é dell’opinione, non della verità, il dissenso non solo non é un indicatore di sovversione o disarmonia, ma al contrario é un segno di umile riconoscimento che ogni decisione può essere fatta oggetto di revisione, anche quella che é accettata o votata da una larga maggioranza. La democrazia é l’unica forma di governo concepita così da produrre un processo costante di emendamento delle leggi o delle decisioni prese senza mettere a repentaglio la stabilità dell’ordine civile e legale. Il dissenso é insomma incastonato nel processo decisionale; ne é uno degli elementi essenziali. Si può allora ripetere con John Stuart Mill che “il male formidabile” non sta nel “conflitto ... tra parti della verità”, ma invece nella “quieta soppressione delle mezze” verità. Nonostante i critici della democrazia abbiano insistito a più riprese sulla tentazione conformista di questo modello politico, il principio della sovranità dell’individuo non sottoscrive affatto a un ideale di società armonica, ma di una società che impara a regolare il dissenso senza ricorrere alla forza, usando procedure di composizione dei conflitti per via di libera discussione.
Nadia Urbinati è professore di Teoria politica alla Columbia University di New York. Dirige insieme ad Andrew Arato la rivista Constellations. Tra le sue pubblicazioni, Representative Democracy: Principles and Genealogy (University of Chicago Press 2006). Autrice di saggi sul liberalismo, l’individualismo e Stuart Mill, ha curato e pubblicato in America, per Princeton University Press, il Socialismo liberale di Carlo Rosselli. È inoltre co-autrice di Liberal-socialisti. Il futuro di una tradizione (con M. Canto-Sperber, I libri di Reset, Marsilio, 2003) e di La libertà e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio (Con C. Ocone, Laterza, 2005).
11 Mar 2009
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