L'Italia è cambiata e la sinistra vaga nella nebbia
Se imparerà a muoversi nella nuova realtà e non cercherà solo di raccogliere i cocci della vecchia, può tornare ad abitare la città reale
di Biagio de Giovanni (il Riformista, 26.03.2009)
Muoversi nella foresta, fra alberi e liane, fra ostacoli e dislivelli, impedisce di vedere l'insieme; l'orientamento diventa incerto, il suo camminare a zig zag sembra perdersi in sentieri interrotti, in andirivieni privi di direzione, che potrebbero riacquistare un senso solo se egli, d'improvviso, potesse vedere l'intero, giungere al livello della luce che, illuminando la foresta, gli consentisse di comprendere dove si trova, le distanze, i rapporti di spazio, le relazioni fra le cose.
Il viandante di cui sto parlando è il cittadino italiano di sinistra, che, in questo perdersi fra le liane, in un peregrinare che dura da anni, ha perduto il senso delle cose, vede oggetti che non sa nominare, si esprime per gesti o parole in disuso, incomprensibili agli altri, nomi senza corrispondenza nella realtà, e nomina le cose, e quelle, non sapendo più di chiamarsi così, non rispondono, e rimangono "cose", immobili, indifferenti. Se potessero, ma sono cose, si girerebbero dall'altra parte.
Poi, se all'improvviso avviene quel miracolo, e qualcosa o qualcuno spinge quel cittadino, nel frattempo diventato tendenzialmente apolide, in alto, fino a dominare l'orizzonte, fino a vedere tutta la foresta, capisce che intorno a lui il mondo è cambiato e che, per nominare le cose, deve rimettersi a compitare, riguardare le basi del linguaggio, tornare a lezione dalla realtà. La foresta, in cui il cittadino di sinistra si è disperso, è l'Italia.
Arrivato a livello della luce, egli la vede mutata. Ma che significa che un Paese muta? Non è facile accorgersene. Il panorama, soprattutto nell'immobilismo edilizio degli ultimi anni (siamo nell'età che precede il "piano casa"), è sempre, più o meno, lo stesso. Le case sono lì. Le città, anche. Che cosa significa, dunque, che un Paese muta? Significa che mutano gli orizzonti di idee attraverso i quali quel Paese è interpretato, i sentimenti comuni, i significati delle relazioni fra le cose. Il cittadino si accorge del mutamento anzitutto perché vede rapporti mutati fra luce e ombra rispetto a quelli che ricordava. Capisce che qualcosa di grosso è avvenuto. Alcune cose sono in un cono d'ombra.
La Questione meridionale, scomparsa dal lessico e dall'agenda politica, era il pezzo forte del suo linguaggio, il "dualismo italiano", il punto su cui far leva per unificare l'Italia, e ora non c'è più. Il Mezzogiorno sì, c'è, ma le parole con cui lo si rappresentava non ci sono più. Oggi si immagina il Mezzogiorno come un pezzo dell'Italia federale, e fra le brume quel cittadino riesce a leggere un cartello che dice "nuova responsabilità delle classi dirigenti rispetto alla spesa pubblica" e comprende che qualcosa è mutato, almeno nelle insegne.
Poi vede disegnarsi contorni sfumati dove una volta erano netti. Netti, come i contorni del racconto mitico. Resistenza, antifascismo, Costituzione. Per carità qualcosa si vede all'orizzonte, eppure tutto appare indistinto.
Il posto "antifascismo" (ricordate? La seconda, terza, quarta tappa della rivoluzione antifascista...) è vuoto, perché si è svuotato quello correlativo che si chiamava fascismo. La massa di uomini che lo presidiava ha trasmigrato e si confonde con tutto il resto, e dove si perde la contrapposizione ogni cosa sfuma nell'indifferenza. Qualcuno rimane a presidio del bastione, ma si ha l'impressione che sia un eremita isolato dal mondo. Il suo grido, perché ogni tanto grida, si perde in una valle senza echi.
La Resistenza è lì, ma le linee sono un po' confuse, le masse una volta distinte di vincitori e di vinti si sono mescolate; nessuno nega che ci sia stata, ma essa non taglia più in modo netto l'orizzonte, e diventa magmatica, non riesce più a essere il sostegno di tutto: la Resistenza si allarga alle foibe, e ogni cosa cambia.
E infine la Costituzione. Quella c'è, ma colonie di formiche (le temute termiti) penetrano nei fogli e ne intaccano i margini. Poi, il cittadino, sorpreso di questo, nota che gli assembramenti sono diventati rari, ciascuno cammina per conto suo frettolosamente, corre verso casa per non perdere la puntata della fiction.
Le città sono punteggiate da piccole zone di oscurità e, facendo mentalmente i conti, quel cittadino si ricorda che erano le sedi dei partiti dove si discuteva del mondo. Ora, qualche punto-luce si vede ancora, ma dentro c'è una sola persona che parla a sé stessa, realizzandosi così, ma in modo un po' sinistro, la auspicata identificazione di governanti e governati.
La realtà, insomma, è la stessa: le case, le strade, le piazze; ma nello stesso tempo tutto è cambiato. Quando qualcuno (e fra gli altri il sottoscritto, che lo argomenta in un libro) dice che la destra, in Italia, ha sconfitto l'egemonia della sinistra, e può perfino raccoglierne al proprio interno una parte di eredità come fa Gianfranco Fini, e che perciò il suo governo sarà di lunga durata, è a tutte queste cose che pensa, e a tante altre che potrebbero aggiungersi: la crisi di vecchi stilemi, la divisione e il ruolo dei sindacati etc.
Se il cittadino di sinistra imparerà a muoversi in questa nuova realtà e non cercherà solo di raccogliere i cocci della vecchia, nulla può impedire che egli torni ad abitare la città reale. Giacché dentro quelle rappresentazioni si addensano nuovi problemi, nuove zone di oscurità dalle quali qualche luce può tornare a farsi vedere.
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