sabato 12 marzo 2022

Franco Astengo: Ucraina, i sensi di colpa che aleggiano sul nostro pensiero

UCRAINA: I SENSI DI COLPA CHE ALEGGIANO SUL NOSTRO PENSIERO di Franco Astengo Esiste ancora la possibilità di condannare la guerra come “orrore in sé”? Nazionalismo e imperialismo sono ancora termini di attualità nel nostro lessico? Nella tragedia ucraina sicuramente il dibattito in corso nella residuale sinistra italiana non costituisce il punto di maggiore interesse. Eppure, come sempre è accaduto in analoghi frangenti (sia pure di diversa natura), rimangono nodi da risolvere che pure rappresentano questioni poste in profondità nello sviluppo del pensiero e nella capacità di determinare opinioni, presenza, impegno. Allora vale ancora la pena di soffermarcisi un attimo. In questa difficoltà di confronto si colloca, infatti, anche l’addio al “Manifesto” di un pacifista come Manlio Dinucci e del dialogo intessuto, nell’occasione, con Tommaso Di Francesco: il “casus belli” ( che ha causato il danno collaterale dell’abbandono di Dinucci dal giornale) riguarda il giudizio di un articolo denunciato, dalla direzione del giornale, come “ambiguo” nei riguardi di una possibile “legittimazione oggettiva della guerra russa”. Il tema spinoso, come spiega del resto Di Francesco, è quello del “limite” nella spiegazione delle origini del conflitto, delle complicità che si intrecciano attorno ad esso, oltre che l’individuazione della responsabilità occidentali”. Tutto ciò si connette con un altro passaggio della discussione in corso a sinistra: quello insorto tra l’ANPI e i contenuti espressi in un articolo di Luigi Manconi al riguardo della distribuzione di armi alla resistenza ucraina che Manconi paragona (del tutto impropriamente) ai “lanci” eseguiti dagli Alleati verso le formazioni partigiane durante la seconda guerra mondiale. Su questo argomento nello stesso numero del Manifesto ( 11 marzo) interviene Sandro Portelli che conclude “Abbiamo troppo interiorizzato una mentalità agonistica e non dialogica: sì green pass o no green pass, o servi di Putin o servi della Nato, o di qua o di là e che si sta di là è un nemico immorale. Siamo tutti convinti che l’aggressione deve finire e si deve raggiungere un compromesso. Discutiamo e litighiamo fra noi sui mezzi per arrivarci ma non dimentichiamo ciò che unisce e rende possibile parlarsi. E ascoltarsi”. Rispetto a questo tipo di argomentazioni commentatori benpensanti hanno trovato anche il riecheggiare dell’antico “né con lo Stato, né con le BR. Mi sono permesso di prendere spunto da questi due episodi, ripeto di dimensione infinitesimalmente ridotta rispetto all’entità della tragedia, al fine di sollevare alcuni spunti di riflessione: 1) L’assenza di una iniziativa politica per la pace deriva dalla riduzione della politica a “governo”; 2) La complessità delle contraddizioni in atto renderebbe necessaria una rielaborazione non escatologica della “morale” e l’idea di una politica non ridotta sempre e comunque all’arte del possibile. Una sorta di ritorno alla “Critica della ragion pratica” con la possibilità di esprimere una legge morale che ci consenta di guardare ancora all’Utopia andando oltre ai tanti sensi di colpa che aleggiano sul nostro pensiero.

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