lunedì 2 novembre 2020

Franco Astengo: La questione del partito

SINISTRA : LA QUESTIONE DEL PARTITO di Franco Astengo In una fase nella quale molti argomenti meriterebbero una sede di adeguato approfondimento sia sul piano politico sia su quello istituzionale/costituzionale Massimo D’Alema ha provato a mettere i piedi nel piatto di una questione che a sinistra, pur da qualche parte evocata, non si è avuto il coraggio di affrontare ormai da diverso tempo: la questione del partito. D’Alema lo ha fatto, in un’intervista rilasciata a Umberto De Giovannangeli e apparsa sabato 31 ottobre sul “Riformista”. Titolo, sotto titolo e catenaccio rendono bene la sintesi del suo pensiero: “Il PD è nato male, la sinistra senza ideologia non ha futuro. Serve una nuova forza con una visione del mondo. L’idea di un partito post-ideologico, programmatico, era sbagliata: non è adeguata allo spessore della crisi che viviamo. L’americanizzazione della politica non funziona. Il partito delle primarie rinuncia a formare la propria classe dirigente e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”. Nel resto dell’intervista troviamo molti punti opinabili e scarsi accenni all’autocritica (che non è mai stata l’aspetto più forte di D’Alema): in particolare appare discutibile l’idea di restringere l’ipotesi di costruire una sinistra democratica fondata su welfare e stato sociale nella quale si mantengono vive la tradizione socialista e quella cattolica. Sotto questo aspetto, anche nelle considerazioni di D’Alema, pare mantenersi il ritardo fin qui accumulato a sinistra nella ricerca di un nuovo intreccio tra le contraddizioni “storiche” e quelle emergenti nel post- materialismo e nel dopo – modernità sul terreno tecnologico, ambientale, della differenza di genere da indicare come nodi irrisolti nella nostra capacità d’elaborazione. Nell’occasione però è necessario andare al punto centrale della questione che, a mio giudizio, risiede in un altro aspetto toccato dall’intervista : “..oggi se ne possono fare 100mila, 150mila (iscritti n.d.r) ? Benissimo è un punto da cui partire, a patto che siano veri però. Bisogna costruire un partito iniziando una discussione sull’identità di una sinistra democratica oggi..”. La questione diventa allora oggi come porre all’ordine del giorno la questione partito senza che questa rimanga relegata in un’intervista. Siamo dentro all’incognita dell’emergenza sanitaria e non è possibile avanzare proposte in questo senso. Mi limito allora a ricordare i punti iniziali della proposta redatta con Felice Besostri lanciando l’idea del “Dialogo Gramsci – Matteotti” augurando che ci sia chi raccolga l’invito e contribuisca ad aprire un dibattito orientato sul tema: Alcuni punti fermi sono ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali di questo discorso: L’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento; la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni. Di qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc.; è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”. Muoverci in questa direzione appare tanto più urgente in quanto ci ritroviamo nel pieno di un oggettivo processo di "rivoluzione passiva". Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la costruzione di una nuova sinistra è oggi più che mai una priorità se intendiamo ancora essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo.

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