martedì 19 settembre 2017

Paolo Bagnoli: Da Mani pulite al populismo

da “mani pulite” al populismo paolo bagnoli Da Non Mollare il fallimento di mani pulite – borrelli e di pietro – siamo tra i paesi più corrotti al mondo - la condanna di persone e non di un sistema, o è il contrario? – ordine e potere – la dissoluzione dei partiti L’ex- procuratore Francesco Saverio Borrelli, oramai diverso tempo fa, riconobbe il fallimento di Mani Pulite. In Italia, infatti, oltre le cronache, ogni anno la Corte dei Conti ci dice che la corruzione aumenta a ritmo esponenziale. Nelle graduatorie internazionali figuriamo tra i Paesi più corrotti al mondo. Ora Antonio Di Pietro – per anni definito l’uomo simbolo di Mani Pulite; stando a Borrelli e alla proprietà transitiva, simbolo sì, ma di un fallimento - in un’intervista rilasciata a “la Repubblica” il 10 settembre u.s. ha dichiarato: «Mani Pulite ha prodotto un vuoto: è da lì che sono cominciati i partiti personali a cominciare da me. Ma sono partiti che durano lo spazio di un mattino, io ne sono la prova vivente». Niente da eccepire, ma non c’era bisogno di Di Pietro per saperlo, ma quello che colpisce di più sono gli abbozzi di spiegazione che, a suo avviso, danno ragione dell’autocritica, buttate giù alla buona, con una banalità che sembra approfittare di se stessa. Da esse si ricava la sensazione che non si avesse la percezione di come quel metodo di procedere provocasse un qualcosa di più e di ben oltre il perseguimento del dovere che spetta ai magistrati – un qualcosa che nessuno mette in discussione – ossia, perseguire i reati compresi, naturalmente, quelli riguardanti la malversazione del pubblico denaro. Afferma Di Pietro: «da magistrato ho condannato delle persone, non un sistema. Quelle persone rappresentavano idee politiche. E alcuni le mettevano in pratica facendo il proprio dovere, come Aldo Moro o Giorgio La Pira, e altri utilizzando il loro ruolo per interessi personali». Anche qui tutto sembra tornare, ma se invece di coloro che sono stati ritenuti colpevoli è un intero sistema democratico che si è sfasciato, le cose, allora, non stanno come Di Pietro le racconta altrimenti non si sarebbe parlato di fine della prima Repubblica; non avremmo avuto questi oltre vent’anni di aspra crisi della Repubblica. Alla base di tutto c’è una verità che si ha timore anche solo a sfiorare; vale a dire, che l’azione giurisdizionale fu impostata su un dato drogato da un doppio profilo: che la magistratura, invece di essere un ordine costituzionale, si presentava come un potere e che, a fronte dell’immoralità del sistema, essa era una virtù interna al sistema, in quanto potere, capace di cancellare il malaffare della politica grazie ad un esercizio virtuoso del sistema politico che avrebbe, in virtù di quanto il proprio potere le permetteva, indirizzato e sul quale, naturalmente avrebbe vigilato. L’impianto mediatico che accompagnò l’azione del pool milanese agì quasi come virus subliminale di questa cultura. L’abbiamo pagato caro: era la cultura del controllo delle procure sul sistema democratico; una questione rispetto alla quale, tramite i soli avvisi di garanzia, si poteva condizionare le scelte della politica, aprire procedimenti, distruggere uomini e carriere – che l’assoluzione di Mastella avvenga dopo ben nove anni è sintomatico di un insieme malato - pilotare surrettiziamente scelte di pubblica utilità oppure bloccarle. Insomma, il realizzarsi di un’anomalia fondata sulla virtù e virtuosità della giurisdizione. Tale pratica, con il metodo inquisitorio virtuosistico di cui Di Pietro è stato il simbolo – un metodo violento che non ci deve far dimenticare le fini tragiche di Moroni, Cagliari e Gardini ha portato pure al crollo del sistema dal momento che non si è saputo distinguere tra responsabilità singole e senso del sistema in un Paese intriso da una strutturale complessità e fragilità. Certo che l’azione del pool si è svolta in un momento nel quale un ciclo politico della democrazia repubblicana si stava esaurendo e la dimensione politica stessa della Repubblica faceva intravedere movimenti intestini, per altro allora insondabili, dovuti alla crisi dei partiti non rendendosi conto – e non è solo problema di allora – che, per la storia e per le radici della democrazia italiana, il cedimento dei partiti politici avrebbe comportato pure quello delle 4 nonmollare quindicinale post azionista | 005 | 18 settembre 2017 _______________________________________________________________________________________ istituzioni democratiche poiché la storia, al di là di ogni motivo formale, ha consegnato ai partiti quel mandato politico su cui si fondano la democrazia e la Costituzione della Repubblica. Il ragionamento di Di Pietro regge solo formalmente e testimonia di un’autocritica meramente formale, di senso comune e di insufficienza culturale. Per questa ragione, a nostro avviso, suona soprattutto come il grido patetico di un già personaggio che, oramai nell’ombra della storia della seconda Repubblica, lancia il suo grido per non essere dimenticato. Ribadendo che ogni malversazione debba essere perseguita con fermezza, serietà e consapevolezza di quanto l’azione giudiziaria comporta, va detto che la stagione di Mani Pulite ha consegnato il Paese al populismo e oggi esso è in via di superamento verso la demagogia di cui i 5Stelle sono l’espressione e la demagogia, come abbiamo avuto modo più volte di dire, è la soglia della decoazione democratica

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