martedì 26 settembre 2017

Alessandro Gilioli: Il grande bivio a sinistra

Il grande bivio a sinistra Anche in Germania, dopo che era appena avvenuto in Francia, il partito socialista ha toccato il suo minimo storico. In Spagna era successo nel 2015, così come in Grecia. Anche l'Spd ha pagato le sue larghe intese: è diventato quasi indistinguibile dal suo presunto avversario (la Cdu). E a me ha fatto un po' impressione che al comizio finale il suo leader-candidato Schulz abbia invitato a "votare i partiti democratici" contro il pericolo dell'Afd, il che è una sorta di implicita ammissione dell'assimilazione già avvenuta con la Cdu stessa. Per chi sente come attuali e futuri i valori etici fondanti della sinistra - cioè diseguaglianze sociali radicalmente minori e welfare radicalmente maggiore - potrebbe anche essere una buona notizia, questa tendenza europea: nel senso che i partiti socialisti hanno tracollato proprio perché quei valori fondanti li hanno traditi o dimenticati, vedete voi quale delle due opzioni scegliere. Ed è dunque giusto - "gli sta bene" - che gli elettori di sinistra li abbandonino al loro destino di inutilità. L'unico partito socialista che dal 2001 al 2017 ha visto crescere i suoi consensi è stato quello laburista inglese, grazie alla svolta di Corbyn. Del Pd italiano vedremo in primavera - ma qualche segnale arriverà anche prima, dalla Sicilia, così come è arrivato dagli ultimi giri amministrativi. Dicevo: per chi sente come fondanti i valori del welfare e della redistribuzione potrebbe essere una buona notizia, tutto questo. Se non fosse che dietro la riduzione ai minimi termini dei partiti storici di sinistra c'è, se non il nulla, un gran marasma che per ora fatica molto a tradursi in forze politiche con robuste speranze di successo. C'è Corbyn in Gran Bretagna, si diceva. C'è Podemos in Spagna, che peraltro non è in un momento facile. C'è il Portogallo, dove invece finora regge il miracolo dell'alleanza fra tre partiti di sinistra (di cui uno tipo socialista, uno tipo Podemos e uno comunista) che non solo non si sfascia ma sta ottenendo perfino insperati risultati economici; c'è la Grecia, dove Tsipras ogni giorno cammina sul filo tra i diktat europei e l'attenuazione dei sacrifici per la parte più bassa della piramide sociale. Insomma, un po' (molto) all'opposizione e un po' al governo (Portogallo e Grecia) esiste una sinistra che non si è adeguata alla logica delle larghe intese, dell'appiattimento sui dogmi economici dell'avversario storico di destra. È evidente che non basta, che è poca cosa e disordinata. E che la sinistra europea avrebbe bisogno di fermarsi un secondo per decidere una buona volta che cos'è: se una sottomarca residuale dei partiti di centrodestra o una proposta politica autonoma e opposta sui temi portanti: modalità di creazione e di redistribuzione di ricchezza, rapporto con la finanza, welfare, scuola, ospedali, reddito, progressività dei sistemi fiscali, imposte di successione, la casa come diritto umano fondamentale, riduzione delle distanze siderali tra centri storici e periferie, intervento con la scure dello Stato su tutte quello forme di sottolavoro che si fanno chiamare "gig economy" perché schiavitù pare brutto. Eccetera eccetera. A me tutto questo pare più interessante - e più urgente - delle discussioni che oggi si fanno in Italia a sinistra sulle liste o sulla lista da proporre a sinistra del Pd per il 2018, anche se mi rendo conto che (al netto dei personalismi) anche questa discussione nostrana è in parte un epifenomeno del bivio e della questione più ampia - europea - di cui sopra. In ogni caso è un'urgenza. Perché c'è un bivio, appunto. In Italia come in Europa. Chi non lo vede - dopo i flop dei socialisti francesi e tedeschi - soffre di grave cecità politica. E perché se a questo bivio non viene fatta una scelta limpida, restano solo cose tipo Afd, Le Pen, Salvini-Meloni - o ad andar bene bolle mediatiche tipo Macron.

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