martedì 30 luglio 2013

CGIL - Crisi: CGIL, serve subito 1,5 mld per ammortizzatori in deroga e almeno altri 3 per 2014

CGIL - Crisi: CGIL, serve subito 1,5 mld per ammortizzatori in deroga e almeno altri 3 per 2014

Francesco Maria Mariotti: Papa Francesco

Sulle parole del Papa mi pare ci sia un eccesso di attenzione e forse di semplificazione - come sempre più spesso, in questo periodo - a fini di "rafforzamento della simpatia mediatica". In fondo trovate un link dove potete leggere le affermazioni del Pontefice più o meno al completo, non solo sui problemi su cui si sono - mi pare - soffermati maggiormente i media. Questa sera ho seguito il Tgla7 e quello di rai2; le parole sono state riportate abbastanza fedelmente; ma il problema mi pare sia la sottolineatura con eccessiva enfasi di talune "novità", in particolare sulla problematica degli omosessuali nella Chiesa. Papa Francesco non ha detto nulla di così straordinariamente nuovo su vari problemi, anche se gli va dato atto che è forte il tentativo di evitare qualsiasi forma di clericalismo, che è la sua cifra fin dalla bellissima "preghiera collettiva" che ha guidato nella sera della sua elezione. Attenzione, però a non confondere "non-clericalismo" con "progressismo"; anzi, su taluni problemi il suo linguaggio appare molto "conservatore", o - se vogliamo - "vecchio stile". Per esempio mettere in un discorso assieme la presunta lobby omosessuale con una (altrettanto presunta) lobby massonica appare un "cedimento" a una impostazione - appunto - un po' vecchia, la Chiesa assediata da forze occulte e nemiche, lobby dalle quali difendersi. Anche il fatto che essere omosessuali in privato possa andare bene, purché - come dire - non si "agiti" la cosa, è la posizione classica della Chiesa (anche se - ripeto - la capacità di dirla in modo nuovo con la frase "Chi sono io per giudicare?" non è da sottovalutare, e potrebbe avere conseguenze al di là delle stesse intenzioni del Papa...). Forse più importanti (anche qui, non proprio particolarmente "nuove", il problema è allo studio da tempo) le parole sui divorziati, da un certo punto di vista. Da ultimo, la sottolineatura che la donna è più importante dei vescovi, a immagine di Maria più importante degli Apostoli, è in teoria una bellissima immagine, ma appunto rimane tale, di fronte al fatto che il "governo" della Chiesa appare saldamente in mani maschili. E - sia detto senza confondere papa Bergoglio con i reazionari, ma solo per "allertare" le nostre sensibilità - è un topos ultraconservatore esaltare la femminilità, per "custodirla" e "proteggerla" (generalmente dalla libertà moderna, dall'autodeterminazione sessuale e via così dicendo...), di fatto "sottomettendola". Il problema - mi pare - è che da un lato vengono esaltati e sottolineati problemi come vogliono essere visti dall'esterno, più che compresi dall'interno della impostazione pastorale ed ecclesiale. E quindi vengono "non visti" - se non "rimossi" - tutti i sottointesi, e i collegamenti con l'impianto dottrinario, esaltando "eccessivamente" novità che forse non ci sono. D'altro canto - e forse questa parte del problema è più grave - c'è l'impostazione di tutti coloro - cattolici e non (soprattutto non, a volte pare) - che sembrano aver bisogno del "permesso" del Papa per pensare in una certa maniera. Il problema sembra stare dunque nell'occhio e nell'orecchio involontarimente troppo "compiacenti", addirittura troppo "servili", se la parola non è eccessiva. E spesso il non credente sembra più morbosamente attento a queste parole di quanto lo sia il credente; e questo soprattutto in Italia, dove il mancato "successo" della Riforma protestante ha reso molto più debole lo stesso pensiero laico. Detto ciò, se ognuno di noi prendesse sul serio il primato della coscienza (sempre difeso anche in ambito cattolico), capiremmo che Dio vuole che discutiamo alla pari anche con il Papa... E anche con Lui... Perché alla fine - Chiesa o non Chiesa (e chi scrive dice sì Chiesa, anche se sbaglia su tutto, tranne che su Cristo...), Dio vuole che noi Gli suggeriamo nuove idee... La pecora deve "smarrirsi" perché il Buon Pastore - e tutto il gregge - la cerchino e trovino - cercando lei - nuove strade su cui pascolare. Altrimenti dove sarebbe il divertimento del Vangelo, il grande gioco di Dio con i suoi figli? Francesco Maria http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/gmg-26831/

Socialist International - Progressive Politics For A Fairer World

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lunedì 29 luglio 2013

Che cos’è sinistra? - micromega-online - micromega

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Prima il lavoro. Intervista a Luciano Gallino - micromega-online - micromega

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Il razzismo-sessismo come idioma culturale. Da Calderoli a Sartori, passando per la sinistra - micromega-online - micromega

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Aveva ragione la Fiom - micromega-online - micromega

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Il futuro del possibile soggetto politico nuovo della sinistra - micromega-online - micromega

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Fassina e la sopravvivenza dei furbi - micromega-online - micromega

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Pd: l’enigma del segretario, fra Schumpeter e Barca - micromega-online - micromega

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Il vicolo cieco del mercantilismo tedesco | Keynes blog

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Bergoglio a Rio: “La laicità dello Stato favorisce la convivenza tra religioni” - Il Fatto Quotidiano

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Un reddito minimo come dividendo europeo / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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La crisi nascosta del commercio globale / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Le incerte informazioni sull'economia cinese / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Pisapia alla Festa Sel: "Sarà scontro con il governo"

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Province, trasferimento di poteri alle città metropolitane: decreto Letta - Delrio 27 luglio 2013

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Il mondo ostaggio dei rentiers

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Rodotà: Eccome se esiste la differenza fra destra e sinistra

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Tra Schumpeter e Keynes: l’eterodossia di Paul Marlor Sweezy

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Rating e democrazia

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No alle forzature contro la Costituzione | Libertà e Giustizia

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Expo, diario di bordo | LetteraPolitica.it

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Strategia, sostenibilità ed efficienza. Appunti per una nuova politica energetica nazionale

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Passe livre: le manifestazioni portano il vento delle riforme in Brasile

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Germania e austerità, finita la luna di miele? | Economia e Politica

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Paolo Borioni: Un piano Marshall per l’Europa, ci prova il sindacato tedesco | La Prima Pietra

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Dov’è finita la credibilità dell’Italia? | La Prima Pietra

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Governo e parlamento | La Prima Pietra

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Rino Formica: Caro Fausto

Caro Fausto, la malattia politica del PD e PDL può infettare l’Europa molto più del nostro debito La Prima Pietra rilancia la risposta dell’ on. Formica (Il Foglio il 24-7-13) alla lettera che Fausto Bertinotti ha inviato al presidente Napolitano il 23 luglio 2013. Caro Fausto, dovremmo essere in tanti a ringraziarti per la tua lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché, quando la dura critica si svolge nella forma della forza delle idee e dell’onestà intellettuale, allora si offrono le condizioni migliori per una seria discussione in grado di imporsi sul fatuo chiacchiericcio politico che ci ammorba e debilita ogni iniziativa. Nessuno può negare che gli sviluppi della Costituzione “materiale”, sino agli esiti “eccezionalistici” ultimi, stanno conoscendo una dimensione non più contenibile dentro lo spirito della Carta e della struttura istituzionale a esso conseguente. Anche se va riconosciuto che il modello parlamentare della nostra democrazia entrò in conflitto con la “governabilità” fin dalla fine degli anni ’70 e i tentativi, numerosi e inoperosi, di legarli in un rapporto di non belligeranza fallirono per una semplice e inoppugnabile ragione: il partito del conservatorismo costituzionale nella storia dell’Italia repubblicana è sempre stato più forte di quello delle riforme, piccole o grandi che fossero, dal tentativo “premiale” degasperiano (bisogna convenire che la cosiddetta legge truffa fu un primordiale e audace tentativo di legare virtuosamente governabilità e parlamentarismo) a quello presidenziale di Craxi. E il principio basico usato per difendere la “Costituzione più bella del mondo”, allora come oggi, ė lo stesso da te utilizzato per contrastare gli esiti “post-democratici” verso cui sembrano muovere gli straordinari sforzi di Giorgio Napolitano per salvare quello che resta della governabilità del paese: extra ecclesiam, nulla salus, vale a dire, al di fuori del parlamentarismo la democrazia muore. Tu stesso, nel tuo ragionare, ne mostri la genealogia politica e culturale quando fai risalire quel principio, il nesso parlamentarismo-democrazia, alla natura “programmatica” della Costituzione, identificando tale natura con la garanzia di modello costituzionale aperto e non vincolato a “opzioni finalistiche” nella definizione di società futura. Credo, invece, che quel “programma”, stretto tra la democrazia integrale di Dossetti e la democrazia progressiva di Togliatti, abbia costituito la vera gabbia di ferro della nostra esperienza di democrazia, “programmata” sin dalle origini per muoversi dentro il vincolo unitario, all’interno dell’obbligazione dello “stare insieme”. Un vincolo unitario (altri direbbero “consociativo”) che ha funzionato con gli stessi codici e senza soluzione di continuità nella forma del compromesso storico, ieri e delle larghe intese, oggi, in relazione alla condizione geo-politica del paese, prima e dopo Yalta. Tutto quello che ci sta piovendo addosso, dalla eterodirezione dei processi di decisione politica alla limitazione della sovranità, non può essere la conseguenza del “tradimento” di una storia di democrazia parlamentare, nė di assoggettamento alla logica post-politica e post-democratica della globalizzazione, ma è la conseguenza della condizione di inferiorità e di arretratezza della cultura politica della Sinistra italiana, che, invecchiando nelle botti della autoreferenzialità dell’unità antifascista, si ė inacidita in ideologia. Pur avvertendo i pericoli di “sospensione” democratica presenti nella fase attuale, non credo che la recente prassi costituzionale seguita dal Presidente Napolitano segni un momento di involuzione politica. Piuttosto interpreto l’eccezionalismo del suo operare come un tentativo, estremo e solitario, di creare quel “sentimento nazionale”, quelle condizioni minime per far ripartire la politica dentro un campo nel quale l’antipolitica e la post-politica stanno giocando una partita mortale e non soltanto nazionale contro la democrazia. Sarà poco, ne convengo, ma senza il filo della “nazione” e del “popolo” non si tesse alcuna trama a copertura degli interessi popolari e nazionali e saranno sempre gli “altri” a dettarci l’agenda. Una agenda che prevede, questa sì, una formula inedita: la democrazia a contratto. Caro Fausto, per chiudere, vorrei rilevare che al Presidente Napolitano è stato chiesto un sovraccarico di compiti politici che vanno molto oltre il mandato istituzionale. Quando a Napolitano è stato chiesto di accettare il secondo mandato Presidenziale, il sistema politico ha dichiarato tutta la sua impotenza. La malattia è nelle istituzioni. Presto verranno al pettine nuovi nodi. 1-Tra 9 mesi ci saranno le elezioni europee. La presenza di movimenti antieuropei potrebbe essere maggioritaria se si dovessero aggiungere gli euroscettici di tutte le grandi famiglie politiche europee. 2-Tra 16 mesi scade il termine per le riforme istituzionali e per la definizione della nuova legge elettorale. La discussione non è ancora iniziata. 3-Tra 18/24 mesi probabilmente si aprirà la questione Quirinale. Ci sarà ancora questo Parlamento? Il sistema politico è pronto a reggere a queste prove di esame? Invece di rivolgere osservazioni a Napolitano, rivolgiamoci al PD e al PDL, perchè la loro malattia politica può infettare l’Europa molto di più del nostro debito pubblico. Fraterni saluti Rino Formica

sabato 27 luglio 2013

I giovani disoccupati e il colpo di genio di dare la colpa ai nonni

I giovani disoccupati e il colpo di genio di dare la colpa ai nonni

franamara economia: Massimo Riva-Abbasso la differenza

franamara economia: Massimo Riva-Abbasso la differenza

Franco Astengo: Tra stabilità e governabilità

TRA STABILITA’ E GOVERNABILITA’: UN TEMA DI FILOSOFIA POLITICA dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Il tema della governabilità ha attraversato il dibattito politico, in particolare in Italia, per quasi trent’anni partendo dall’invocazione al “decisionismo” e l’avanzarsi, all’epoca, di una proposta di “Grande Riforma” incentrata, sul piano istituzionale, sulla preminenza della figura del Presidente del Consiglio (si è parlato a lungo di “cancellierato”). Un dibattito scivolato poi, pericolosamente, considerato il peso assunto dal fenomeno della personalizzazione della politica, nel filone del presidenzialismo che appare essere, definitivamente, la frontiera sulla quale stanno assestandosi i tanti “governativisti” (presidenzialismo o semi, del resto già previsto nel testo, poi fallito, della Commissione bicamerale presieduta da D’Alema nel 1997). Andando per ordine è il caso, però, di ritornare al dibattito sulla governabilità che probabilmente è stato chiuso qualche giorno fa (esattamente Mercoledì 24 Luglio) sulle colonne di “Repubblica” da un impegnato articolo firmato da Barbara Spinelli dal titolo “Se la stabilità si trasforma in idolatria”. L’illustre editorialista, in verità molto allarmata, coglie nel segno ed è un segno importante: la governabilità si è trasformata in stabilità. Una sorta di “evoluzione della specie” che ci indica come la via del governo debba essere riservata a chi s’impegna appunto nella “stabilità” del primato del potere; una sorta di tecnica quella del potere la cui padronanza è riservata a pochi, illuminati e “ottimati”, detentori delle caratteristiche adatte. Gli altri fuori, al massimo ad assistere facendo rumore in Parlamento per quei fortunati che riusciranno a passare soglie sempre più ardue e comunque con la strada sbarrata da regolamenti, usi e costumi tali da impedire un’effettiva dialettica: posti addirittura nell’impossibilità di pronunciare, nella stessa Aula che dovrebbe essere il luogo “principe” dell’esercizio della democrazia, il nome del Gran Khan che presiede il circolo dei nuovi mandarini. In realtà sarebbe necessario tornare davvero al tema del governo per scavare a fondo il significato vero del termine, chiamando in causa i “fondamentali” della filosofia politica. Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana rappresentata dal potere legislativo. Nasce qui la distinzione tra legge e decreto (come fa notare Kant, nella “Metafisica dei Costumi”), tra norma generale e norma particolare, e sarà su questo punto che partirà un processo di delimitazione e ridefinizione dell’ambito dell’attività di governo rispetto alla funzione legislativa che, nella nostra Costituzione, assume la denominazione (non effimera) di “Repubblica Parlamentare” e si stabilisce la “Centralità del Parlamento” (Il “Parlamento come specchio del Paese” nella visione togliattiana). In quale punto si è innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza”? Attorno agli anni’70-’80 del secolo scorso era partito il dibattito sul cosiddetto “eccesso di domanda”: dalla società saliva ormai verso la politica la richiesta di un consolidamento e di un allargamento dei meccanismi universalistici del welfare e salivano di tono le rivendicazioni operaie in tema di salario e garanzie del lavoro; richieste ormai non più riservate a determinate e precise aree dell’Occidente capitalistico. La risposta è stata duplice: da un lato la spinta a recuperare il ruolo prioritario degli “spiriti animali” del capitalismo attraverso il lancio di una forte controffensiva portata avanti su entrambe le rive dell’Atlantico attraverso le opzioni di un “liberismo selvaggio”; dall’altro lato la spinta a ridurre il rapporto tra politica e società attraverso il taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”. Nasce da questo punto il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di nuove forme – autoritative – di governo e sorge anche una distinzione tra “governance”, espressione di un potere articolato sul territorio per rispondere, spezzettando le diverse problematiche, in maniera sostanzialmente neo-corporativa ai bisogni espressi dai ceti sociali più forti e “governament” utilizzato per normalizzare le dinamiche sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di un potere centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni tecnicismi che dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da dibattiti giudicati inopportuni. Nessuna risposta, insomma, in termini di allargamento democratico, di ruolo delle istituzioni rappresentative, di presenza dei soggetti intermedi (partiti, sindacati), la cui funzione nel frattempo è stata ridotta al solo rango di selezionatori del personale di governo, provvisti di denaro ed elargitori di “incentivi selettivi” e non certo di soggetti propositori della rappresentanza politica e sociale. Si sono così smarrite le coordinate di fondo dell’appartenenza sociale e del legame diretto tra questa e l’appartenenza politica, si è perso il ruolo di sede di confronto dialettico da parte del Parlamento e l’idea di “governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il fantasma della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica. Stanno trasformando l’arena in un deserto e la chiameranno appunto “stabilità”. Franco Astengo

venerdì 26 luglio 2013

PAROLE E FATTI DELLA FED - M.De Cecco - A&F | Sindacalmente

PAROLE E FATTI DELLA FED - M.De Cecco - A&F | Sindacalmente

Francesco Maria Mariotti: Le illusioni (anche armate?) di Abe

Forse è un ragionamento troppo semplicistico, ma la politica "aggressiva" di Abe in termini monetari (discutibile sotto diversi punti di vista, anche se nel breve periodo ha dato ossigeno all'economia giapponese) sembra trovare un parallelo nel campo della difesa. Entro certi limiti la cosa può essere comprensibile, ma rimane un segnale fortemente inquietante; soprattutto perché rappresenta di fatto un ulteriore incrinatura nel sistema delle relazioni internazionali, sempre più "anarchico", sia dal punto di vista economico che politico-militare. Inoltre, la competizione anche in termini monetari può avere il risvolto di "rovesciare" sull'esterno le dinamiche della crisi: da un lato è una comprensibile strada per prendere tempo e ossigeno, dall'altra però può rallentare la presa di coscienza della necessità di riforme interne, spostando appunto su altro - e altri paesi, dunque - la responsabilità dei problemi economici del paese. Anche in questo senso - pur con tutte le cautele nell'evitare facili automatismi o determinismi - nazionalismo economico e nazionalismo più politico-militare possono darsi una (pericolosa) mano. La speranza è che la retorica di Abe rimanga tale, ovviamente. Però chissà, forse dovremo vedere e affrontare una qualche forma di conflitto armato potenzialmente globale (magari proprio sul versante delle "nuove potenze", vd. appunto isole Sensaku), per essere costretti a ricercare una nuova forma di collaborazione. Speriamo non sia così; magari "basterà" avvicinarci al rischio. E se invece deve essere una qualche forma di guerra, speriamo e prepariamoci perché le cose avvengano in modo da limitare i danni. Anche i conflitti armati sono diversi da un tempo, e non c'è da pensare a uno scenario apocalittico, credo. Ma l'anarchia del sistema internazionale, e l'incapacità odierna degli Stati Uniti e di altre superpotenze a esercitare una leadership globale, possono portare a costi troppo elevati e non strettamente necessari. L'alba comunque arriverà, su questo non c'è da aver paura; ma sta a noi decidere quanto far durare la notte di questa crisi. Francesco Maria (...) La riforma è motivata dai timori del Paese riguardo alle ambizioni nucleari della Corea del nord e alla disputa, attualmente in corso, sul controllo di un gruppo di isolette nel Mar della Cina orientale, chiamateSenkaku in Giappone e Diaoyu in Cina, controllate da Tokyo, ma rivendicate da Pechino. Proprio stamani, è stata segnalata dalle autorità giapponesi un'incursione nelle acque territoriali di tali isole da parte di 4 guardacoste cinesi, la quale ha reso il clima tra i due Paesi ancora più teso. Peraltro, l'articolo 9 della Costituzione giapponese - redatto da forze di occupazione americane dopo la sconfitta del Paese nella seconda guerra mondiale - prevede l'uso delle forze militari solo nel caso diautodifesa, escludendo la possibilità di iniziare unilateralmente un'azione militare. Ma, in realtà, le "Self-Defense Forces" del Giappone sono uno degli eserciti più forti dell'Asia. La riforma in quest'ottica potrebbe comportare un'espansione dell'attività militare, ma il Ministro della Difesa Itsunori Onodera ha fatto sapere ai giornalisti che non vi è alcun cambiamento di base nella politica nazionale di "sicurezza esclusivamente difensiva", e ha negato che possano essere compiuti "attacchi preventivi" nei confronti di obiettivi nemici.(...) TOKYO SI ARMA (The Post Internazionale) Ma funzionerà? Mentre la politica monetaria sperimentale è ora ampiamente accettata come una procedura standard nell’odierna era post-crisi, la sua efficacia resta dubbia. Quasi quattro anni dopo che il mondo ha toccato il fondo sulla scia della crisi finanziaria globale, l’impatto del Qe è stato straordinariamente asimmetrico. Mentre le massicce iniezioni di liquidità sono state efficaci nello scongelare i mercati del credito e hanno messo fine alla fase peggiore della crisi – come testimonia il primo ciclo di Qe attuato dalla Fed nel biennio 2009-2010 – i successivi sforzi non hanno suscitato nulla che si avvicinasse a una normale ripresa ciclica. di Stephen S. Roach - Il Sole 24 Ore - leggi su Le illusioni di politica monetaria di Shinzo Abe Leggi anche IL GIAPPONE NAZIONALISTA DI SHINZO ABE (Treccani - Piazza Enciclopedia Magazine)

Paolo Zinna: Il fatto e il simbolo nella comunità democratica | La Talpa Democratica

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Why Economics Needs Economic History

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Serrata negozi Dolce e Gabbana, replica di Pisapia

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Fabian Society » The Inequality Boom

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Miliband, una nuova relazione tra partito e sindacati | EuProgress

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Utoya, due anni fa la strage. Oggi la speranza | EuProgress

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Se la stabilità si trasforma in idolatria - Eddyburg.it

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L'ideologia del paese normale e l'impossibile svolta del Pd - Eddyburg.it

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Non la religione ma la giustizia sociale alla base della coesione sociale | Carlo Patrignani

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Tunisia: assassinato deputato opposizione, sgomento e manifestazioni | Atlas

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martedì 23 luglio 2013

Antonio Misiani: Con la crisi la povertà assoluta è raddoppiata

Con la crisi la povertà assoluta è raddoppiata www.nens.it Antonio Misiani In cinque anni la crisi economica ha causato la più forte contrazione dal dopoguerra del PIL (-6,9 per cento tra il 2007 e il 2012) e dei consumi delle famiglie (-5,0 per cento) e un’impennata del numero dei disoccupati, passato da 1,506 a 2,744 milioni (dal 6,1 al 10,7 per cento). Particolarmente negativi sono gli indicatori relativi al 2012, anno nel quale il PIL si è ridotto del 2,4 per cento, i consumi sono scesi La recente pubblicazione dell’indagine annuale ISTAT sulla povertà in Italia permette di analizzare l’andamento, nello stesso periodo, della povertà assoluta e relativa. I dati evidenziano un’esplosione della povertà che non ha precedenti nella storia recente del nostro Paese. Povertà assoluta L’ISTAT calcola l’incidenza della povertà assoluta in base ad una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. La soglia si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza. Sono classificate “in povertà assoluta” le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia. Nel 2012 erano classificate in povertà assoluta 1,725 milioni di famiglie (il 6,8 per cento del totale) e 4,814 milioni di individui (l’8 per cento del totale). Rispetto al 2007, prima dell’inizio della crisi, le persone in povertà assoluta sono raddoppiate (+2,387 milioni) mentre le famiglie interessate sono aumentate di 750 mila unità. L’incidenza della povertà assoluta è passata dal 4,1 al 6,8 per cento per le famiglie e dal 4,1 all’8 per cento per le persone. Povertà assoluta 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Δ 07-12 Famiglie in povertà assoluta (migliaia) 975 1.126 1.162 1.156 1.297 1.725 750 % famiglie 4,1 4,6 4,7 4,6 5,2 6,8 2,7 Persone in povertà assoluta (migliaia) 2.427 2.893 3.074 3.129 3.415 4.814 2.387 % persone 4,1 4,9 5,1 5,2 5,7 8,0 3,9 La disaggregazione socio-demografica delle famiglie in condizione di povertà assoluta evidenzia un andamento del fenomeno molto differenziato. Tra il 2007 e il 2012 l’aumento della povertà assoluta è stato superiore al dato medio (+2,7 per cento) nelle seguenti tipologie di famiglie: - con tre o più componenti; - coppia con figli - monogenitoriale - con persona di riferimento di età fino a 64 anni - con persona di riferimento dotata di licenza media - con persona di riferimento occupata indipendente - con persona di riferimento occupata dipendente operaia o assimilata - con persona di riferimento in cerca di occupazione - residente nel Mezzogiorno Particolarmente rilevante è stato l’incremento dell’incidenza nelle famiglie con cinque o più componenti (+9 per cento), nelle coppie con tre o più figli (+8,2 per cento), con persona di riferimento di età fino a 35 anni (+5,1 per cento), in possesso di licenza media inferiore (+5 per cento), in cerca di occupazione (+13,6 per cento). Povertà assoluta: % famiglie 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Δ 07-12 Numero componenti uno 5,0 5,2 4,5 4,3 5,1 5,5 0,5 due 3,4 4,0 3,8 3,6 4,1 5,5 2,1 tre 3,3 3,0 4,2 4,1 4,7 6,6 3,3 quattro 3,4 5,2 5,8 5,7 5,2 8,3 4,9 cinque o più 8,2 9,4 9,2 10,7 12,3 17,2 9,0 Tipologia familiare persona sola con meno di 65 anni 3,2 3,4 2,7 2,8 3,5 4,9 1,7 persona sola con 65 anni o più 6,6 6,9 6,4 5,7 6,8 6,2 -0,4 coppia senza figli con p.r. con meno di 65 anni 1,8 2,2 3,0 1,9 2,6 4,6 2,8 coppia senza figli con p.r. con 65 anni o più 3,7 4,7 3,8 3,8 4,3 4,0 0,3 coppia con 1 figlio 2,6 2,7 3,6 2,9 4,0 5,9 3,3 coppia con 2 figli 3,3 4,9 5,6 5,1 4,9 7,8 4,5 coppia con 3 e più figli 8,0 8,7 9,4 9,4 10,4 16,2 8,2 monogenitore 4,9 5,0 6,1 6,9 5,8 9,1 4,2 altro 7,0 7,9 6,6 10,4 10,4 13,3 6,3 Età della persona di riferimento fino a 35 anni 3,0 4,6 4,8 4,3 5,3 8,1 5,1 35-44 anni 3,6 5,0 5,6 4,4 4,8 7,4 3,8 45-54 anni 3,4 4,0 3,9 4,9 5,3 7,3 3,9 55-64 anni 3,1 2,9 3,4 3,3 3,7 6,6 3,5 65 anni e più 5,6 5,7 5,5 5,4 6,0 6,1 0,5 Titolo di studio della persona di riferimento licenza elementare, nessun titolo 7,4 8,2 8,7 8,3 9,4 10,0 2,6 licenza media 4,3 5,2 5,3 5,1 6,2 9,3 5,0 diploma e oltre 1,5 1,8 1,7 2,1 2,0 3,3 1,8 Occupazione della persona di riferimento Occupato 2,7 3,4 3,6 3,5 3,9 5,5 2,8 Indipendente 1,4 2,9 2,0 2,8 2,9 4,6 3,2 Lavoratore in proprio 1,8 4,5 3,0 4,1 4,2 6,0 4,2 Dipendente 3,2 3,6 4,1 3,6 4,1 5,8 2,6 Dirigente e impiegato 1,3 1,4 1,5 1,4 1,3 2,6 1,3 Operaio e assimilato 5,2 5,9 6,9 6,4 7,5 9,4 4,2 Non occupato 5,6 6,0 6,0 5,9 6,6 8,2 2,6 Ritirato dal lavoro 4,8 4,7 4,6 4,7 5,4 5,8 1,0 In cerca di occupazione 10,0 14,5 14,5 12,8 15,5 23,6 13,6 In altra condizione 8,1 9,5 9,1 8,6 8,4 11,3 3,2 Territorio Nord 3,5 3,2 3,6 3,6 3,7 5,5 2,0 Centro 2,9 2,9 2,7 3,8 4,1 5,1 2,2 Mezzogiorno 5,8 7,8 7,7 6,7 8,0 9,8 4,0 TOTALE 4,1 4,6 4,7 4,6 5,2 6,8 2,7 La povertà assoluta si è ridotta nelle sole famiglie composte da una persona sola di età pari o superiore a 65 anni (-0,4 per cento). L’aumento è stato relativamente contenuto nelle famiglie di un componente (+0,5 per cento), nelle coppie senza figli con persona di riferimento di età pari o superiore a 65 anni (+0,3 per cento), con persona di riferimento di età pari o superiore a 65 anni (+0,5 per cento), in possesso di diploma o laurea (+1,8 per cento), ritirata dal lavoro (+1 per cento), residente nel Nord o nel Centro. La dinamica della povertà assoluta negli anni 2007-2012 ha prodotto alcuni significativi cambiamenti nell’incidenza socio-demografica. Se nel 2007 registravano un’incidenza superiore alla media le famiglie con un componente, composte da una persona sola con 65 anni o più, con persona di riferimento di età pari o superiore a 65 anni, con persona di riferimento ritirata dal lavoro, cinque anni dopo ciò non è più vero. Viceversa, cresce fino a superare il dato medio l’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con quattro componenti, nelle coppie con 2 figli, con persona di riferimento fino a 54 anni. Povertà relativa. L’ISTAT stima l’incidenza della povertà relativa sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia per una famiglia di 2 componenti è pari alla spesa media mensile per persona (nel 2012 pari a 990,88 euro, in calo del 2 per cento rispetto al valore 2011). Sono classificate “povere” le famiglie composte da 2 persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore al valore soglia. Per famiglie di ampiezza diversa la linea di povertà si ottiene applicando una scala di equivalenza. Nel 2012 erano in condizione di povertà relativa 3,232 milioni di famiglie (12,7 per cento del totale) e 9,563 milioni di individui (15,8 per cento del totale). In cinque anni l’incremento è stato pari a 579 mila famiglie (con l’incidenza passata dall’11,1 al 12,6 per cento) e a 2,021 milioni di persone (dal 12,8 al 15,8 per cento). Povertà relativa 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Δ 07-12 Famiglie in povertà assoluta (migliaia) 2.653 2.737 2.657 2.734 2.782 3.232 579 % famiglie 11,1 11,3 10,8 11,0 11,1 12,7 1,6 Persone in povertà assoluta (migliaia) 7.542 8.078 7.810 8.272 8.173 9.563 2.021 % persone 12,8 13,6 13,1 13,8 13,6 15,8 3,0 Dal 2007 al 2012 gli incrementi più significativi del tasso di povertà relativa si sono verificati nelle famiglie con cinque o più componenti, nelle coppie con 3 o più figli, nelle famiglie con persona di riferimento di età fino a 35 anni, in quelle con persona di riferimento dotata di licenza media inferiore, con persona di riferimento in cerca di occupazione e in quelle residenti nel Mezzogiorno. La povertà relativa è invece diminuita nelle famiglie di 1 componente, in quelle di 1 persona sola con 65 anni o più, nelle coppie senza figli con persona di riferimento con 65 anni o più, nelle famiglie con persona di riferimento con 65 anni o più e in quelle con persona di riferimento ritirata dal lavoro. In cinque anni è diventata peggiore della media la situazione delle famiglie con persona di riferimento di età fino a 54 anni, mentre è migliorata quella delle famiglie composte da una persona sola con 65 anni o più, delle coppie senza figli con persona di riferimento con 65 anni o più, con persona di riferimento con età pari o superiore a 65 anni, con persona di riferimento ritirata dal lavoro. Povertà relativa % famiglie 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Δ 07-12 Numero componenti uno 8,1 7,1 6,5 5,9 6,7 6,8 -1,3 due 9,7 9,9 9,5 9,5 9,4 10,8 1,1 tre 11,5 10,5 11,0 11,3 11,7 15,9 4,4 quattro 14,2 16,7 15,8 16,3 15,6 18,1 3,9 cinque o più 22,4 25,9 24,9 29,9 28,5 30,2 7,8 Tipologia familiare persona sola con meno di 65 anni 3,8 3,4 2,8 2,9 3,6 4,9 1,1 persona sola con 65 anni o più 12,0 10,7 10,2 8,9 10,1 8,6 -3,4 coppia senza figli con p.r. con meno di 65 anni 4,1 4,6 5,8 5,0 4,6 7,0 2,9 coppia senza figli con p.r. con 65 anni o più 13,5 12,6 12,1 11,5 11,3 11,9 -1,6 coppia con 1 figlio 10,6 9,7 10,2 9,8 10,4 15,4 4,8 coppia con 2 figli 14,0 16,2 15,2 15,6 14,8 17,4 3,4 coppia con 3 e più figli 22,8 25,2 24,9 27,4 27,2 29,8 7,0 monogenitore 11,3 13,9 11,8 14,1 13,2 14,8 3,5 altro 18,0 19,6 18,2 23,0 22,0 22,3 4,3 Età della persona di riferimento fino a 35 anni 9,2 10,4 9,9 10,2 10,8 14,7 5,5 35-44 anni 10,3 12,1 12,5 11,7 11,0 13,6 3,3 45-54 anni 10,3 10,7 9,6 10,6 11,4 12,8 2,5 55-64 anni 8,9 8,8 7,9 8,7 8,5 11,6 2,7 65 anni e più 13,7 12,7 12,4 12,2 12,2 12,4 -1,3 Titolo di studio della persona di riferimento licenza elementare, nessun titolo 18,0 17,9 17,6 17,2 18,1 19,0 1,0 licenza media 12,4 13,2 13,0 13,5 14,1 16,8 4,4 diploma e oltre 5,0 5,3 4,8 5,6 5,0 6,4 1,4 Occupazione della persona di riferimento Occupato 8,6 9,2 8,9 9,3 9,1 10,8 2,2 Indipendente 6,3 7,9 6,2 7,8 7,9 9,0 2,7 Imprenditore, libero profess. 3,7 3,3 2,7 3,7 3,4 4,9 1,2 Lavoratore in proprio 7,9 11,2 8,7 10,7 11,2 11,9 4,0 Dipendente 9,4 9,6 9,8 9,7 9,4 11,3 1,9 Dirigente e impiegato 5,4 4,9 5,2 5,3 4,4 6,5 1,1 Operaio e assimilato 13,9 14,5 14,9 15,1 15,4 16,9 3,0 Non occupato 13,9 13,6 12,9 12,8 13,3 14,8 0,9 Ritirato dal lavoro 12,3 11,3 10,8 10,7 11,0 12,0 -0,3 In cerca di occupazione 27,5 33,9 26,7 26,7 27,8 35,6 8,1 In altra condizione 16,8 17,6 17,3 17,1 17,6 17,6 0,8 Territorio Nord 5,5 4,9 4,9 4,9 4,9 6,2 0,7 Centro 6,4 6,7 5,9 6,3 6,4 7,1 0,7 Mezzogiorno 22,5 23,8 22,7 23,0 23,3 26,2 3,7 TOTALE 11,1 11,3 10,8 11,0 11,1 12,7 1,6 Conclusioni A cinque anni dall’avvio della crisi economica il processo di impoverimento del Paese sta assumendo proporzioni estremamente preoccupanti. La riduzione dei redditi reali e dei consumi delle famiglie e l’aumento della disoccupazione (particolarmente marcato per i giovani tra i 15 e i 24 anni di età) hanno prodotto un’impennata della povertà senza precedenti. L’incremento della povertà relativa – le famiglie con una spesa inferiore ad una soglia predeterminata - indica un ampliamento della disuguaglianza economica. Il raddoppio della povertà assoluta rappresenta un campanello d’allarme se possibile ancor più grave, poiché evidenzia un fortissimo aumento delle famiglie il cui livello di vita è inferiore allo standard minimo accettabile. Le dinamiche della povertà fortemente differenziate dal punto di vista socio-demografico e territoriale chiamano in causa i tradizionali limiti della nostra rete di protezione sociale. Se la povertà tra gli anziani e i pensionati è rimasta infatti tutto sommato sotto controllo (grazie ad un sistema pensionistico che nel 2012 ha assorbito risorse pari al 16 per cento del PIL), è diventata ormai critica la condizione delle famiglie numerose (con particolare riferimento a quelle con 2 o più figli), di quelle con persona di riferimento giovane o di mezza età, delle famiglie operaie e di quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione. Queste criticità sono la diretta risultante di un sistema di welfare privo di un sistema universalistico di contrasto della povertà (unico caso in Europa insieme a Grecia e Ungheria), piuttosto avaro con le famiglie e i bambini (i relativi stanziamenti nel 2010 ammontavano al 4,6 per cento della spesa sociale in Italia, contro l’8 per cento della media UE) e pieno di buchi nella rete di sostegno dei disoccupati (secondo il rapporto CNEL sul mercato del lavoro nel 2011 i beneficiari di indennità di disoccupazione o mobilità erano pari a solo il 30,6 per cento delle persone in cerca di occupazione).

lunedì 22 luglio 2013

Lavoro. 10 domande a Matteo Renzi | Tomaso Greco

Lavoro. 10 domande a Matteo Renzi | Tomaso Greco

Franco Astengo: Opposizione politica e dissenso

OPPOSIZIONE POLITICA E DISSENSO dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Sulle colonne della “Lettura” del Corriere della Sera di domenica 21 Luglio si affronta, attraverso un articolo, di Maurizio Ferrera l’antico tema del rapporto tra capitalismo e democrazia, con specifico riferimento al “discorso Europeo”. Nello stesso tempo, sul territorio di quella che l’antica Unione Sovietica, tornano alla ribalta quelli che “storicamente” sono stati definiti come dissidenti: dal caso Navalny a quello Ablyazov. Nell’articolo di Ferrera il tema del rapporto tra capitalismo e democrazia in realtà lo si affronta attraverso un dibattito a distanza tra il sociologo Wolfgang Streeck e il filosofo Jurgen Habermas e l’oggetto del contendere è, appunto, il tema del futuro dell’Unione Europea laddove Streeck, teorico del “tempo comprato” (o “guadagnato” secondo l’edizione italiana del suo “Gekaufte Zeit”), analizza il processo d’integrazione europea come una macchina al servizio del capitale (finanziario), al fine di soffocare le istanze della società tramite politiche di austerità per ricreare condizioni favorevoli al profitto tramite liberalizzazioni e concorrenza. Di conseguenza è necessario far saltare tutto, soprattutto l’euro, mettendo a nudo la favola del capitalismo “socialmente responsabile” e tornando al conflitto di classe di marca socialdemocratica entro le mura dello Stato Nazionale. Habermas, dal canto suo, ormai legato alla tradizione di un liberalismo pragmatico ed egalitario nega la possibilità di realizzare l’opzione “nostalgica” di un ritorno al passato e la democrazia può salvarsi solo grazie all’Europa, più precisamente grazie alla realizzazione di una genuina Unione Politica. Entrambi, però, sottovalutano – ed è questa l’annotazione che preme far rilevare con il massimo della forza possibile- la condizione reale nella quale si trovano le grandi masse rispetto alla possibilità e capacità d’espressione delle proprie istanze di fondo, dell’apertura di un processo rivendicativo e di proposta politica. Sta qui l’accostamento al ruolo del “dissenso” che emerge, in varie forme, nei paesi dell’ex-URSS: in entrambi i casi, nell’Europa intesa come Unione, in gran parte degli stati che la compongono e nei paesi – appunto – di recente acquisizione del processo democratico dopo l’esperienza delle cosiddette “rivoluzioni avvenute” esiste un punto in comune : la pressoché completa impossibilità di esprimere un’opposizione politica sul terreno del confronto democratico, fuori e dentro le istituzioni rappresentative. Ovviamente i casi sono diversi: per l’UE l’analisi formulata da Streeck appare sicuramente condivisibile nella sua essenza, per i singoli Paesi che compongono l’Unione è necessario – naturalmente – distinguere tra i diversi casi ma appare certo che in quelli dove la gestione della crisi appare più feroce i margini di agibilità democratica si sono di molto ridotti come appare evidente nel “caso italiano” laddove, a un presidenzialismo non costituzionalizzato corrisponde un governo a larghissima base parlamentare soltanto grazie all’artifizio della legge elettorale (la base elettorale del governo Letta infatti è di circa 18 milioni di elettori su di un totale di 49 milioni: quindi una netta minoranza), per i paesi dell’ex-URSS valgono altri fattori dovuti, in buona parte, al tipo di processi economici e di concentrazioni finanziarie realizzatesi al momento delle (finte) dismissioni delle grandi holding di Stato. Comune in tutti i casi, e determinante, il processo di mutamento ( o di mancata affermazione) dei principi di fondo della competizione politica “aperta”: siamo di fronte ad un potere oligarchico, sia quello dei banchieri, sia quello di un ceto politico che ha ormai formato – in diversi paesi – quello che si può ben definire un “cartello” di detentori del potere, sia quello dei profittatori di regime diventati sultani assoluti di Paesi dai quali, per svariati motivi e in particolare per via della questione energetica, dipende l’intero equilibrio economico dell’Occidente Europeo. Accentuata personalizzazione della leadership, rapporto diretto tra i leader e l’opinione pubblica attraverso meccanismi di acquisizione del consenso di natura populistica, “presidenzializzazione” della competizione politica rappresentano i punti di uno “sconfinamento” nella gestione del potere (come scrive Grilli da Cortona nelle conclusioni del volume sui sistemi di partito nelle democrazie europee , curato assieme a Gianfranco Pasquino) con conseguente impossibilità delle opposizioni politiche di esprimersi per la via democratica della rappresentanza. Una rappresentanza negata in particolare quando questa intende riferirsi alla “contraddizione di classe”, considerata ormai come antisistema (diverso il caso dei soggetti che, invece, si misurano con un tipo di opposizione “interna” al sistema, come avviene, tanto per restare al “caso italiano” per SeL e M5S”. In queste condizioni non appare possibile lo svilupparsi di un rapporto diretto tra rappresentanza politica e conflitto sociale, con il conflitto che rimane , assieme, quasi atono e afono: un rumore di fondo che non riesce così a disturbare più di tanto il Palazzo. A questo modo si verifica il passaggio da opposizione politica a dissenso: un dissenso estremizzato, relegato ai margini all’interno di sistemi che, in apparenza appaiono “aperti” e “plurali” ma che in realtà tendono a realizzare, rapidamente, regimi oligarchici “chiusi” e opprimenti, all’interno dei quali la “tecnica” di governo sovrasta quasi interamente l’azione politica. Stiamo riflettendo in ritardo su questi elementi, invero del tutto determinanti per la prospettiva della rappresentanza politica e del conflitto sociale. Franco Astengo

domenica 21 luglio 2013

Renzi e l’Internazionale socialista | Avanti

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L'austerity che affossa l'Europa / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Reddito e lavoro devono coincidere / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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La Cina tra sviluppo e democrazia / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Serrata negozi Dolce e Gabbana, replica di Pisapia

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ItaliaSpazioLibero: per una cultura politica liberalsocialista

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La crociata liberista contro lo Stato continua nonostante le evidenze | Keynes blog

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Le tre frecce di Shinzo Abe

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La politica estera dell’Unione Europea: quali direzioni?

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CGIL - Lavoro: la CGIL incontra il Ministro Giovannini su Expo 2015

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CGIL - G20: Camusso, no ad una cura iniqua contro la crisi. Serve un cambio di registro

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sabato 20 luglio 2013

Beppe Merlo: Solidarietà a Franco D'Alfonso

La disputa D'Alfonso vs Dolce & Gabbana non può' e non deve essere inquadrata nel più o meno politically correct, soprattutto se riguarda un amministratore, che essendo nominato non dispone delle guarentigie virtuali del così detto consenso. D'Alfonso con la sua provocazione pone un problema serio a tuta la comunità, se possano o no sussistere conformismi e opportunismi di fronte al più odioso dei reati contro la società e le comunità : non pagare le tasse. Il vero nodo e' che dopo Mani Pulite, e' avvenuta un'alterazione della scala dei valori per doversi indignare, e l'interesse privato nella gestione pubblica e' in cima alla scala della indignazione. Negli anni 90, davanti al Palazzo di Giustizia si affollavano gli indignati, prima ancora dei processi, Emilio Fede vi aveva persino posto una telecamera ed un cronista fissi, oggi il Gossip sono le conseguenze della "sessuopatia" di Berlusconi, e dei collaboratori di piacere. Bossi investe nelle esigenze familiari il lauto finanziamento pubblico, che sotto la spinta per l'indignazione di Tangentopoli, i partiti della seconda repubblica si sono accaparrati e nessuno si indigna e tira monetine, si attendono i tempi della giustizia perché il " mandato preventivo di cattura" non può' più essere prassi; così come la condanna per evasione fiscale di Berlusconi e' derubricata in stabilita' di Governo e si fa il tifo per una clemenza della Corte. Abbiamo il più alto tasso di fiscalità mai raggiunto nella storia del Paese e tra i più alti nel mondo, abbiamo il più alto tasso di evasione fiscale, abbiamo tra i più alti debiti pubblici che erano il futuro delle nuove generazioni e della cui genesi l'evasione fiscale con la fuga dei capitali sono una componente. Indignarsi deve essere un dovere dei cittadini che le tasse le pagano e soprattutto quelli che magari subiscono le vessazioni dell'Agenzia delle Entrate per gli errori formali, e se ad evadere sono Berlusconi o Dolce & Gabbana ovvero coloro che stanno alla ribalta l'indignazione deve essere doppia o tripla perché denota l'assenza di solidarietà sociale, soprattutto verso quegli imprenditori marginali, cui una minore fiscalità segna il confine tra il proseguire e il chiudere. Sono i milanesi che debbono fare la serrata verso D@G e non viceversa, e contro tutti coloro che evadono le regole sociali e concorrenza. La scelta e' tra la solidarietà nei confronti di chi può' o riesce ad evadere o la consapevolezza che le tasse possono ridursi se tutti le pagano. Solidarizzare apertamente con l'Assessore e' un atto di sensibilità civica, la forma può andare a farsi benedire. I Milanesi sono i maggiori contribuenti, e' giusto che protestino contro un costante crescere delle tasse, ma prima di protestare si indignino contro chi le tasse le evade.be

Re-formatio. Per un vero partito riformista - Centro per la Riforma dello Stato

Re-formatio. Per un vero partito riformista - Centro per la Riforma dello Stato

venerdì 19 luglio 2013

Paola Meneganti: Il nuovo Miglio

E poi ci meravigliamo delle campagne stampa furibonde e urlanti - cito, tra tutte, quelle contro l’impiego pubblico, le Province etc…: se un giornale come il “Corriere della Sera” sbatte ieri in prima pagina, è il caso di dirlo, un articolo come questo, di Giovanni Sartori, un cosiddetto “politologo”, vuol dire che si è davvero rinunciato al ragionamento, alla dialettica, e rimane solo l’insulto, condito – in questo caso, soprattutto – da una chiara, pesante misoginia. Il Corrierone non è mai stato un faro di progressismo, per carità, ma ha conosciuto stagioni importanti proprio nel saper mettere in discussione e far confrontare opinioni e modi di vedere il mondo diversi. Adesso, siamo alla volgarità delle idee e dei sentimenti. Come dice Gad Lerner nel commento sotto riportato, un misto di salti logici, di affermazioni sciatte buttate lì a caso, di superficialità e di vanteria narcisistica (leggete il brano, comico se non fosse tragico, del “noto accademico” suo amico .. ma che c’entra con tutto il discorso sull’integrazione? Ma lo sanno, il “politologo” e il “noto accademico”, che sui temi dell’immigrazione, della convivenza e dell’integrazione ci sono biblioteche intere di studi, soprattutto in ambito anglosassone, dagli studi postcoloniali al meticciato culturale alle pratiche di municipi e città, e via così? Che se qualcuno di quegli e quelle studios* leggesse le righe di Sartori, credo che potrebbe ridere fino a morirne?). Questa prima pagina di ieri fa da pendant a quella de “la Repubblica” con il famigerato, notorio, volgare articolo di Merlo sulle Province (enti, a suo dire, degli stipendi inventati e dell'assistenzialismo tout court). Questo Paese scende sempre più in basso, rispetto alle sue manifestazioni “ufficiali”. Per fortuna che ci sono ancora movimenti, desideri, teste pensanti. Ma per quanto? (P.M.) IL DIBATTITO SU IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE Terzomondismo in salsa italica - Giovanni Sartori Quando cadde il Muro di Berlino tutto il mondo libero esultò. L'inconveniente fu che il marxismo-leninismo-stalinismo - in breve, il comunismo - rimase orfano, rimase senza ideologia. In Germania, nel 1959 a Bad Godesberg, la sinistra tedesca ripudiò quel passato e divenne una autentica socialdemocrazia con tanto di Mitbestimmung (cogestione) tra sindacati e padronato (altro che il sindacato di lotta e di conquista come a tutt'oggi la Fiom italiana). Tutto a giro anche nell'Occidente restano, è vero, schegge di comunisti duri e puri (come Vendola in Italia). Ma il fatto resta che il marxismo-leninismo è morto. Come sostituirlo? In Italia la trovata è stata il «terzomondismo», abbracciare la causa del Terzo mondo. A suo tempo Livia Turco (allora ministro) fu la «pasionaria» di questo terzomondismo dogmatico e pressoché fanatico. E purtroppo risulta che la Turco ha continuato a essere il consigliere occulto (e ascoltato) di tutti i nostri presidenti, da Ciampi in poi. Ho già avuto occasione di scrivere che il governo Letta è il più scombinato, in fatto di competenze e di incompetenze, della nostra storia. Nullità che diventano ministri, brave persone messe al posto sbagliato. Eppure Letta è del mestiere, conosce bene il mondo politico nel quale vive. Chi gli ha imposto, allora, una donna (nera, bianca o gialla non fa nessunissima differenza) specializzata in oculistica all'Università di Modena per il delicatissimo dicastero della «integrazione»? Beppe Severgnini sul Corriere di ieri ha stigmatizzato, e bene, le inaccettabili parole del senatore Calderoli, ma lei, Kyenge, si batte per un ius soli (la cittadinanza a tutti coloro che sono nati in Italia) mentre il suo ministero si dovrebbe occupare di «integrazione». E non sa, a quanto pare, che l'integrazione non ha niente a che fare con il luogo di nascita: è una fusione che avviene, o anche non avviene, tra un popolo e un altro. Io ho scritto un libro per spiegare quali siano i requisiti di questa integrazione etico-politica (che non è integrazione di tutto o in tutto). Capisco che un'oculista non deve leggere (semmai deve mettere i suoi pazienti in condizioni di leggere). Ma cosa c'entra l'immigrazione e l'eventuale integrazione con le competenze di un'oculista? Ovviamente niente. È chiaro che la nostra brava ministra non ha il dovere di leggermi. Per fortuna ho però molti affezionati lettori, uno dei quali (che è un noto accademico), mi scrive così: «Vivo a Torino nel cuore multietnico della città. A due traverse di distanza ci sono i locali dei neri (sub sahariani) e quelli dei magrebini rigorosamente distinti, più uno di romeni, che assolutamente non si mischiano. Alla faccia della integrazione». In Inghilterra, in Francia, e anche nelle democrazie nordiche vi sono figli di immigrati addirittura di seconda generazione (tutti debitamente promossi a «cittadini» da tempo) che non si sentono per niente francesi o inglesi. Anzi. Allora a chi deve la sua immeritata posizione la nostra brava Kyenge Kashetu? Tra i tanti misteriosi misteri della politica italiana questo sarebbe davvero da scoprire. Un'altra raccomandata a quanto pare anch'essa di ferro (da chi?) è la presidente della Camera Boldrini. In questo caso le credenziali sono davvero irrisorie. Molta sicumera, molto presenzialismo femminista ma scarsa correttezza e anche presenza nel mestiere che dovrebbe fare. La prossima volta il presidente Napolitano ha già fatto sapere che se il governo Letta cadesse l'incarico di presidente del Consiglio verrebbe di nuovo conferito a lui. Spero che in questa eventualità Letta sia messo in grado di scegliere un buon governo di persone giuste al posto giusto. L'Italia si trova in una situazione economica gravissima con una disoccupazione giovanile senza precedenti. Non si può permettere governi combinati (o meglio scombinati) da misteriose raccomandazioni di misteriosissimi poteri. Siamo forse arrivati alla P3? Corriere della Sera 17 luglio 2013 Con un editoriale sul Corriere della Sera costellato di salti logici e di vanterie narcisistiche, Giovanni Sartori ribadisce quest’oggi la sua ossessione senile: ce l’ha con il “politically correct” e in particolar e con le donne che lo impersonano. Cioè, nell’Italia di oggi, specialmente con la ministra Kyenge (non gli va giù che sia laureata in oculistica) e la presidente della Camera, Laura Boldrini. Affastella grossolane ovvietà intorno alla fatica dell’integrazione nelle metropoli, solo per imprecare contro il governo ed il Parlamento che si sono fidati di donne simili. E’ pronto per sostituire il defunto Gianfranco Miglio nel pantheon dei leghisti. Lo vedo bene lì fra Bossi e Calderoli. Gad Lerner 17.7.13

C'era una volta Zapatero: Spagna. Il vuoto nelle culle e nei portafogli

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Miliband, una nuova relazione tra partito e sindacati | EuProgress

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giovedì 18 luglio 2013

Roberto Biscardini: Sintesi dell'intervento all'Assemblea Socialista aperta; Roma 13 luglio 2013

Assemblea Socialista aperta Roma – 13 luglio 2013 Sintesi dell'intervento Primo. Ringraziando tutti coloro che hanno raggiunto Roma da tutte le parti d’Italia e i tanti amici e compagni, iscritti e non iscritti al PSI, che ci hanno inviato messaggi di saluto. Pur con sensibilità diverse, ormai siamo uniti da un convincimento comune. Fuori e dentro dal PSI c’è un sentimento che si sintetizza in poche parole: “basta con il declino, basta con un partito che vivacchia senza prospettive e senza futuro, basta con le nostre divisioni”. Dopo vent’anni di Seconda repubblica in cui abbiamo fatto la resistenza tenendo acceso una piccola fiammella, adesso dobbiamo dire “basta” e darci una nuova e più grande prospettiva. Come abbiamo spiegato più volte, questa non è una riunione di corrente e men che meno una riunione della minoranza del PSI, ma una libera assemblea di socialisti per aprire una fase nuova, che deve coinvolgere il PSI ma non solo. Tutti i socialisti devono poter trovare presto un nuovo punto di riferimento, un PSI diverso per una nuova iniziativa politica, una politica non per fare i reduci del passato, ma i combattenti del futuro. Per la costruzione di un’iniziativa socialista più larga in cui il PSI potrà svolgere un ruolo fondamentale solo se saprà rinnovarsi. Una fase che dovrà crescere secondo il metodo della collegialità e della partecipazione, senza personalismi e personificazioni. D’altra parte, una piccola forza com’è l’attuale PSI se vuole crescere deve avere una grande ambizione, è arrivato il tempo di rifiutare la logica della sopravvivenza e del vivere per passare dallo zero virgola (questo è il peso attuale) all’uno virgola. Questa è una prospettiva che non può più appassionare n essuno e non appassiona neppure me, perché un partito che si chiama socialista deve saper puntare in alto e quello che non si è fatto in molti anni può essere fatto in poco tempo. Certo non da soli possiamo da subito porci l’obiettivo di essere forza elettorale a due cifre, per avvicinarsi alle altre forze politiche europee ed avere un peso per essere interlocutori nella sinistra italiana. Avere un obiettivo ambizioso significa definire un ruolo non subalterno e non marginale rispetto alle altre forze politiche. E costruire una nostra e autonoma linea politica significa mettere la questione delle alleanze al secondo posto, anzi è arrivato il momento di non confondere più, come è stato fatto in passato, la linea politica del movimento socialista con la discussioni del “con chi vado, con chi sto”. La storia del passato ci dimostra peraltro che, nonostante ci siamo alleati c on tutti, da Dini a Vendola, mai siamo migliorati e mai abbiamo portato a casa buoni risultati. Riacquistiamo quindi prima di tutto un ruolo e uno spazio politico che dev’essere sia nazionale che locale. Entrambi i livelli devono vivere in sinergia e non, come oggi, che si è lasciato al livello locale tenere alta la bandiera e a livello nazionale si è messa invece la testa sotto la sabbia. Quindi, occorre ritrovare una spinta vitale, che sia di rigenerazione di una nuova prospettiva. Una prospettiva che in questa fase non può che venire dal basso, contando su due fattori: ricostruire con un lavoro umile il rapporto, in giro per l’Italia, con sezioni, gruppi di compagni e militanti, non preoccupandoci di fare incontri anche ristretti, ma nello stesso tempo liquidare al vertice ogni nomenclatura, piccola o grande che sia e demandare, quando sarà il momento, solo ad un congresso assolutamente aperto, la scelta larga del gruppo dirigente del nuovo corso socialista. Secondo. Un piccolo partito può, in poco tempo e con urgenza, lasciarsi alle spalle e superare le difficoltà gravi in cui si è venuto a trovare e contemporaneamente decidere di pensare in grande. Per questo non serve un congresso chiuso nelle piccole stanze del PSI. Se dobbiamo fare una mozione la faremo. Ma non è questa la strada migliore, la strada migliore è creare le condizioni per un congresso di rifondazione e di rigenerazione unitaria del socialismo italiano. Quindi, un congresso aperto, con regole nuove, che favorisca la partecipazione dei compagni iscritti, di quelli che abbiamo perso negli ultimi anni e di tutti coloro che possono arrivare perché accolgono il nostro appello e sentono aria nuova. Un congresso che, in una fase come questa, non si pu&ogra ve; accontentare né di pochi iscritti né di piccole mozioni, ma un congresso in cui linea politica e gruppo dirigente siano scelti con metodi larghi e non escludendo la partecipazione degli elettori. Un congresso che non inizia e non finisce, come ho detto prima, con nomenclature precostituite, ma un congresso da far crescere nel dibattito e nel confronto, anche duro, sulle prospettive e sul necessario rinnovamento. Terzo. Per quanto riguarda il PSI, dobbiamo dire per prima cosa, con assoluta sincerità senza anteporre posizioni personali, che è arrivato il momento di chiedere al Segretario di fare un passo indietro per il bene e per amore del partito. Oggi, Riccardo non è più in grado di garantire l’unità del partito, non è più il punto di riferimento di una solidarietà interna e di una fiducia che il partito gli ha affidato per lunghi anni. Oggi la sua presenza costituisce un ostacolo alla ripresa, alla costruzione di un soggetto unitario e avendo lui lavorato per anni, anche contro il nostro parere, più per un partito piccolo che non per una prospettiva larga non è più lui oggi che può garantire una nuova prospettiva del socialismo italiano. Nencini, nonostante tanti consigli e tanti suggerimenti, ha voluto un partito piccolo, ha chiuso le porte anziché aprirle, ha identificato il futuro del partito con l’acquisizione di qualche posto, di ministro o di sottosegretario, ma alla fine ha umiliato le aspettative di tanti socialisti, dell’intero corpo vivo del PSI e persino della sua storia. Rinunciando a presentare la lista del PSI alle elezioni politiche, in una competizione elettorale del tutto sicura e persino senza rischi, è venuto mano ad un mandato implicito con la guida di un partito. Nella coalizione di centrosinistra potevamo partecipare autonomamente ed ottenere un risultato che ci avrebbe potuto garantire l’elezione di un gruppo di parlamentari maggiore di quello attuale. Un gruppo parlamentare che oggi potrebbe contare sulla forza di essere in Parlamento con le proprie gambe. Ciò non è avvenuto e la campagna elettorale è stata gestita nel modo peggiore, sicché oggi non abbiamo più alcun ruolo. Siamo in Parlamento e non sappiamo se siamo in maggioranza o all’opposizione. Siamo spariti da qualsiasi comunicazione politica e non bastano certamente le trovate dello spontaneismo politico e dei gazebo, per coprire il vuoto di linea e l’isolamento nel quale ci siamo ficcati. Insomma, con gli ultimi mesi si è stravolto l’indirizzo politico che il partito aveva avuto da Montecatini e confermato a Perugia. Quell’indirizzo che ci aveva fatto lavorare per cinque duri anni in nome della prospettiva di ritrovare identità e autonomia e creare le condizi oni per un autorevole ritorno dei socialisti in Parlamento. Oggi il problema del Psi non è quello di un partito con troppe linee politiche, ma semmai di un partito che non ne ha nessuna. Si muove a zig-zag ma senza meta sicura. Quarto. La fase che si apre oggi è quindi la fase della ricostruzione e della rinascita, che deve contare sulla capacità di metterci alla prova su questioni alte. In grado di rinvigorire i compagni e aggregarne di nuovi. Il primo scoglio che avremo davanti sarà la presentazione di una lista socialista alle europee. Una lista che dobbiamo prepararci subito a mettere in campo. Una lista non del PSI, non solo di socialisti come sommatoria di vecchie anime, non una lista della costituente socialista, ma una lista socialista che parla agli italiani. Una lista che proponga i programmi del socialismo italiano per partecipare, con una certa autorevolezza, al corso positivo del socialismo europeo. Da questo punto di vista non basta dire siamo socialisti europei, bisogna dimostrare prima di essere socialisti italiani, di contare qualcosa e poi saremo anche naturalmente i socialisti italiani del socialismo europeo. Una lista nella quale dovremo mettere al centro tre grandi questioni che già abbiamo abbozzato nel seminario del 4 di maggio. La riforma di uno Stato, perché ci sia uno Stato che funzioni, perché ci sia uno Stato uguale per tutti, perché ci sia uno Stato onesto che non consenta, com’è stato detto qui da alcuni compagni, che la poca economia che c’è rischi di essere, in alcune aree del paese, economia criminale. La questione sociale e occupazionale del paese (la stessa questione sulla quale, più di cento anni fa, nacquero i socialisti). Ed infine la questione economica, per la quale bisogna dare risposte diverse da quelle che oggi sono prevalenti . La politica economica di un partito socialista non può essere la politica economica della destra italiana e della destra europea. Non basta dire quindi austerità e riduzione del debito per qualificare una politica di crescita e di sviluppo di cui abbiamo assolutamente bisogno. Per questo ci impegniamo a organizzare a settembre o in autunno una conferenza economica che potrà essere alla base del nuovo corso dei socialisti italiani. Quinto. Lo spirito con cui abbiamo promosso questa assemblea e con il quale continueremo a lavorare politicamente, com’è stato detto, non è quello della piccola corrente o del piccolo gruppo. Nessuno di noi, ed io per primo, è disposto ad impegnarsi con tutte le sue forze per un obiettivo così limitato. Oggi ci sono le condizioni politiche, economiche e sociali per una reazione forte, per uno scatto di orgoglio e di dignità, per non rassegnarci allo status quo, ma decidere di vivere intensamente. Questa è la “posta in gioco” per i socialisti che vogliono ancora essere tali, è la “posta in gioco” di un nuovo congresso. Tutti i compagni che sono qui oggi sanno benissimo di non essere alla fine del percorso, ma solo agli inizi. Siamo ai primissimi passi, armati di un’unica convinzione: non basta avere un progetto politico, bisogna costruire le gambe per renderlo comprensivo e vincente, per farlo conoscere e per intercettare adesioni e consensi. Oggi, il problema per noi più importante è avviare un nuovo corso per rendere praticabile e possibile il pensiero dei socialisti italiani.

L’ESTATE CALDA DI RAJOY E I PRESUNTI FONDI NERI AL PP: I SOCIALISTI NE CHIEDONO LE DIMISSIONI | Avanti

L’ESTATE CALDA DI RAJOY E I PRESUNTI FONDI NERI AL PP: I SOCIALISTI NE CHIEDONO LE DIMISSIONI | Avanti

mercoledì 17 luglio 2013

Franco Astengo: Il senso profondo della crisi

IL SENSO PROFONDO DELLA CRISI dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Il senso profondo della crisi aleggia attorno a noi: per individuarlo basta guardarci attorno, svolgere inchieste empiriche con il metodo semplice dell’osservazione. E’ sufficiente assistere al dramma della disoccupazione, ai suicidi per povertà, all’arretramento nelle condizioni materiali di vita nel quotidiano, all’impossibilità del rivolgersi al welfare. Il senso della crisi sta nei negozi chiusi, negli opifici silenti dove non echeggia più il rumore del lavoro, nel ritorno alla “guerra tra i poveri”, all’odio crescente tra gli apparentemente diversi senza che nessuno sia più capace di farli riconoscere tra loro eguali nel gran modo degli sfruttati. Serge Halimi dalle colonne de “Le monde diplomatique” scrive di “Medioevo Europeo”. Sì appare proprio un “ritorno al Medioevo” quanto sta accadendo qui nell’Occidente super sviluppato. Il senso profondo della crisi lo si avverte nell’assenza del conflitto: ci giunge lontano l’eco di “piazze ribelli” poi normalizzate dallo stridere lento sull’asfalto dei cingoli dei carri armati. Un’eco lontana che non sappiamo raccogliere, rinchiusi qui nella fortezza di un’economia definita “comportamentale” che ci impone i modelli, gli stili di vita, i consumi senza dei quali il nostro individualismo non trova altra strada che annegare nella disperazione. Il senso profondo della crisi corrisponde all’assenza di un’alternativa, nell’omologazione delle culture, nel rendere omaggio all’eterna e intangibile “costituzione del potente”. “Ribellarsi” potrebbe rappresentare l’imperativo d’obbligo: ma come? Il senso profondo della crisi ci impone di riscoprire la politica: la politica, prima di tutto, intesa come ricerca dell’appartenenza alla propria condizione materiale, la politica come studio della situazione umana, dal singolo al collettivo, per cercare, proporre, imporre soluzioni, la politica come sede di rappresentanza degli interessi e dei conflitti. Se ritorno all’indietro c’è, ritorno all’indietro deve essere fino in fondo anche per le grandi masse dei diseredati, colpiti dall’eterno ma mai eguale massacro capitalista, perché ritrovino la scienza, la volontà, la forza di organizzarsi per resistere e cambiare profondamente questa società: pietra su pietra come si scriveva un tempo Franco Astengo

martedì 16 luglio 2013

La Giunta, le critiche di un consigliere eletto nelle nostre liste, e il silenzio del partito | La Talpa Democratica

La Giunta, le critiche di un consigliere eletto nelle nostre liste, e il silenzio del partito | La Talpa Democratica

Paolo Zinna: Una mappa per il Congresso | La Talpa Democratica

Una mappa per il Congresso | La Talpa Democratica

Vittorio Melandri: Quale cambiamento?

Quale “cambiamento” occorre perseguire perché sia di sinistra? …. ripartire da Gramsci e Lombardi Michele Serra in un suo pezzo odierno su la Repubblica, con cui il quotidiano di Largo Fochetti inaugura una serie di interventi dedicati alla “sinistra”, incita appunto a “dire qualcosa di sinistra”, e cita Prezzolini che nel 1972 attribuiva alla Destra “i libri e la cultura” e alla Sinistra le canzonette, la televisione, i consumi futili, le mode, l’irresistibile marea montante della massificazione. Eppure è nota la frase di Gramsci… “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.” E forse meno nota, ma altrettanto perentoria la sua convinzione (LC 535, a Tania, 15 febbraio 1932) per cui… .. «ognuno deve, sempre, studiare e migliorare se stesso teoricamente e professionalmente, come esplicatore di una attività produttiva» Non sono un militante comunista gramsciano né posso millantare di essere uno studioso di Gramsci, per quel che vale il mio pensiero, ammiro Gramsci in quanto grande intellettuale della sinistra, e combattente antifascista capace di sacrificare alle proprie idee la sua vita, ma citarlo in questo contesto mi permette di sottolineare che alla interessante analisi con cui Serra rileva come alla sinistra (diciamo coeva ai nostri ultimi trent’anni di vita almeno) sia mancata la capacità e la voglia di cambiare, manca (o viene dato troppo sottinteso) a mio modestissimo parere, in che direzione si deve intendere un….. …. “cambiamento che sia di sinistra”. Credo di non essere troppo lontano dal vero nel rilevare che la maggior forza (nel senso proprio di forza) politica della sinistra italiana, ovvero il PCI, facendo leva sul credito accumulato durante la Resistenza, ben testimoniato dal discorso di Togliatti al V Congresso del PCI (29 dicembre 1945 – 6 gennaio 1946) citato da Napolitano nella sua autobiografia… «Non vi è provincia, non vi è città, non vi è villaggio d’Italia dove non possa essere segnato con una croce il posto in cui un comunista ha dato la vita per la libertà del proprio paese»… … abbia poi nuotato nella “storia” dell’Italia repubblicana, come un “pesce pilota” al seguito degli “squali”, raccogliendo e nutrendosi dei resti di quello che “altri”, gli sbeffeggiati “riformisti” tipo Riccardo Lombardi, erano andati conquistando a favore dei più deboli. Sin da quando alla Costituente i comunisti hanno votato l’Art. 7 comprensivo del II comma, e di seguito poi quando, dopo l’unica stagione delle riforme che l’Italia abbia mai conosciuto, quella concretatasi nella seconda metà degli anni sessanta con il sistematico voto contrario dei comunisti, e che ha messo a segno i suoi ultimi colpi negli anni settanta con la conquista della legge 300/70 detta anche erroneamente “Statuto dei diritti dei lavoratori” (erroneamente battezzata, perché contiene anche i doveri), e la conquista di leggi capaci di regolare il divorzio, l’aborto, l’abolizione dei manicomi e l’adozione del SSN…. …. i comunisti stessi si sono trovati un patrimonio di cambiamento indirizzato a favore dei più deboli, che poco avevano fatto per conquistare, ma che poi è diventato un “avamposto”, una casamatta da difendere e basta, incapaci di cogliere i mutamenti che dettavano le ragioni di un aggiornamento di quegli strumenti che una destra sconfitta, ha sistematicamente cercato di svuotare di valore. La sciagurata stagione socialista-craxiana da un lato, spesa sotto l’egida fasulla di una GRANDE RIFORMA inutile, e la complementare quanto sciagurata ed altrettanto inutile avversione del PCI e dei suoi epigoni dall’altro (epigoni oggi paradossalmente diventati sostenitori proprio di quella balorda GR), hanno poi determinato la cesura profonda che oggi Serra ben fotografa con la sua analisi, ma non basta evocare il … …. cambiamento…. …. per suturarla. Se cambiare significa privatizzare quello che non deve essere privatizzato, la sinistra che c’è oggi in campo, ha già provveduto, e non solo …… se ne vanta pure!! Ma è solo un esempio per dire che il cambiamento deve essere funzionale ad un rafforzamento delle conquiste di un tempo, non ad una loro cancellazione, e alla conquista di nuovi diritti e alla capacità di assolvere a nuovi doveri, e questo può avvenire solo se una classe dirigente di sinistra torna innanzi tutto a ... “… studiare e a migliorare se stessa teoricamente e professionalmente”… e ad incitare i cittadini a studiare, “perché c’è ancora bisogno di tutta la nostra intelligenza.” Vittorio melandri

Lo stimolo alla ripresa - Eddyburg.it

Lo stimolo alla ripresa - Eddyburg.it

sabato 13 luglio 2013

Felice Besostri: Messaggio all'assemblea del Capranica

Saluto all’Assemblea del Capranica di felice besostri Care compagne e cari compagni una permanenza all’estero, programmata da tempo mi impedisce di essere qui tra di voi oggi. L’assemblea è stata organizata da compagni con cui mi son trovato molte volte d’accordo e di questo sono testimonianze i miei voti in CN e gli interventi in DN, dove ho solo voto consultivo, di cui non si trova traccia nei comunicati ufficiali. Quando non mi è stata data la parola, ho sempre pubblicato i miei interventi. Questa per me, anzi per noi deve essere un’assemblea aperta e di confronto per arricchire un dibattito precongressuale , in vista dell’appuntamento dii Venezia, ormai imminente anche se in ritardo rispetto alle previsioni statutarie. Guai a non compire scelte politiche chiare per fare solo questioni di nomi. In un partito ideale dirigenti potrebbero essere estratti a sorte: forse l’unico modo per far rispettare le norme sulla rappresentanza di genere, che dovrebbe presto essere paritaria e non per rispetto formale di norme statutarie ma per esigenze di rinnovamento della politica: impossibile senza una massiccia presenza femminile. Con il massimo di sinteticità: 1) Chiara collocazione a sinistra del Partito per contribuire con le sue idee e valori ad un rinnovamento della sinistra italiana ( parlando a compagni non è necessario precisare che la collocazione a sinistra non significa avventurismo e slogan gridati) 2) Difendere la Costituzione perché in essa è delineato un modello politico ed economico compatibile con la trasformazione sociale, verso una società di uomini e donne liberi ed eguali 3) Non rinunciare al socialismo, anzi confermare che senza una forte iniziativa socialista non si esce dalla crisi: il neo-liberismo ha provocato la crisi, non può pretendere di curarla con le sue ricette 4) In occasione del dibattito congressuale occorre coinvolgete tutta l’area socialista, di cui il PSI è parte essenziale, ma di cui non ha la rappresentanza esclusiva: di quest’area fanno parte i tanri compagni, che a partire dal fallimento della Costituente Socialista non hanno rinnovato la tessera per dissenso o delusione. Se non si recuperano questi compagni, che hanno condiviso con noi tante battaglie politiche e soprattutto un patrimonio ideale, come pensiamo di convincere chi è sempre stato più lontano? Le norme congressuali non devono consentire che valgano di più compagni con le tessere 2011 e 2012, di un compagni che la rinnovino quest’anno. 5) Trovare sperimentare forme organizzative con l’apporto dell’associazionismo socialista 6) Fare di una scelta europeista un elemento fondante della sinistra che vorremmo e che deve essere pronta per le elezioni europee del maggio 2014 con una nuova legge elettorale e con un programma comune discusso nel e col PSE e a sostegno di una candidatura socialista alla guida della Commissione Europea. . Liste collegate al Gruppo parlamentare dei socialisti e democrati e al PSE devono presentarsi alle elezioni europee in modo concertato Consentire la doppia iscrizione ai compagi, di ogni partito del Centro-sinistra che approvi la dichiarazione dei principi del PSE e si impegnino nella battaglia per la sua riforma 7) Fatte le scelte politiche è necessario un gruppo dirigente rinnovato: non ci devono essere compagni buoni per tutte le stagioni: necessari siamo tutti, indispensabile nessuno. Con il Congresso tutti i compagni diventano veramente eguali . Non di deve ripetere il Congresso di Venezia con una vittoria politica ribaltata nella composizione dei gruppi dirigenti. “Con la concordia le cose piccole crescono” ho letto queste insegna su un imponente edificio nella piazza del municipio di Riga, fanno riflettere, ma che fare quando un partito come il PSI è piccolo, ma grande l’ideale socialista, che non deve crescere ma imporsi non per i suoi iscritti ma per quelli che la crisi ha emarginato ancora di più ? Trovare una nuova unità dopo un confronto politico anche forte, ma rispettoso Felice Besostri

Lotta di classe e apatia nell'eurozona | Insight

Lotta di classe e apatia nell'eurozona | Insight

Étienne Balibar - Il governo dell'Europa - Alfabeta2

Étienne Balibar - Il governo dell'Europa - Alfabeta2

Franco Astengo: Ruoli e funzioni del Parlamento

RUOLO E FUNZONI DEL PARLAMENTO dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it L’attacco alle prerogative parlamentari è, forse, il più feroce tra quelli condotti dalle forze politiche che intendono mutare al fondo la struttura istituzionale disegnata dalla Costituzione Repubblicana, trasformando la Repubblica da parlamentare a presidenziale. Nel corso di questi anni si è cercato, con successo, di spostare l’antica “centralità” del Parlamento verso il prevalere dei concetti di “governabilità” e di “decisionismo”: tutte le parti politiche che si sono alternate al Governo e lo stesso governo dei “tecnici” che ha retto il Paese dal Novembre 2011 alla Primavera del 2013, hanno concorso pienamente a questo disegno, espropriando le Camere dalle loro prerogative più importanti ed agendo prevalentemente, sul piano della produzione normativa, attraverso gli strumenti dei decreti legge e delle leggi delega. Il punto di vero deperimento, però, nel ruolo dell’istituzione parlamentare è stato riscontrato, almeno dal punto di vista di chi tende a privilegiare la funzione di rappresentanza, nella capacità di espressione del dibattito politico in relazione alle diverse “sensibilità” (per usare un termine “togliattiano”) culturali, politiche, sociali presenti nella società italiana. Si è così pensato di riprendere i “fondamentali” di questa delicata materia, tentando di ricostruire – prima di tutto - sul piano teorico ruolo e funzioni del Parlamento, anche in relazione proprio a quanto disposto dal dettato costituzionale vigente, tenendo anche conto dell’incidenza che hanno avuto le diverse modifiche dei regolamenti. Sia l’eco del principio della tripartizione dei poteri, interpretata in modo forse eccessivamente meccanico come l’equivalenza tra Parlamento e potere legislativo, sia l’architettura del testo costituzionale italiano che dedica grande attenzione alla formazione delle leggi (com’è definita la sezione II del titolo I della seconda parte), sia, infine, l’evoluzione specifica del nostro sistema istituzionale nell’arco della seconda metà del ‘900 che aveva visto le due Camere ( e le loro commissioni) essere sedi effettive dell’elaborazione di gran parte dell’attività legislativa, hanno a lungo spinto per un’identificazione pressoché completa delle funzioni parlamentari con la funzione legislativa. Il Parlamento italiano, però, come del resto tutti i Parlamenti degli Stati Democratici, resta titolare anche di altre funzioni, alcune delle quali altrettanto importanti rispetto a quella legislativa. Prima fra queste la funzione rappresentativa: a ben vedere, infatti, quella rappresentativa non è “una delle funzioni” ma la natura stessa che contraddistingue il Parlamento: tant’è che in sua assenza lo stesso Parlamento non potrebbe definirsi tale ed è proprio in nome della rappresentanza, di questa sua natura rappresentativa, che è chiamato a svolgere tutte le funzioni che gli sono attribuite. Occorre far notare, inoltre, che l’attuale legge elettorale in vigore in Italia riduce fortemente la capacità rappresentativa delle Camere, per una molteplicità di ragioni: dal premio di maggioranza, alle liste bloccate, all’asimmetria sistemica nella formula elettorale tra i due rami del Parlamento, alla disparità nella determinazione delle soglie di sbarramento. Al fine di cogliere la ricchezza delle funzioni svolte dal Parlamento, ancora oggi ci si richiama frequentemente all’antica classificazione delle funzioni parlamentari proposta da Walter Bagehot con riferimento alla Camera dei Comuni di metà ‘800. Secondo tale classificazione (Bagehot 1867) il Parlamento deve: eleggere un buon governo, fare buone leggi, educare bene la nazione, farsi correttamente interprete dei desideri della nazione, portare compiutamente i problemi all’attenzione del Paese. Certo, oggi la classificazione di Bagehot non può più essere riproposta tale e quale, se non altro perché il rapporto tra Parlamento e opinione pubblica si è profondamente trasformato, essendo ormai condizionato in forma decisiva dai mezzi di comunicazione di massa e dal processo d’innovazione tecnologica che questi hanno incontrato, in maniera vorticosa, in particolare durante l’ultimo decennio. Dell’antica classificazione di Bagehot debbono però essere mantenuti gli aspetti senza dubbio più acuti e innovativi consistenti, da un lato, nella consapevolezza che le funzioni del Parlamento si muovono lungo uno spettro ampio e debbono, perciò, articolarsi secondo tipologie complesse e non semplicemente secondo l’asse governo/parlamento, come intendono i corifei della “governabilità” ad ogni costo. Riassumendo possiamo così reinterpretare le cinque funzioni fondamentali del Parlamento: 1) La funzione d’indirizzo politico, inteso come determinazione dei grandi obiettivi della politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in specificazione dell’attualizzazione e dell’opposizione – dai diversi punti di vista – del programma di governo; 2) La funzione legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi cosiddetti “duali” che richiedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti dotati di potestà normativa; 3) La funzione di controllo, definita come una verifica dell’attività di un soggetto politico in grado di attivare una possibile attività sanzionatoria; 4) La funzione di garanzia costituzionale, da interpretarsi come concorso delle Camere alla salvaguardia della legittimità costituzionale nella vita politica del Paese; 5) La funzione di coordinamento delle Autonomie, sempre più complessa da attuare in un sistema che, nelle sedi di raccordo esistenti sia a livello internazionale che infranazionale tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi. In conclusione si può affermare che è chiamata in causa l’attività del Parlamento come organo dello Stato – ordinamento: cioè la Repubblica e di conseguenza la priorità dell’assolvimento del compito della più elevata capacità rappresentativa della molteplicità di articolazioni politiche, sociali, culturali, esistenti nella realtà nazionale. Al fine di realizzare al meglio questo compito entra in scena, quale fattore fondamentale, la legge elettorale: un tema di grande delicatezza al quale va prestata grande attenzione in un’ottica “sistemica” e non certo d’interesse contingente di questa o quell’altra forza politica. Franco Astengo

venerdì 12 luglio 2013

Austerity And Resistance: The Politics Of Labour In The Eurozone Crisis

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Democracy In Dangerous Places: Egypt – What Went Wrong?

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Le disuguaglianze insostenibili - micromega-online - micromega

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La piena occupazione e la nostra “ultima volta” - micromega-online - micromega

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Bce: occupazione ancora in calo nell'Eurozona - Rassegna.it

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From eurocrisis to a global new deal | openDemocracy

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giovedì 11 luglio 2013

Roberto Biscardini: Cambiare passo a Milano

I socialisti criticano la giunta Biscardini: "Cambiare passo" Martedì, 9 luglio 2013 - 08:30:00 di Roberto Biscardini consigliere socialista di Palazzo Marino Per due anni la maggioranza che ha vinto le elezioni comunali del 2011, ed in particolare il gruppo del PD, ha dato in silenzio il suo responsabile sostegno alla giunta Pisapia. Ora non basta più. Spetta alla maggioranza politica riprendersi il ruolo che le spetta e al consiglio riprendersi appieno le sue prerogative. Incominciare a dettare tempi, contenuti e regole. Cose del tutto inutili se l’esecutivo marciasse al ritmo delle aspettative della città. Ma le cose non stanno così. La giunta Pisapia sembra dar meno di quanto si poteva sperare. Il cambiamento rispetto al passato non è così chiaro ed evidente come tutti si aspettavano. Sulla giunta piovono spesso i malumori di cittadini e di categorie insoddisfatte, insieme all’insofferenza dell’elettorato politicamente più vicino, quello più popolare che vive nelle periferie, lontano dall’aristocrazia di destra e di sinistra del centro storico. E così al malessere di coloro che non solo sostengono la giunta con lealtà, ma vorrebbero persino “aiutarla” di più (ammesso che si voglia far aiutare), si sono aggiunte nelle scorse settimane le critiche di tanti che a Pisapia gli sono stati vicini. Marco Vitale per primo che denunciando una assenza di visione della città rileva “lo stallo che va paralizzando Milano” e aggiunge “La Milano di allora era, politicamente, una Milano socialista. Senza per questo essere una Milano rossa… Naturalmente esistevano, a quei tempi, assessori che si preoccupavano di usare la cultura come collante tra i vari ceti sociali. Ma, il vero collante, erano loro. I Signori Sindaci. Con i quali noi, felici costruttori degli anni cinquanta e sessanta, potevamo camminare a braccetto. Quasi fossimo stati amici da sempre.” Gli ha fatto eco l’assessore D’Alfonso, del sindaco amico personale e di cordata, che a due anni dal voto parla di “fallimento” e nei confronti di tutta la giunta rivolge la critica più impietosa: “La macchina comunale si è rivelata essere un imbarazzante trabiccolo e in due anni siamo riusciti a cambiare poco o nulla: abbiamo moltiplicato le ore di lavoro individuali, risolto le situazioni che ci venivano sottoposte – per lo più bene – ma abbiamo lasciato sostanzialmente inalterato il sistema, che non funziona oggi come non funzionava con la Moratti.” Quasi a dire: una nuova guida non c’è stata e non sono bastati un direttore generale, tre vicedirettori, venticinque nuovi o vecchi direttori centrali, presidenti di aziende pubbliche importanti dall’ATM a SEA, manager selezionati o confermati dal sindaco in nome della loro professionalità, a cambiare le cose che non andavano bene prima. Non si è stati capaci di far funzionare la struttura o non ci si è preoccupati di farla funzionare in altro modo. E così, senza un’idea forte della città e senza saper difendere e sviluppare l’eccellenza della nostra economia hanno preso il sopravvento annunci e dichiarazioni. Figlie di vecchie ideologie, con una discutibile tendenza a fare i pedagoghi con la vita degli altri. Per stare agli ultimi fatti, si denuncia un’eccessiva occupazione di spazi pubblici da parte di macchine in sosta ma si è continuato a revocare ideologicamente i parcheggi interrati del vecchio piano. Si insegue la crescita della mobilità ciclistica, ma non ci si preoccupa dei pendolari e di quelli che per mille ragioni, se non fosse altro che per l’età, in bicicletta non ci vanno. Con un’azienda fuori controllo come l’ATM, si arriva a sostenere che le metropolitane a Milano non servirebbero più e chi abita fuori Milano, in quanto diverso, dovrebbe pagare di più i mezzi di trasporto pubblico. Si scivola sul divieto di mangiare il gelato dopo mezzanotte e si pensa di recuperare il danno d’immagine prospettando un trasloco della movida in periferia. E ancora invocando il metro della “normalità” si decide che qualcuno sulla base del “comune senso del pudore” di antica memoria dovrebbe esaminare e censurare la pubblicità sessista. Troppo, per non decidere di fare il punto della situazione e cambiare passo. Indico qualche questione prioritaria, per lavorare in positivo e stare sul pezzo. Non basta l’Expo (peraltro gestita soprattutto da altri) a qualificare la politica urbanistica dei prossimi anni. Anzi, se il dopo Expo è ormai più importante dell’Expo stesso, ci sono molte altre cose da discutere e sulle quale decidere. Né basta tirare a lucido la città, o peggio ancora bloccare tutti i lavori pubblici per non disturbare Expo, per fare una buona politica urbana. La questione sociale incombe e un’idea sulla Milano sociale bisogna averla. Parte decisiva della questione sociale è la politica della casa. C’è un fabbisogno casa che va affrontato. Quello di chi potrebbe avere ancora qualche soldo per acquistare una casa a basso prezzo e quello di chi non avendo redditi attende solo e giustamente una casa di edilizia popolare, che non gli stiamo dando. Sulle infrastrutture, e in particolare su quelle per il potenziamento del trasporto pubblico, qualche cosa bisogna pur mettere in campo. Non basta trincerarsi dietro la crisi per non avere idee. Così come in generale bisognerebbe fare di più per spingere verso nuove opere pubbliche, tante e diffuse, come volano per la ripresa dell’economia, oltreché incentivare e mobilitare iniziative private. Non ci si può limitare a dire che non ci sono soldi. Questo lo fa benissimo anche la destra. In questi mesi il comune di Parigi ha acquistato alcuni cinema che a causa della crisi stavano chiudendo, e la crisi c’è anche là. Qui chiudono oltre ai cinema e ai teatri anche i negozi e cosa stiamo facendo? Poi ci sono le politiche sociali, come dicevo, che premono. Quanti sono i senza reddito e quante sono le famiglie in difficoltà, qual è la capacità di risposta del comune? Compito delle giunte riformiste é trovare le forme per affrontare le questioni più gravi in momenti di crisi non solo in quelli in cui le vacche sono grasse. E su questo saremo giudicati. Aggiungo la grave questione del decentramento. Avevamo iniziato il nostro mandato pensando di poter trasformare le nostre zone in veri e propri municipi sul modello francese o perlomeno romano. Ma non mi sembra che siamo andati in quella direzione. Anzi tutto è rimasto uguale. Accentrato nella macchina comunale che per altro non funziona. Lenta, farraginosa, spesso incapace di dare anche semplici licenze o autorizzazioni in tempi accettabili. Tempi che proprio in momenti di difficoltà dovrebbero essere maggiormente ridotti, con misure straordinarie ed eccezionali. Il tran tran della pubblica amministrazione, le sue lentezze e i suoi vizi in momenti di crisi sono vere e proprie vessazioni. Ti fanno rinunciare a fare, ti fanno scappare e ti fanno fallire. Parafrasando Luca Beltrami Gadola che nei giorni scorsi ha parlato dell’insufficienza della “forza gentile”, potrei dire ad adiuvandum che c’è persino un problema democratico rispetto al quale una sinistra democratica e una “forza gentile” non può sgarrare. E’ un limite dire troppo spesso: qui decide il sindaco, qui decide la giunta, noi ascoltiamo tutti i cittadini (che per altro è un facile eufemismo) e contemporaneamente si ha difficoltà a discutere e a confrontarsi con il consiglio comunale che nel bene o nel male è l’unico organo democraticamente eletto in rappresentanza di tutti. E’ un limite non saper costruire politiche condivise con i tempi che una giusta discussione spesso richiede. E’ un limite non riconoscere le prerogative del consiglio comunale e il diritto di informazione dei singoli consiglieri. Ed é infine un limite far pesare nei rapporti politici e istituzionali gli insuccessi delle proprie speranze. Anche perché se la giunta si è sentita arancione, il consiglio non lo è mai stato. Se alcune ambizioni non hanno sfondato né a Roma né in Lombardia poco importa. Dedicarsi a Milano e alla crescita delle sue eccellenze é la migliore politica nazionale che un sindaco può fare, perché se tira Milano tira l’Italia. http://www.affaritaliani.it/milano/i-socialisti-criticano-090713.html

Francesco Maria Mariotti: Srebrenica

Ci sono eventi che hanno segnato la storia contemporanea, e la nostra vita, anche da lontano. Il massacro di Srebenica (1995) che oggi ricordiamo è sicuramente uno di questi; molti di noi assistettero con sconforto e rabbia a quanto avvenne sotto gli occhi dell'ONU, e questo evento forse più di altri - fra i tanti orrori che si videro in quella guerra - ci spinse a posizioni "interventiste", in quello scenario, ma non solo. Oggi ricordiamo con dolore le vittime, ma il mio pensiero va anche a quei soldati olandesi dell'ONU che non ebbero la forza - ma forse neanche la possibilità realistica - di intervenire. Mi chiedo se nei loro confronti non ci fu un accanimento eccessivo, perché è sempre difficile giudicare quando non si è "sul campo". Mi chiedo come oggi vivano questo ricordo orribile. Forse, la presunta vigliaccheria di quei soldati rappresentò uno scandalo in cui trovammo raffigurata molta della nostra incapacità - ma anche imposssibilità oggettiva, per certi aspetti, vista la complessità di quelle dinamiche belliche - di intervenire. E' opportuno, è necessario, che avvengano gli scandali, come forse ha detto il Maestro (la traduzione è oscillante, si sa) E nello scandalo di Srebenica imparammo purtoppo molto, tragicamente, della nostra fatica di europei e della nostra difficoltà di fondare una vera comunità politica; che richiede spesso la guerra, grande tabù (anche nella forma virtuale odierna) del nostro continente. Francesco Maria Mariotti Martedì 9 luglio migliaia di persone si sono radunate lungo le strade di Sarajevo, in Bosnia, per assistere al passaggio di tre mezzi che trasportavano i resti di 409 persone morte nella strage di Srebrenica, nel 1995, e identificate negli ultimi dodici mesi. Le bare erano dirette al piccolo comune di Potocari, vicino al luogo della strage, dove giovedì 11 luglio si terrà – nel 18esimo anniversario della strage – l’annuale cerimonia di sepoltura dei cadaveri identificati nel corso dell’anno. La riesumazione e l’identificazione dei morti nella strage di Srebrenica è stata iniziata negli anni Novanta dal Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, ma negli ultimi anni è passata sotto la responsabilità delle autorità bosniache. Le fosse comuni in cui vennero sepolti i morti di Srebrenica dai serbo-bosniaci sono numerose e sparse per tutto il territorio circostante al paesino. In alcuni casi, nel tentativo di nascondere l’entità della strage e le responsabilità, gli autori del massacro scavarono nuove fosse in cui trasferirono parte dei morti, complicando ulteriormente le procedure di ritrovamento e identificazione. (...) Nel 1995, a Srebrenica, le forze militari serbo-bosniache guidate da Ratko Mladic organizzarono il massacro di migliaia di musulmani bosniaci. All’epoca era in corso la guerra di Jugoslavia e la zona di Srebrenica era sotto la tutela delle Nazioni Unite, presenti con tre compagnie olandesi di caschi blu. L’area era diventata protetta a partire dal 1993, in seguito a un’offensiva serba che aveva indotto le forze bosniache a ritirarsi e lasciare il controllo all’ONU. L’attacco delle forze guidate da Mladic iniziò il 9 luglio e due giorni dopo le truppe serbo-bosniache entrarono in città. Dopo aver separato gli uomini adulti dalle donne, dai bambini e dagli anziani, iniziò il massacro che portò all’uccisione di oltre 8 mila persone. Le forze dell’ONU non intervennero per ragioni che non sono mai state chiarite fino in fondo. Secondo la versione ufficiale, i 600 caschi blu nella zona non erano preparati e armati a sufficienza per affrontare le forze serbo-bosniache. http://www.ilpost.it/2013/07/10/identificazione-sepoltura-morti-srebrenica-potocari/ http://it.euronews.com/nocomment/2013/07/10/omaggio-alle-vttime-di-srebrenica/ http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/07/09/ricordare-srebrenica-parte-la-marcia-della-pace/ https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Srebrenica (ricostruzione abbastanza dettagliata, ma che ha la pecca di ricordare anche una teoria negazionista/complottista, che forse non meritava neanche un cenno)