Premessa
Ogni volta che in Italia si vengono a creare condizioni che consentano alla “sinistra” di assumere l’impegno e la responsabilità di governare, si mettono in moto le condizioni ostative promosse dalla pluralità di una sinistra, imprigionata nei propri soggettivismi e che si crogiola nell’ascolto ossessivo delle proprie ragioni, perché refrattaria ad ascoltare quelle degli altri.
Questa sindrome purtroppo tutta italiana, è assente o estremamente marginale nelle altre sinistre europee, che proprio per questo riescono ad essere considerate affidabili, e al contrario di quanto avviene da noi, sono destinatarie di ampi consensi sia sociali che elettorali.
In Europa questa sinistra è socialista, laburista e socialdemocratica, e tanto nei sistemi maggioritari quanto in quelli proporzionali, normalmente non va mai ricerca di alleanze ex ante, mai pragmaticamente solo ex post questo accade perché il consenso lo si cerca direttamente presso gli elettori: in forma ampia e possibilmente inclusiva, proponendo progetti che possano essere condivisibili anche oltre ai propri consolidati referenti, secondo la logica della vocazione maggioritaria, ed è anche per questo che “fenomeni abnormi” come quello di Berlusconi, non possono trovare riscontro.
La sindrome del “con chi allearsi” è tipicamente nostrana, in quanto spesso serve a sopperire l’assenza o l’inadeguatezza del progetto politico; e soprattutto perché solo in Italia si assiste ad una così esasperata frantumazione della sinistra, anche dopo la caduta del muro, che viene perpetuata in ossequio allo strumentale e autoreferenziale soggettivismo, gestito da“monaci” tanto instancabili quanto interessati, che pretenderebbero di scrivere regole da declinare come un “Talmud”o per una mai sopita e pregiudiziale concezione supportata in nome di una efficienza organizzativa.
Per illustrare questo represso scenario, il prolifico Franco D’Alfonso, è ricorso alla metafora delle sindromi di Alcatraz e di Macondo, evidenziando, come entrambe, siano più che mai geneticamente inadatte a poter essere recepite come un valore aggiunto, e tanto meno quale propellente per raccogliere quel consenso indispensabile per vincere le elezioni e per governare.
Che le diversità, siano una risorsa è più che scontato, ma non è detto che la loro manifestazione sia sempre opportuna, troppo spesso la loro errata proposizione e caratterizzazione sia in termini si spazi che in termini di tempo è stata la causa delle più cocenti sconfitte della sinistra italiana, e il suo perseverare trova raramente ostacoli come dimostrano l’approccio alle lezioni siciliane.
Da questa sindrome di vocazione minoritaria, solo di recente la sinistra italiana ha dato l’impressione di potersene liberare, ed è stato in occasione delle recenti elezioni amministrative di alcune città importanti: Milano, Napoli, Genova e Cagliari, tramite la positiva esperienza dei così detti “scenari arancioni”, nelle quali la pluralità di valori, di idee ed esperienze hanno permesso di promuovere scenari di effettiva discontinuità, e realizzare un’aggregazione di consensi che ha saputo travalicare il ristretto ambito di riferimento politico originale, in cui per anni si era litigiosamente rinchiusa, causa prima della sua lunga e gloriosa serie di sconfitte politiche e di erosione di consensi.
Se è pur vero che nelle esperienze “ arancioni ” di: Milano, Cagliari, Genova, Napoli, il combinato disposto alla base del successo è consistito nell’aver potuto individuare e indicare candidature, spontanee e coraggiose, prive di “reti di protezione o di condizionamento”, che sono potute emergere dal “percorso democratico ” adottato, che piaccia o non piaccia ai monaci dell’ortodossia, ai sofisti della conservazione, o ai legulei dei modelli, si configura nell’attuale congiuntura sociale e politica, quale unico sistema in grado di promuovere e stimolare la percezione di un più ampio senso di inclusione non che offrire la speranza che si possa realizzare un profondo cambiamento, nel quale la capacità e la volontà di creare condizioni di effettiva condivisione, oltre ad esserne il volano diventano il cardine per difendere la democrazia dalle influenze dei risorgenti populismi.
Qualsiasi cambiamento in corsa, sia nel caso di modificazione più o meno profonda dell’attuale sistema, sia nel caso di un suo radicale cambio di impostazione come evocato da alcuni, può essere perseguito solo attraverso un diverso esercizio della democrazia: dove la politica dell’annuncio privata dal conforto e dalla forza del riscontro, possa essere sostituita dalla politica del dialogo e dell’inclusione, realizzabili solo attraverso il radicamento nei modelli e nei processi di “governance”, di sistematici processi di condivisione proattiva, propedeutici a rendere plausibili, prima ancora che perseguibili le discontinuità che ci si promette di realizzare.
I sindaci arancioni, hanno avviato questo percorso, attivando la politica dell’ascolto, ma il successo vero sarà rappresentato dall’aver saputo introdurre e consolidare nel sistema di “governance” la più vasta capacità di inclusione per consolidare una siste4matizzata e larga condivisione nei processi di governo. Questo era l’ impegno programmatico dei candidati sindaci, e l’appello/auspicio di quel “ non lasciatemi solo”, lanciato da Giuliano Pisapia, gridato dal palco di Piazza del Duomo la sera della riconquista di Palazzo Marino.
Sono in troppi , che alla vigilia delle elezioni nazionali, preferiscono dribblare queste vittoriose esperienze, che sono state un successo perché hanno avuto il pregio di non annichilire le diversità, imponendo loro, però, di ricondurre il potenziale valore aggiunto in un sistema più ampio finalizzato all’obiettivo più ampio, disinnescando così “ ex ante ” il tradizionale e più che scontato rischio di pregiudiziali condizionamenti di cui non si sentiva e tutt’ora non si coglie l’utilità, e di cui è purtroppo ricca la tradizione della sinistra italiana, il cui ultimo esempio, ancor orfano di autocritiche, è il triste ricordo dell’esperienza del governo Prodi-Tommaso Schioppa , unico ad avere intuito la profondità della crisi incombente, e delle conseguenze che ne sarebbero potute derivare al nostro Paese.
Stati Generali o Stati Confusionali.
In Italia, quando non si ha o si è esaurito un progetto o non si sa più dove andare, vengono evocati, gli Stati Generali, ce ne sono di tutti i tipi e con diverse finalità, con l’obiettivo di individuare dove “poter o dover andare”, anche se sicuramente utili non si hanno ancora riscontri per comprendere se hanno saputo offrire un effetto leva per il perseguimento di risultati positivi ed interessanti.
Anche nella sinistra, sono venuti di moda, la loro agenda come spesso succede o è enciclopedica o assolutamente vaga e finalizzata stabilire il “ dimmi con chi vai e ti dirò che sei” o al massimo a ricercare vincolanti punti di intesa da rendere quali “milestone” dell’attività dell’eventuale futuro governo.
La storia degli Stati Generali, ci narra come essi, nati per tenere sotto controolo ai tentativi espansionistici della monarchia, si concludevano sempre per nell’alleanza tra la Borghesia e Clero a lasciando in minoranza il popolo e gli artigiani.
E’ assolutamente legittimo sospettare che anche gli Stati Generali così tanto evocati, e dalle presunte finalità taumaturgiche, finiscano per trasformarsi in un “Gymnasium” per esibizioni muscolari inconsistenti, o per sermoni di “monaci” in cerca di autore, o per incoronare principi d’antan o semi nuovi o peggio ancora per realizzare programmi per “imbalsamare” l’eventuale governo della sinistra.
In questo senso i segnali premonitori, ci sono tutti e sono di una tale evidenza, che volerli sottovalutare sarebbe un grave errore, così come vogliono fare alcuni socialisti, che per legittimarsi a pieno titolo, ricorrono all’abuso della suggestione retorica o rimettendo in circolazione “i carri funebri “ della gloriosa storia instradandoli in percorsi indistinti e privi di una meta percepibile.
Non si può restare prigionieri del passato, guardare il futuro con gli occhi del passato è solo come auto tutela delle proprie soggettività, e se senza una storia non si va da nessuna parte è altrettanto vero che il XXI° secolo ha ormai ben poco da spartire con il precedente.
Da tempo il dibattito politico della sinistra è cortocircuitato tra il come eravamo, o il come dobbiamo essere per tornare a governare, ad entrare nella stanza dei bottoni, senza peraltro sapere che cosa si può o si deve fare.
Lo scenario della crisi viene vissuto ed assimilato dalla sola prospettiva nazionale, come se fosse ormai consolidata nella sinistra la capacità di individuare la formula risolutiva nella convinzione cha da soli si può uscire da una crisi di dimensione globale (SIC).
La demonizzazione del capitalismo, del mercato,della globalizzazione, dell’Euro, della cessione di potestà, sono temi sui quali si converge da destra e sinistra, stupendosi poi che la gente non riesce più a distinguere con chiarezza.
L’”anarco-populismo”, l’evocazione di un federalismo su base etico ed economico, gli orfani dell’eurocomunismo, la senilità di ex ministri che scoprono il “mercatismo”, il rigetto delle regole e dei patti sottoscritti sono il vasto terreno sul quale si sono gettati Grillo, Di Pietro, la Lega,la Destra, comunisti e post comunisti, gli scettici dell’Euro di destra. Di centro e di sinistra, per alimentare un dibattito concentrato esclusivamente dal sistema elettorale, dal giustizialismo e dalla denuncia della macelleria sociale.
Non può sfuggire come in questo scenario il prioritario sapere dove andare, e il successivo come si può rimarrebbe sfumato, per concentrare il confronto sul “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei ”: classico rifugio per mascherare il vuoto di visioni e di strategie.
Si assisterà alla semplificare del dibattito nella sinistra, ricondotto nel vicolo cieco dell’antica diaspora solo italiana tra riformisti e radicali, un discorso assolutamente datato; la questione vera che va posta è quella di una sinistra che il cambiamento lo propone e lo vuole realizzare in uno scenario di coordinate e vincoli, e un’altra sinistra a vocazione minoritaria, la cui visione di cambiamento è proiettabile solo in contesti autarchici e/o antagonistici ( No TAV, Questioni Sociali ecc), con la suggestione di governare con la cultura dell’opposizione.
L’anima anarco-populista-corporativa rischia di rendere di difficile distinzione destra e sinistra trovando un denominatore comune, seppur agitato in modo contrapposto, nel giustizialismo, nel nuovismo fine a sé stesso.
Ma la questione centrale è come uscire con gli altri dall’attuale crisi, di come affrontiamo l’esigenza di ridurre il debito pubblico o di renderlo più garantito, come vogliamo concorrere a dare una nuova dimensione politica all’Europa, come difendere la moneta unica, come costruire un Tesoro europeo e come e con quali vincoli possa battere moneta, quali potestà rendere a fattor comune e quali ritenere indisponibili, quale mercato o quali mercati con quali regole, come dare regole alla globalizzazione, come affrontare il dramma occupazione, il ridisegno del welfare, le nuove relazioni tra capitale produttivo e lavoro, come sterilizzare e quali regole per il capitale finanziari ecc, e soprattutto come dare vita in Europa ad una sinistra transnazionale indispensabile per la trasformazione dell’Europa, perché se non si trasforma l’Europa difficilmente si potrà trasformare l’Italia.
Il dibatto che avrebbe dovuto precedere gli Stati Generali non c’è stato, e questa è una scelta voluta; è quindi più che ragionevole sia il pregiudizio sulla validità di questi Stati Generali così come il paventare che ancora una volta si trasformino in un boomerang per un eventuale successo della sinistra.
I socialisti
Come scrive Felice, sono tanti e dispersi, e ciascuno secondo abitudine sembra giocare per se stesso pensando di giocare per tutti; l’attrazione nei confronti degli Stati Generali, appare più come un’esigenza di dimostrare il proprio pieno titolo di stare nella sinistra, correndo anche in più di un’occasione di snaturarsi.
In molti non colgono che è solo lo scenario globale me d europeo che può condizionare alla svolta socialista in Europa e quindi anche in Italia, e che la costante provocazione e denuncia dell’autarchia della sinistra italiana ,, in proiezione futura rappresenta un pericoloso rischio.
Nell’aspettare il Godot, della scelta socialista in Europa che SEL o PD dovrebbero fare, si finisce per inglobare nella visione europea, anche quelle “frattaglie di sinistra” che sparse vi sono, ma che servono solo per legittimare le diversità inconcludenti nostrane.
1 commento:
bell'analisi. Però per me la parola "Stati generali" rievoca solo gli
ultimi, che son esorditi con la raccolta dei Cahiers de doleance, e sboccati
prestissimo nel giuramento della pallacorda, dei delegati del terzo stato
decisi ad andare avanti da soli, e con le resistennze del re, del clero e
della nobiltà travolti dalla presa della Bastiglia. I nostri Stati generali
hanno un eccessivo rispetto della nobiltà (la casta politica) e del clero
(sempre quello) e nessuno pensa di prendere le Bastiglia, perchè comunque ci
sarebbero troppi cortei distinti per sigle politiche e sindacali e unanimi
nella dichiarazione "io con quello non ci vado neanche al caffè".
Trovo significativa la sdegnata reazione contro la candidatura di Renzi "io
con quello non ci vado perchè è un liberista e forse un agente di
berlusconi". Si però è l'unico che propone la ghigliottina per la casta del
PD, mentre quelli tanto di sinistra fanno 5 minuti di adorazione quotidiana
dell'arrogante perdente D'Alema, i cui contributi al pensiero di snistra non
mi sembrano eccezionali, ma almeno facesse solo quello. Ha anche impedito a
Bersani di candidarsi contro Veltroni: speriamo che Bersani abbia imparato
la lezione e alla fine ci presenti un'alleanza di fatto con Renzi
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