giovedì 11 febbraio 2021

PER UNA SVOLTA DELL’URBANISTICA MILANESE di Gian Paolo Corda

Assemblea dei Socialisti di Milano Sabato 6 febbraio 2021 Rincuora una assemblea come quella di oggi che vede nascere il tentativo di dare voce unitaria al Socialismo milanese, dopo mesi, se non anni in cui se ne è perduta perfino la speranza. Il mio contributo di oggi non riguarda, se non per concordare, questo rinnovato sforzo di unità socialista, ma vuole dare, in vista delle prossime scadenze amministrative, un contributo utile ad articolare la proposta dei socialisti milanesi in rapporto al tema della “costruzione della città” e alla necessità di dare una svolta alla politica urbanistica di Milano negli ultimi quindici anni. Ho militato per anni nel Partito socialista a partire dai primi anni Settanta e devo molto della mia formazione alla scuola del lavoro paziente e creativo della mia sezione di viale Monza. Ho vissuto la stagione felice Decentramento amministrativo per più mandati, come capogruppo e vicepresidente del Consiglio di Zona 10 Monza-Padova. Anni di crescita del Partito Socialista fino alla mancata celebrazione del suo centenario nel 1992. Nel giugno del 2000, in applicazione della legge regionale 9 del 1999, Milano ha conosciuto, con l’approvazione del “Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali”, un diverso modo del fare urbanistico che, superando la rigidità del tradizionale Piano Regolatore e ispirandosi alla tradizione anglosassone, metteva al centro il progetto architettonico e urbano accompagnato da un piano di struttura, contenente le strategie di sviluppo urbano e regionale, cui essere soggetto per le verifiche degli aspetti di coerenza. Ad influire su questo diverso orientamento concorrevano la necessità: - di un fare urbanistico che non operasse “in negativo” apponendo vincoli urbanistici, resi inattuali dalla dinamica urbana, ma “in positivo” attraverso progetti attenti all’evolversi dei bisogni; - di regolamentare e rendere trasparente il processo di contrattualizzazione tra potere pubblico e iniziativa privata, superando la discrezionalità di un’urbanistica “contrattata”, che proprio sulla rigidità del piano aveva coltivato le proprie distorsioni. Il Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali, cui ho avuto la fortuna di collaborare, predisposto con il coordinamento di un grande urbanista socialista, Luigi Mazza, da Lanfranco Senn della Bocconi, Guido Bardelli, Luciano Minotti del PIM e da uno staff tecnico di prim’ordine del Comune con Emilio Cazzani e Giovanni Oggioni, era un vero e proprio piano di struttura in quanto assoggettava la flessibilità progettuale propria dei Programmi Integrati di Intervento, al rispetto di un impianto strategico che conteneva gli elementi strutturali irrinunciabili dell’Amministrazione: - la localizzazione delle grandi funzioni urbane (sanitarie, universitarie, di ricerca scientifica e tecnologica), - la politica delle infrastrutture di mobilità (in primis quelle ferroviarie) deputate ad uno sviluppo ordinato della tendenza insediativa nella città e nell’area metropolitana, - la promozione di un’edilizia sociale capace di dare risposta al ceto medio, con edilizia convenzionata e agevolata, e ai ceti meno abbienti, con edilizia sovvenzionata. Gli anni che sono seguiti hanno visto sorgere, e cito solo i tre più significativi, CityLife sul polo storico della Fiera, Porta Nuova che si trascinava da quarant’anni senza esito, il Portello sulle aree dell’Alfa Romeo. Tre interventi di rigenerazione urbana, diversamente giudicabili, che hanno tuttavia cambiato il volto della città e la cui esperienza merita una attenta riflessione. In questi, come in altri, è stata sì attuata la flessibilità concessa ai grandi operatori che hanno guardato al mercato immobiliare, ma l’Amministrazione non è parsa in grado di far valere le ragioni del piano di struttura, che pure si era dato; ragioni decisive per lo sviluppo dell’area metropolitana, volte “al perseguimento del bene comune” e a dare risposta ai bisogni reali di ampi strati della popolazione. Per conto si è assistito e si rischia di continuare a perseguire: - la pratica riduttiva di una contrattazione sostanzialmente basata sulla quantità di “verde” e sulla quantità delle volumetrie, in assenza di qualunque strategia generale; scelte deboli quali: - il prefigurare come modello per una che appartiene al network delle città mondiali, la città dei 15 minuti, costituita da 88 quartieri dotati di servizi primari nei quali si gira a piedi o in bicicletta; - il teorizzare ed attuare un’urbanistica definita “tattica” che si riduce a colorare, con esiti estetici dubitevoli, spazi liberi residuali; - enunciati forti ma privi di ogni verifica di fattibilità, quali quella di prospettare una città in cui si riduca del 50% la mobilità personale motorizzata a uso privato (previsto dal recente Piano Aria e Clima adottato nel dicembre scorso), non considerando che in assenza di uno sforzo straordinario in investimenti in infrastrutture di trasporto (e conseguenti costi di gestione a carico della collettività) si limiterebbe radicalmente l’accessibilità a Milano di quanti vi entrano per lavorare, studiare e accedere ai servizi, portando ricchezza alla città, e mortificando la mobilità interna alla città, in quanto caratteristica dell’abitare contemporaneo è la sinergia di relazioni di prossimità e di relazioni a distanza. In questa stagione mutata strutturalmente dalla pandemia, occorre riaprire la questione urbanistica non per ritornare alla rigidità del piano ma per tornare a definire, nella partecipazione, la strategia sul futuro attendibile di Milano, vista non come Municipio ma come polo centrale di una vasta area metropolitana, per superare la diseguale dotazione di servizi e di funzioni nobili e di opportunità di movimento con mezzo pubblico: uno sviluppo cui pubblico e privato debbono poter concorrere. La ridefinizione dello sviluppo della città nel recupero degli Scali ferroviari dismessi costituisce la grande occasione per la prossima amministrazione. Occorrerà ri-contrattualizzare le funzioni da insediare, la dotazione di edilizia sociale e, soprattutto, trattandosi di FS, gli investimenti necessari a dotare la città e la sua area metropolitana di un moderno trasporto rapido di massa sostenuto: - da un adeguamento infrastrutturale del nodo ferroviario di Milano, che consenta la totale integrazione dei servizi comprensoriali, interpolo, regionali e di lunga distanza, su cui attestare le altre modalità di trasporto; - dal perfezionamento della rete ferroviaria di connessione con il centro Europa in continuità con l’AlpTransit, strategico, per passeggeri e merci, nell’interesse di Milano, della Lombardia e dell’intero Paese; - dalla trasformazione in moderni centri di interscambio modale delle principali stazioni della rete regionale, con parcheggi sicuri, auto e bici in sharing, che rendano razionale ed efficace il trasbordo intermodale, e che divengano dei veri e propri “condensatori urbani” con insediamenti terziari pubblici e privati, dotati magari di edilizia residenziale universitaria, residenze temporanee, spazi per il co-working). Solo a partire da un assetto strutturale forte, è possibile dare corpo alla Città Metropolitana, magari più vasta di quella prefigurata dalla Legge Delrio, con un proprio consiglio e un proprio sindaco eletto.

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