domenica 17 maggio 2020

Franco Astengo: Caoslandia

CAOSLANDIA di Franco Astengo Mi permetto di avanzare una proposta di dibattito rivolta alle gentili interlocutrici e interlocutori cui normalmente mi rivolgo attraverso numerosi interventi. In particolare il mio riferimento riguarda quelle compagne e quei compagni che, in sede locale e a livello nazionale, stanno impegnandosi in progetto di progetti di nuova acculturazione e di ricostruzione a sinistra. Lo spunto iniziale per svolgere un tentativo di avvio della discussione mi è stato fornito dalla lettura di alcuni saggi contenuti nel numero appena uscito di Limes (4/2020). La rivista diretta da Lucio Caracciolo è uscita in questi giorni per la prima volta da quando si è registrato il mutamento di proprietà all’interno del gruppo GEDI: mutamento che ha provocato il cambio di direzione sia a “Repubblica”, sia alla “Stampa”. Un cambiamento di rotta nel passaggio dal gruppo De Benedetti a quello Agnelli del quale si ravvedono già le tracce nella lettura del volume in esame. Ciò nonostante i temi che “Limes” solleva sono sul piano strategico quanto mai pregnanti e vale proprio la pena affrontarli. In questo caso però mi limito a riassumerli, chiosando soltanto qualche passaggio e seguendo le linee tracciate da diversi interventi presenti nella rivista. Proprio il valore strategico di quanto viene di volta in volta esaminato e avanzato sul piano propositivo richiede, infatti, una valutazione quanto mai approfondita. Una valutazione che può determinarsi soltanto al termine di una discussione condotta fino all’individuazione dei termini essenziali delle diverse questioni. Il riferimento complessivo è naturalmente rivolto agli equilibri possibili nel post – emergenza sanitaria. Un tema riassunto sotto questo titolo: Il vincolo interno “ Mai così in pericolo, mai così contesa. L’Italia deve riscoprire se stessa. Un progetto per non finire in Caoslandia”. Andando dunque per ordine: Vincolo esterno. 1) Da Limes si afferma: l’Europa è oggi questione di vita o di morte. Dagli aiuti rapidi, corposi e senza troppe condizioni che dagli europei dovremmo ricevere, nominalmente via Bruxelles, di fatto da Berlino, dipende se avremo un futuro dignitoso. Altrimenti sarà bancarotta e non solo finanziaria (proprio oggi mentre scrivo cominciano ad emergere dalla lettura dei quotidiani forti timori per la tenuta dell’ordine pubblico legati anche alla situazione del settore industriale per il quale l’attuale governo è completamente privo di linea politica). Sicuramente è necessario guardare oltre il contingente e preparare il salto di qualità. Da questo punto parte un giudizio sull’Eurozona valutata più problema che risorsa. “Di questa casa era fallita la pianta, mentre prometteva di unire, separava”. Noi europei siamo troppo orgogliosamente diversi per infilarci tutti lo stesso vestito. Per di più venendo puniti, anziché aiutati, lo stesso vestito stringe fino a soffocarci: è la legge dell’ Eurozona, il succo del vincolo esterno. In questo modo si rende impossibile la strada della “democratizzazione”, dello spostare sul Parlamento il fulcro dell’Unione sottraendolo a Commissione e Consiglio: come in certi analisi progressiste si è cercato di definire anche recentemente, rimpiangendo anche la mancata stesura di una Costituzione Europea. Difatti la strada indicata da Limes è quella di Dahrendorf della “convertibilità”. Si tratta di promuovere una “diversità attiva” anziché una “pseudo – unificazione passiva” sinonimo di disintegrazione. Si evoca una modalità cooperativa a viso aperto aprendo spazi di pace e di revocabili intese e sì anche monete sovrane di Stati sovrani, come impongono ragioni e consuetudini. Per Limes si apre, quindi, alla rottura di un tabù come quello rappresentato dall’euro: da Maastricht (giudicato in altra parte del testo un “autogoal” al pari di Tangentopoli) in avanti l’euro ha accentuato distorsioni funzionali e derive disgregatrici, cui si è risposto con un sovrappiù di retorica. Risultato la distanza fra la parola e la cosa – unione versus disintegrazione – è siderale, al punto da suscitare avversione persino in un paese di antica fede europeista come il nostro. Appare questo al riguardo dell’euro il primo punto sul quale emerge il peso della nuova proprietà di GEDI, laddove a rafforzare questa mia ipotesi personale si prosegue: Nell’Europa stretta vocazionalmente occidentale, l’Italia può giocare le sue carte, esprimere i suoi talenti. Con due riferimenti inaggirabili. Quelli di sempre. Francia e Germania. Nostro interesse è che la stranissima coppia franco – tedesca sia sufficientemente instabile da non imporsi come direttorio ma abbastanza coerente da impedire lo scontro tra le due rive del Reno. L’Italia o sceglie di svolgere un ruolo di partner inferiore ma essenziale in un triangolo con Francia e Germania o è semplicemente fuori dall’Europa. Star dentro al quadro europeo è l’unica possibilità per evitare di finire dentro a Caoslandia. 2) L’asse di riferimento franco – tedesco che viene indicato sul piano delle dinamiche geopolitiche appare perfettamente coerente con un’impostazione di tipo neo – atlantica nell’intento di superare la crisi del ciclo innestato con il ruolo assunto dagli USA nel post – caduta del bipolarismo. Si rileva anche una coerenza con la scelta europea dell’asse franco – tedesco con l’Italia partner essenziale che finirebbe con il riportarci alle origini della centralità dell’Europa Occidentale in funzione della presenza USA. Limes, infatti, sostiene come l’Italia quanto più partecipa con le sue priorità al nucleo della Vecchia Europa, tanto meglio riesce a farsi ascoltare a Washington. Non possiamo rimanere passivi nello scontro tra Stati Uniti e Cina, cullando fantasie d’equidistanza. La neutralità è lusso. Si attaglia agli stati soddisfatti. Sicuri. Noi non lo siamo. Si ribadisce così una rinnovata centralità della NATO. Il Patto Atlantico non è solidarietà tra pari ma gerarchia hub and spoke, per la soddisfazione del perno che dei raggi. Solo noi italiani siamo (stati?) capaci di figurarci l’atlantismo, come l’europeismo, ecumenico, egualitario. Al riguardo dello scontro tra la superpotenza e i suoi due rivali massimi, che grazie al ritorno della Russia e all’arrivo della Cina nell’Euromediterraneo inevitabilmente ci coinvolgerebbe, abbiamo tutto da perdere. Da qui (secondo Limes) un doppio urgente precetto, sfidando l’intelligenza strategica dell’America e dei suoi associati europei: a) reintegrare la Russia da potenza autonoma (cortesia che sta per “sola”) negli equilibri continentali da reinventare, emancipandola dalla necessità d’abbracciarsi alla Cina. b) Vegliare a che le vie della seta non tralignino in nicchie di influenza sinica a tutto tondo, come da Sogno Cinese. Per quel che riguarda il vincolo esterno in sostanza Limes (mi pare in ossequio alle indicazioni della nuova proprietà del gruppo GEDI) prende atto della chiusura della globalizzazione, di un ritorno della geo politica e propone una rivisitazione del “ciclo atlantico” e dell’Europa imperniata sull’Occidente in un quadro nel quale ci si proponga di evitare la formazione di un nuovo bipolarismo. Si direbbe la NATO senza guerra fredda accantonando però il multipolarismo che pure era stato coltivato per qualche tempo. Ricostituzione delle gerarchie a livello planetario come nel testo è chiaramente evocato in questo passaggio storico. L’Italia, in un quadro di riassunzione di sovranità anche monetaria, lato minore di un triangolo con Francia e Germania e appoggiata agli USA con i quali “rinegoziare non troppo vessatorie intese bilaterali”. Vincolo Interno L’obiettivo indicato è quello di attrezzare lo Stato ad un grado di efficienza minimo per sostenere la competizione internazionale nell’era che è definita come “nessuno per tutti”. Così si ribadisce quanto già previsto nel capitolo riguardante il vincolo esterno: L’Italia deve poter contare su di sé mentre cerca di intendersi con altri. Nella ristrutturazione degli interni due priorità: 1) La vera emergenza è quella demografica. Pochi Italiani, poca Italia. O facciamo più figli o meno improbabilmente ne importiamo di già nati. Meglio le due cure insieme. Traduzione: politiche per le famiglie e nazionalizzazione di stranieri, in base a criteri per quanto possibile selettivi. Le tendenze indicano che nel 2065 l’Italia avrà 54,1 milioni di abitanti (rispetto agli attuali 60,5) notevolmente anziani, contro gli 81,3 del Regno Unito, i quasi 82 della Germania, i 72 della Francia. Il nostro PIL sia totale che pro capite verrebbe così amputato di un terzo; 2) L’accentramento di poteri e responsabilità, senza di che riduciamo lo Stato a burocrazia. Di questo obiettivo l’emergenza da virus esplicita l’urgenza: le funzioni strategiche dello Stato, oltre alle canoniche difesa e diplomazia, anche sanità e istruzione, sono efficienti se regolate in prima e ultima istanza dal centro. Esistiamo e vogliamo continuare a esistere da italiani. Senza rinnegare le identità radicate in secolo di formidabili fioriture cittadine, ma coltivandole nell’impianto bimillenario della nazione per giocarle sulla scena del mondo. Si avanza a questo punto una proposta di ristrutturazione complessiva dell’assetto dello Stato sul fronte centro – periferia. Da dopodomani questo imperativo configurerebbe uno Stato senza Regioni, organizzato in dipartimenti territorialmente coerenti, di dimensioni intermedie fra la regionale e la provinciale. Spunti rinvenibili in alcune analisi della Società Geografica Italiana, quando suggerì (2014 se non ricordo male)l’abolizione insieme di Province e Regioni in favore di aree funzionali, d’impronta dipartimentale. Idee riprese in diverse configurazioni nei disegni di legge di revisione dei poteri e degli assetti territoriali giacenti in Parlamento. Ne emerge la coscienza del disastro generato dalla riforma del titolo V della Costituzione per inseguire le chimere federaliste. Limes sostiene che la riforma centralista non ha nulla di ideologico. Serve il principio di efficienza sposato al vincolo di legittimazione. In carenza dei quali ogni struttura scade a bardatura autoreferenziale. Estendendo la frattura scomposta cittadini /istituzioni che il Covid – 19 ha per paradosso cominciato a curare. Limes conclude questa parte esprimendo consapevolezza dei tempi lunghi e evocando la convenienza di spazzare dal tavolo il cosiddetto regionalismo differenziato, pasticcio destinato a moltiplicare i conflitti fra centro e periferie, oltre che fra le stesse Regioni. Svuotare il titolo V, anche attraverso l’adozione di una clausola di supremazia, introdurrebbe nella costituzione materiale il principio dell’interesse nazionale, garante dell’unitarietà giuridica, economica, geopolitica della Repubblica. Questo, in conclusione, è il mio commento finale (si sarà compreso come le mie chiose al riassunto del testo di Limes siano state scritte usando il corsivo). Considerata l’importanza della testata che ha avanzato questo tipo di analisi e di proposte (importanza già più volte richiamata) si possono dedurre, come elementi di dibattito: 1) La linea che qui è stata esposta,sia sul piano del vincolo esterno, sia al riguardo di quello interno, riprende in linea di massima la linea del PD ( R ), ovverosia la linea espressa dal Partito Democratico durante la segreteria e la presidenza del Consiglio Renzi in precedenza al referendum 2016: dal rinnovo del ciclo atlantico (in quel momento però alla Casa Bianca c’era Obama), alle politiche per la famiglia, alla ristrutturazione istituzionale comprensiva del rapporto centro – periferia (due dei progetti di legge riguardanti la ridefinizione delle Regioni hanno come primo firmatario, non a caso, Ceccanti). Una visione complessiva molto tecnocratica dentro alla quale sta anche il prestito da 6,5 miliardi a FCA con sede ad Amsterdam; 2) Dobbiamo aspettarci, appena conclusa l’emergenza sanitaria una nuova messa in discussione del dettato Costituzionale magari attaccando anche punti particolarmente sensibili anche a sinistra oltre al consueto tentativo di sottrarre ruolo e funzioni al Parlamento (ricordiamo che è pendente anche il referendum sul taglio dei parlamentari, che adesso assume - se vogliamo – ancora maggiore importanza): il titolo V, l’articolo 81, il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Passaggi decisivi se si vuol riaffermare un riaccentramento dello Stato e una nuova “sovranità nazionale” di tipo democratico contrapposta al “sovranismo” di Lega e Fratelli d’Italia. Questi mi sembrano i due punti sui quali, a mio giudizio, dovrebbe essere incentrato il dibattito: è probabilmente in vista un assalto all’attuale maggioranza in nome dell’apertura di un nuovo ciclo geopolitico sul piano europeo e planetario (in questo caso però sarà decisivo l’esito delle elezioni americane) e di una modifica costituzionale orientata verso una trasformazione radicale nel rapporto centro – periferia e del concetto stesso di sovranità nazionale. A sinistra è necessario mettere mano a un’elaborazione posta sul piano della “visione” esterna e del “vincolo” interno . Un’elaborazione che si collochi all’altezza della complessità che, in questo caso, ci viene proposta considerata anche l’assoluta assenza di orientamento da parte dell’attuale PD (come rileva Piero Ignazi sulle colonne di Repubblica) e dell’insieme della maggioranza di governo e la forza oggettiva dei proponenti. Si tratterà di capire, tra l’altro, quando il livello della proposta scenderà dal piano dell’analisi culturale a quello del livello direttamente politico. Il tutto si innesterà in una grave difficoltà per l’Italia nel costruire una classe dirigente all’altezza: anche su questo punto, sparita la funzione pedagogica dei partiti, il rischio è quello di una deriva tecnocratica come auspica, invece, Ferruccio De Bortoli sul “Corriere della Sera” evocando Raffaele Mattioli e il suo trust di cervelli da “capitalismo illuminato” messo su all’ufficio studi della Banca Commerciale tra gli anni’30 - ‘40.

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