giovedì 30 novembre 2017

Franco Astengo: Gramsci e Matteotti

UNA PROPOSTA DA FELICE BESOSTRI: GRAMSCI, MATTEOTTI, L’ATTUALITA’ DELLA LOTTA AL FASCISMO, LA MIGLIORE TRADIZIONE DELLA SINISTRA ITALIANA di Franco Astengo Scrive Felice Besostri: “Ho in mente un convegno da organizzare a Livorno alla fine gennaio 2018: Livorno 1921 aveva ragione Turati o Bordiga? Hanno avuto ragione, a prezzo della loro vita, Matteotti e Gramsci. Raccogliere la loro eredità spirituale e valoriale portandola a sintesi è l'unico modo per far rinascere una sinistra in Italia. Quando si comincerà a capire che il pluralismo è una ricchezza per avere una nuova società di liberi ed eguali?” Riprendo immediatamente rilanciandola la proposta del compagno Besostri. Non basterà un convegno, sarà necessario mettere in moto un processo di effettivo confronto e aggregazione con l’obiettivo di ricostruire una presenza politica nel segno della migliore tradizione della sinistra italiana, superando di slancio la frenesia dell’opportunismo elettorali sta che i generali di tutte le sconfitte stanno mettendo in mostra proprio in questi giorni. Il punto centrale di questa iniziativa dovrà essere rappresentato dalla rinnovata attualità della lotta contro il fascismo: un fascismo proteiforme quello che si sta presentando pericolosamente sulla scena ma che sempre più sta assumendo le vecchie vestigia dello squadrismo sopraffattore, ma non soltanto beninteso nella dimensione dei nazi – skin o di Casa Pound o di Forza Nuova, che pure non vanno sottovalutati perché rappresentano un pericolo reale. Il neo – fascismo da combattere è quello che paga i libici per fermare con le armi i migranti; è quello che attenta alla Costituzione Repubblicana nonostante il voto del 4 dicembre; che intensifica lo sfruttamento del lavoro; che annulla lo stato sociale rilanciando proprio miti perduti dell’antico ventennio. E’ il fascismo di un regime che si sta consolidando e che attraverso una legge elettorale votata ancora una volta al di fuori dai termini costituzionali si appresta a far svolgere una pericolosa funzione di “coalizione dominante” ai soggetti politici strettamente legati tra loro da interessi economici e di pura sopravvivenza di un ceto. Gramsci e Matteotti scrive, dunque, Felice Besostri. Cerco di indicare a questo punto perché, a mio giudizio, Gramsci e Matteotti: “Gramsci in un’analisi molto approfondita perché delineata in una prospettiva storica molto ampia (cfr. “Le origini del fascismo” V edizione Editori Riuniti 1971) rintracciava le radici della reazione in questo modo : “il terrorismo vuol passare dal campo privato a quello pubblico, non si accontenta dell’immunità concessagli dallo Stato. Vuole diventare lo Stato. La reazione è diventata forte al punto che non ritiene più utile ai suoi fini la maschera di uno Stato legale ma intende servirsi di tutti i mezzi dello Stato”. Così stando le cose si comprende come si dovesse proprio a Giolitti la decisione di quelle elezioni anticipate del 1921 nell’occasione delle quali si realizzò quell’alleanza tra liberali e fascisti che doveva aprire a Mussolini e ai suoi (35 eletti) non solo e non tanto le porte del Parlamento, quanto soprattutto la collaborazione attiva e passiva sempre più accentuata da parte dei più importanti esponenti di tutti i gangli dell’alta burocrazia statale (esercito, polizia, magistratura, prefetti) e della vecchia classe dirigente che le elezioni del 1919, svoltesi con la formula proporzionale, avevano spodestato dalla tradizionale posizione egemonica. Se già nel gennaio del 1921 (tre anni prima del suo ultimo fatale discorso) Matteotti poteva denunciare, in un suo intervento alla Camera, una così impressionante serie di sopraffazioni e di violenze fasciste perpetrate con la connivenza degli organi che avrebbero dovuto essere preposti all’ordine pubblico, tanto più ciò doveva avvenire dopo che lo stesso presidente del consiglio Giolitti e con lui l’intero governo, avevano dato il segno dell’orientamento politico filofascista attraverso quell’alleanza elettorale. Da allora lo squadrismo fascista non trovò più ostacolo consistente da parte delle cosiddette “forze dell’ordine”; da allora i capi del liberalismo e della democrazia “statutaria” non ebbero più né la forza né l’intenzione di opporre al fascismo una resistenza valida ed efficace. Di fatto, attraverso tali complicità e appoggi la via del potere fu aperta al fascismo, mentre da parte delle organizzazioni proletarie si tentava, esaurita la spinta rivoluzionaria, una difesa disperata. Le ragioni di tali complicità e appoggi risiedevano proprio nei motivi di classe che erano alla base della lotta tra fascisti e socialisti e che non sfuggivano fin dal 1920 – 21 né a Gramsci né a Matteotti. E’ questo un punto fermo nella storia del fascismo e dell’antifascismo che non bisogna perdere di vista, perché costituisce ancor oggi una bussola di orientamento non soltanto sul piano storico. Queste le parole di Matteotti ben prima della Marcia su Roma “ La classe che detiene il privilegio politico, la classe che detiene il privilegio economico, la classe che ha con sé la magistratura, la polizia, il governo, l’esercito, ritiene sia giunto il momento in cui essa, per difendere il suo privilegio, esca dalla legalità e si arma contro il proletariato”. Gramsci,a quel punto, poteva a buon diritto sostenere che “solo la classe operaia non è responsabile all’interno delle condizioni in cui è stata piombata la nazione in seguito alle gravi sanguinanti ferite prodotte dalla guerra nel suo patrimonio umano e nel suo potenziale economico” e Togliatti poteva sottolineare gli “sviluppi inesorabili del fascismo mettendo in rilievo che solo il proletariato avrebbe avuto la volontà di condurre la lotta. In quella fase, precedente alla Marcia su Roma, emergono così le contraddizioni e le debolezze della parte liberale e democratica “statutaria” che risaltano anche nelle prese di posizioni di suoi esponenti antifascisti come Missiroli.” (da un mio testo “Antifascismo e marcia su Roma del 28 ottobre 2017) In comune, essenzialmente, Gramsci e Matteotti in quel decisivo frangente storico ebbero la grande, inascoltata, intuizione della capacità della reazione di farsi egemone. La stessa intuizione e capacità politica di cui abbiamo bisogno oggi a livello di base teorica per sviluppare una proposta complessiva di progetto, programma, organizzazione: di vera e propria ricostruzione politica della sinistra italiana, pur nelle sue differenti e articolate espressioni. Senza mediazioni preventive, ma ricercando – come si sta cercando di fare –i tratti concreti dell’intreccio comune. Come risposta possibile , che ancora non si è avuta, a quei larghi settori sociali che il 4 dicembre 2016 respinsero la proposta di deformazione costituzionale in nome dell’affermazione, invece, della democrazia costituzionale. In questo senso, a mio avviso, va ripresa, discussa, portata avanti la proposta avanzata dal compagno Felice Besostri.

7 commenti:

luciano ha detto...

Caro Franco, caro Felice,

queste riconciliazioni forzate post mortem mi lasciano freddo.

Per Gramsci, Matteotti fu “il pellegrino del nulla”: cfr. http://www.nuovopci.it/classic/gramsci/destmat.htm

E questo perché Matteotti non era sostenitore della rivoluzione proletaria.

Dato che noi posteri abbiamo il vantaggio di sapere quali sono stati gli esiti della “rivoluzione proletaria”, dovunque sia stata realizzata, non vedo perché mai dovremmo adottare un ipocrita ecumenismo.

Se un fondatore del Pci come Terracini ha riconosciuto che Turati – e dunque a maggior ragione Matteotti (per ciò che riguarda la tempestiva comprensione del fascismo)– avevano ragione, perché mai non dovremmo riconoscerlo tutti ?

Ovviamente questo non vuol dire misconoscere il valore della complessa elaborazione intellettuale di Gramsci, che ne avrebbe fatto con tutta evidenza un eretico scomunicato se fosse sopravvissuto.

Ma da qui a parificare e “portare a sintesi” tutto in una specie di minestrone, come se “’A livella” di Totò valesse anche per i giudizi politici, ce ne corre.

Fraterni saluti.

Luciano Belli Paci

dario ha detto...

Felice se annacquiamo il convegno su Turati aveva ragione in un generico incontro fra reduci socialisti e comunisti diamo semplicemente una ciambella di salvataggio agli ex comunisti. Torniamo a parlare genericamente di "sinistra" come fa giustamente Astengo
Livorno è un passaggio Sine qua non, in cui loro debbono rispondere alla domanda retorica "aveva ragione Turati?"
Deve essere un atto formale in cui verificare la disponibilità alla costruzione del Socialismo nel XXI secolo. Deve essere l'atto che segna la fine dell'egemonismo gramsciano, lo strumento che hanno usato e continuano a voler usare per mantenere una presa forte sulla sinistra. È del tutto inutile tenere assieme nel nome dell'unità della sinistra una cultura morente, la loro, ed una che è ancora viva.
Noi dobbiamo puntare nel 2018 a recupera quell'area che non si sente più rappresentata da nessuno non recuperare le frange comuniste. Sarebbe una strategia perdente non comprensibile al popolo diffuso dei socialisti ma neppure ai potenziali nuovi adepti.
A TORINO ho recuperato Nino Martino mica liscia no il pelo ai massimalista del suo gruppo, ma on un confronto duro e chiaro su qual è la cultura politica VIVA ed anche loro che sono persone giovani e intelligenti ne hanno preso atto.

maurizio ha detto...

Come Gramsci definì Matteotti "il pellegrino del nulla" così Togliatti sostenne che Carlo Rosselli altro non era che "un fascista dissidente". Qualche mese fa, in un convegno svoltosi qui a Torino proprio su Matteotti e Rosselli, Valdo Spini ha ricordato che nel PSI frontista di Nenni e Morandi il nome di Matteotti era stato rimosso; si ritornò a pronunciarlo solo dopo il 1956. Se davvero si intende far rinascere la sinistra in Italia perché nascondere la verità dei fatti e rifuggire da giudizi del tutto evidenti? Non fu proprio Gramsci ad affermare che la verità è sempre rivoluzionaria?
Maurizio Giancola

claudio ha detto...

penso che sarà bene parlarne a lungo, a Livorno o altrove, in posti più comodi: Livorno teniamolo per il 2021, così abbiamo tempo di chiarirci le idee senza limitarci ai tweet oggi di moda.

Per esempio, è chiaro che Matteotti è stato il primo a capire dove si andava a parare con il fascismo e il sostanziale patto tra giolittiani, nazionalisti, fascisti e cattolici. Mentre nè Matteotti nè Gramsci avevano allora un’idea chiara sul possibile ruolo politico dei cattolici: che ci si dovesse fare i conti, Gramsci lo ha affermato solo dopo, nei quaderni del carcere.
Invece nel 1921 ci fu l’occupazione delle fabbriche, che nel delirio dei primi comunisti era l’inizio della nostra rivoluzione d’ottobre, e nel buon senso di Buozzi fu l’occasione di un eccezionale contratto di lavoro con FIAT.

Ma nessuno della sinistra di allora aveva chiaro nella testa come si poteva reimpostare il sistema economico dopo la fine della guerra: continuare le produzioni militari o tentare si seguire gli USA nella conversione dell’industria bellica in industria dei beni di consumo durevoli, per i quali però bisognava creare il mercato.

giovanni ha detto...

Sono sconcertato. Il comunismo è stato una delle tragiche esperienze del novecento, non poi tanto dissimile negli esiti pratici (polizie segrete, privazione delle libertà, campi di sterminio, stragi) dal nazi-fascismo. Gramsci, Togliatti, Longo, Natta e Berlinguer ne sono stati in Italia i massimi esponenti ed i simboli. Il giudizio su di loro non può che essere definitivamente negativo e non ci sono sofismi che possano attenuare la loro responsabilità per quel che di negativo hanno rappresentato per il nostro popolo e per i popoli europei. Quanto a Gramsci, io ne valuto il pensiero e l’azione di quando è stato il potente capo del comunismo italiano ed il direttore di “Ordine Nuovo”. La citazione di Luciano a proposito di Matteotti è particolarmente gentile, rispetto agli insulti ed aggressioni verbali abitualmente rivolte in quel tempo agli esponenti socialisti. Altro può essere in parte il giudizo sui contenuti degli scritti durante la prigionia, mentre non aveva alcun ruolo, abbandonato dal suo partito e costretto alle riflessioni di un prigioniero senza speranza. Sono assolutamente certo che gli italiani non daranno mai il mandato di governare a chi non dia assoluta garanzia di adesione ai principi della democrazia liberale ed ogni debolezza nel giudizio sull’esperienza del comunismo viene percepita dai più come un potenziale cedimento a quell’ideologia politica e un tradimento dei valori della democrazia liberale. Non mi risulta che nessuno dei leader comunisti del passato abbia condannato il centralismo democratico, teorizzazione equivoca e giustificazione nei fatti dell’autoritarismo violento e spietato con cui sono stati condotti i paesi sotto il dominio comunista ed i partiti comunisti stessi, compreso quello italiano. Far accettare la lotta per la giustizia sociale e la democrazia da parte di una forza di sinistra in un paese occidentale presuppone un atteggiamento adamantino rispetto ai mostri che hanno condizionato la nostra società nel secolo passato. Per me si tratta di uno spartiacque.

Fraterni saluti. Giovanni Baccalini

simone ha detto...

Caro Baccalini,

tu scrivi: “sono assolutamente certo che gli italiani non daranno mai il mandato di governare a chi non dia assoluta garanzia di adesione ai principi della democrazia liberale”.

I Berlusconi, i Gasparri, i La Russa, i Bossi, i Calderoli, che hanno ricevuto a più riprese dagli italiani il mandato di governare (e con ogni probabilità ritroveremo, se non loro, i loro eredi politici a Palazzo Chigi l’anno prossimo), sarebbero dei campioni della democrazia liberale?

L’amara verità è che in questo Paese i principi democratici sono poco radicati, per tutta una serie di ragioni storiche che ben conosciamo e che sarebbe lungo elencare: basta stare in mezzo alla gente e ascoltare i discorsi che si fanno per rendersene conto.

Non c’è alcun dubbio che il PCI abbia le sue colpe in tutto questo, anche se le cose a me appaiono più sfumate: in quel partito, come diceva Gaetano Arfè, convivevano fucilatori ed eroi, oppressori e combattenti per la libertà.

La questione è purtroppo assai meno schematica di come tu la poni, e dunque di assai più difficile e complessa soluzione.

Cordialmente

Simone Zecca

dario ha detto...

concordo con Giovanni Baccalini e con Luciano BelliPaci, è giunto il tempo di mettere in chiaro un dato di fatto: "Turati aveva ragione", perchè se non abbiamo in coraggio di porre questa questione noi socialisti saremo per sempre figli di un Dio minore.
La politica del PCI, che tuttora sopravvive in frange marginali della politica italiana e RifCom è una di queste ma sopravvive anche in PD e MDP-SI-Possible (che ancora oggi rifiutano di definirsi socialisti nel loro nome, al massimo fanno un seminario per cercare di capire cos'è sta bestia strana), nasce dalla rielaborazione in chiave comunista dell'egemonismo gramsciano.
Il definire con chiarezza che Turati aveva ragione al Congresso di Livorno rimette in discussione tutta la filiera successiva della propaganda comunista, che nel tempo definì i socialisti come socialfascisti, che trattò uno dei migliori dirigenti socialisti (il Saragat citato da Roselli in Socialismo Liberale) come un petulante ubriacone, che affossò grazie ai rubli russi l'autonomismo di Lombardi-Jacometti del 46, che trattò Nenni come un pessimo dirigente politico (trescando per non farlo eleggere Presidente della Repubblica) e che fece di tutto per "uccidere" il Partito Socialista dell'epoca di Craxi, perchè quel partito metteva in discussione il "compromesso storico" PCI-DC.
E' tempo di iniziare a revisionare la storia della politica italiana, e revisionarla dal punto di vista dei socialisti, senza timidezze o ecumenismi generici.
Ieri sera ero ad un convegno sull'assassinio di Rosselli, che come Gruppo di Volpedo abbiamo organizzato a Rivoli (TO) con l'associazione la Meridiana, e le cose su Turati e la vitalità del pensiero socialista le abbiamo ribadite sia io (in termini più politici) sia Brunazzi (in termini più storico-culturali) e vi posso garantire che ormai la gente ci sta ad ascoltare, senza fiatare, ormai i cittadini hanno compreso (sulla loro pelle) che l'assenza del socialismo, quale dottrina e modalità di azione, ha generato in Italia dei danni incalcolabili.
E' vero nel PSI c'erano dei ladri e dei farabutti, noi non abbiamo timore a dirlo, la nostra Storia è piena di farabutti, ma c'era una cultura politica che non ha avuto eguali, magari non è stata riconosciuta per tempo dagli italiani, più avvezzi a correre in soccorso al vincitore (all'epoca il PCI), ma è una cultura che dobbiamo far riscoprire, partendo da Livorno 1921: Turati aveva ragione. Firmato Umberto Terracini
Fraterni saluti
Dario Allamano