giovedì 29 maggio 2014

Cesare Salvi: La sinistra dopo le elezioni europee

La sinistra dopo le elezioni europee Le elezioni europee sono state un autentico terremoto politico non solo in Italia. Molte analisi sono state dedicate alla travolgente vittoria del PD in Italia, e ai contraddittori risultati negli altri paesi dell’Unione. Ma vorrei qui concentrarmi sulle prospettive per la sinistra in Italia. La lista Tsipras ha superato lo sbarramento, e questo certamente è un dato positivo per chi si è impegnato per questo risultato. Vanno segnalati in questi contesti risultati molto superiori alla media nelle grandi città. Ma ora la domanda è: si è trattato di un episodio già concluso, dopo il quale ciascuno tornerà come prima, o è possibile ripartire da questo 4% per costruire in Italia un partito della sinistra? I primi segnali non sono incoraggianti. Già nelle elezioni regionali amministrative le forze della sinistra si sono perlopiù presentate divise, con risultati modesti (è significativo che invece laddove si sono presentate unite il risultato è stato molto migliore rispetto alla somma dei partiti). Soprattutto, subito dopo il voto, non vengono segnali incoraggianti dalle forze politiche che hanno concorso alla lista europea. SEL appare divisa tra chi pensa a una confluenza nel PD, o comunque a un rapporto privilegiato con questo partito, abbandonando quindi la prospettiva di una sinistra unita, e chi, sul versante opposto, ripropone, per andare avanti, pregiudiziali di ogni tipo. Si rischia però in questo modo di rinunciare definitivamente alla possibilità di dare all’Italia una formazione politica analoga a quelle che non solo in Grecia, ma anche in Germania, in Francia, in Spagna, hanno mostrato in queste elezioni di avere un significativo radicamento e consenso. Questi partiti hanno assunto come denominazione la parola “sinistra”, e hanno dimostrato che è possibile unire socialisti, comunisti, ambientalisti, le forze nuove dei movimenti, intorno a un progetto condiviso. La mia opinione è che occorre fare la stessa cosa in Italia. Bisogna subito dare vita a una costituente della sinistra, partendo dal programma della lista per le europee. Il percorso va concluso con la costituzione di un vero e proprio soggetto politico, basato sulla regola “una testa un voto”. Non bisogna fare del rapporto con il PD la questione dirimente, e in questo momento divisiva. Il buon senso dice che la questione va affrontata volta per volta, confrontandosi sul programma, a livello nazionale, regionale e amministrativo. Il primo banco di prova sarà l’anno prossimo, quando dieci regioni andranno al voto. Bisognerebbe essere pronti per allora. Per molti aspetti il PD di Renzi resta da decifrare. I prossimi mesi diranno come sarà utilizzato il grande consenso conseguito, sul piano sia economico sociale sia dell’assetto costituzionale. Dividersi adesso non avrebbe senso. E in ogni caso solo una democrazia partecipata, non intese o contrasti di vertici ristretti, può offrire gli strumenti per le decisioni che dovranno essere prese dall’ipotizzato nuovo soggetto politico. Come si dice in questi casi, pessimismo della ragione, ottimismo della volontà.

4 commenti:

claudio ha detto...

ognuno è libero di dare alle cose l'importanza che crede, ma dopo queste
elezioni riterrei più importante occuparmi di chi, avendo preso il 40% è
diventato il più importante partito del PSE, che del futuro di un 4% diviso
tra 7 leaderini e 40 "intellettuali di riferimento", ciascuno con le sue
ambizioni. Ovviamente liberi anche di sentenziare che il 40% è un abominio e
che bisogna ritirarsi in un convento di clausura a meditare per un
decennio...

mario ha detto...

Il problema non è che "il PSE non è più di sinistra solo perchè vi è entrato il PD".
Il PSE "non è più" e basta.....ammesso che "sia stato" fino a ieri.
E la constatazione del fatto inoppugnabile che i suoi ex consensi siano passati al partito dell'astensione e non alla GUE (minoritaria ieri e quasi estinta oggi) conferma esattamente quel che dico.
Replicare a Salvi (che francamente non mi convince, ma almeno dice chiaramente la sua) "No a Izquierda Unida; si a Izquierda Socialista", non è una strategia, né un'analisi politica, né un'indicazione di prospettiva, bensì, a mio modestissimo avviso, solo un trito ed inutile esercizio di rivendicazionismo nominal-identitario.....quello che fino ad oggi è stato causa efficiente e perdurante delle distruttive faide siculo-calabresi tra le famiglie della Sinistra italiana.
Come ho scritto altrove, bisogna cambiare passo a partire soprattutto dal linguaggio.....e questo è un monito che va rivolto a tutta la Sinistra italiana.
Altrimenti chi ci osserva dall'esterno e già ubriacato dalle abbondanti libagioni di post-ideologismo e di analfabetismo politico - e non solo - di ritorno (e mi riferisco soprattutto ai giovani) ci degnerà al massimo di un pietoso sguardo di commiserazione e poi tirerà dritto convinto verso un improbabile "altrove".
Mario Francese

lanfranco ha detto...

L'articolo di Salvi è una espressione di buon senso. Occorre partire da quanti hanno dato vita alla lista Tsipras e non intendono convergere sul Pd e dai tanti altri che l'hanno votata pur non essendo stati coinvolti o magari si sono astenuti, ma con un atteggiamento critico verso il Pd. Bisognerebbe trovarsi tutti insieme per concordare alcune poche battaglie comuni e un coordinamento che non punti subito a un soggetto politico compiuto e neppure a una stretta identità politico-culturale. Pochi punti per l'Italia e per l'europa e cominciare a fare campagna nelle forme e con le forze possibili. Col Pd si dialoga dove possibile e si combatte dove necessario.

felice ha detto...

Certo che bisogna occuparsi del PD e sperare che si faccio contaminare dalla
parola PSE. Dovrebbe convincersi, attraverso il dialogo anche con chi non è nel
PD, che per fare le riforme non è indispensabile restringere gli spazi di
agibilità democratica. Se poi sapessero fare un po' di calcoli potrebbero
capire che con una legge elettorale alla tedesca
e soglia al 5% e distribuzione dei seggi con metodo D'Hondt potrebbero avere
da soli la maggioranza assoluta, per non parlare di un maggioritario a doppio
turno. Certo che se vuoi il 55/60 % dei seggi e non ti accontenti della
maggioranza assoluta devi truccare le elezioni e se non gradisci che i
rappresentanti siano eletti dal popolo, ma scelti da Renzi fai le liste
bloccate. Renziani democratici se ci siete battete un colpo
Felice C. Besostri