giovedì 20 novembre 2008

paola meneganti: i beni culturali

Con preghiera di adesione e di diffusione dell'appello. ..
http://www.bianchibandinelli. it/appello_ super-manager_ musei.htm


Gli studenti ci stanno ricordando che la cultura non è una spesa da tagliare, né "una miniera di petrolio a costo zero", ma un investimento. Invece, dopo la Gelmini, il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, dimenticandosi di indire il già annunciato concorso internazionale e in barba all'amata meritocrazia, ha nominato Mario Resca nuovo Direttore generale per la valorizzazione dei musei. Da McDonald's Italia al Casinò di Campione adesso supermanager dei nostri beni culturali.











SALVATORE SETTIS

Lettera aperta al ministro dei Beni culturali: la riforma dei musei va modificata

Caro Bondi, no al supermanager

ILLUSTRE Signor Ministro Bondi, a differenza di molti altri, non ho nessuna obiezione alla Sua decisione di avere fra i Suoi consulenti l’attuale presidente del Casinò di Campione dr. Mario Resca. Ogni ministro può circondarsi di consulenti con disparate competenze e opinioni, che possano aiutarlo a formare le proprie linee di indirizzo.
Nutro invece gravi riserve sull’ipotesi di riforma del Ministero che dovrebbe creare un nuovo “Direttore generale per la valorizzazione dei musei”, peraltro responsabile anche dei parchi archeologici e dei complessi monumentali.

Ecco perché: nella Sua dichiarazione alla VII Commissione del Senato del 4 giugno 2008, Lei dichiarò che era Sua intenzione «garantire che vengano scongiurati tagli delle attuali dotazioni, come è noto già assai limitate», esprimendo «disappunto per i tagli alla cultura operati con l’abolizione dell’Ici senza preventivo accordo del Ministero» e «l’auspicio che eventuali sacrifici vengano preventivamente concordati col Ministero».
Dichiarò inoltre che «dopo due riforme organizzative ravvicinate, i cui effetti di rivolgimento sono ancora ben lungi dall’essersi stabilizzati» era «giunto il momento di puntare sull’attuazione delle norme, più che sulla produzione di ulteriore inflazione normativa». Queste Sue e nostre speranze sono state disattese. I tagli al bilancio del Suo Ministero apportati dal decreto legge 112 e da altri provvedimenti, i più pesanti di tutta la pubblica amministrazione, ammontano nel triennio 2009-2011 a oltre un miliardo: la legge 133 anziché mitigare questi tagli li ha aumentati di altri 31 milioni. Come ha evidenziato un appello del Fai e di altre associazioni, rivolto al presidente del Consiglio, si è inoltre operato un drastico taglio al personale delle Soprintendenze, per Sua stessa dichiarazione già gravemente insufficiente:
15 per cento per la prima fascia, 10 per cento per la seconda.
Contraddicendo le Sue dichiarazioni al Parlamento, Lei ora promuove una nuova riforma dell’amministrazione , la terza in pochissimi anni.
La creazione di una nuova “direzione generale per la valorizzazione dei musei” è la più importante fra le innovazioni proposte (ma non va dimenticata l’incomprensibile cancellazione dell’arte contemporanea) . Il nuovo direttore generale avrà fra i suoi compiti l’autorizzazione a tutti i prestiti per mostre, la decisione su quali siano le mostre di “rilevante interesse culturale”, i programmi sulle ricerche scientifiche sul patrimonio museale, e infine «i criteri per l’affidamento in comodato o in deposito dì cose o beni da parte dei musei».
L’elenco di queste (e molte altre) competenze è doppiamente preoccupante.
Da un lato, “ritagliare” musei, parchi archeologici e complessi monumentali fuori dal territorio di pertinenza è l’esatto opposto di tutta la tradizione italiana della tutela, anzi capovolge il senso dell’ultima riforma del ministero (2007), che alle quattro “soprintendenze ai poli museali” (Roma, Napoli, Firenze e Venezia) ha riassegnato il territorio urbano di pertinenza. La creazione dei “poli museali” perla primavolta nella storia d’Italia aveva infatti scorporato i musei dal territorio, considerandoli come entità a parte, con effetti solo negativi.
Per esempio, a Roma le grandi gallerie private (Colonna, Doria Pamphilj) ricaddero sotto competenza diversa da quella delle gallerie nazionali di identica origine fidecommissaria (Borghese, Barberini).
Si spezzò allora il nesso vitale, efficace per secoli, fra la città, coi suoi palazzi ele sue chiese, e i musei, che dall’identico tessuto di committenze, mecenatismi, collezioni trassero originee alimento. Nata dall’ossessione del modello americano coi suoi musei ovviamente del tutto staccati dal territorio (ma nelle chiese di New York non c’è Giotto, non c’è Tiziano, non c’è Caravaggio), questa ferita al modello italiano di tutela è stata appena sanata, ma la nuova direzione generale creerebbe una sorta di nuovo, unico, gigantesco polo museale.
Non meno grave è la seconda preoccupazione. Che cosa farà il nuovo direttore generale per “valorizzare” le opere dei musei? L’articolo 6 del Codice dei beni culturali (approvato dal precedente governo Berlusconi) dichiara che scopo unico della valorizzazione del patrimonio culturale è «promuovere lo sviluppo della cultura». Ma le competenze del nuovo direttore generale sembrano mirate a ben altra valorizzazione, in senso esclusivamente economico.
Per esempio, nello stabilire “linee guida per l’affidamento in comodato” di opere dei musei (articolo 8 h), egli potrebbe forse, al fine di far cassa, spedire quadri e statue nei salotti (secondo l’idea lanciata dal soprintendente comunale di Roma) o negli Emirati Arabi? Come mai egli dovrà vigilare, in concorrenza anzi conflitto con gli altri direttori generali, sulle soprintendenze speciali di Roma, Venezia, Firenze e Napoli e su quelle archeologiche di Roma, Napoli e Pompei? Perché gli vengono attribuite competenze di tutela che condurranno a conflitti con altre strutture del Ministero? Queste considerazioni, Signor Ministro, valgono a prescindere dalla persona che Lei vorrà scegliere per ricoprire un tale ufficio. Ma per un compito tanto delicato e controverso, chi sarà scelto? Contraddicendo la Sua dichiarazione al Senato in cui si era impegnato a lanciare «un bando di concorso a livello internazionale fra i massimi esperti del settore», Lei ha invece deciso di procedere per le vie brevi, interpellando prima Antonio Paolucci, poi Mario Resca. Nella sua intervista a Repubblica del 13 novembre, Paolucci ha dichiarato:
«Conosco bene il profilo del nuovo direttore generale: il ministro Bondi mi ha offerto quel ruolo».
Ma quale può esser mai un profilo che si attagli a uno storico dell’arte di provatissima esperienza come Paolucci e a un manager di McDonald’s come Mario Resca? Come potrebbe, una persona con la sua formazione e la sua storia (che meritano il massimo rispetto) guidare «i programmi concernenti studi, ricerche e iniziative scientifiche» nei musei (articolo 8 g), o distinguere fra mostre «di rilevante interesse culturale o scientifico» e quelle che non lo sono (articolo 8J)? Le dichiarazioni dello stesso dr. Resca (a Repubblica del 15 novembre) non hanno mitigato queste preoccupazioni. Anziché considerare il nostro patrimonio culturale «l’identità e l’anima stessa del nostro Paese», come nelle Sue dichiarazioni al Senato, egli lo vede come «una miniera di petrolio a costo zero», su cui è necessario «fare marketing», «generando ricavi» mediante la «circolazione delle nostre opere nel mondo»; l’esempio addotto è Abu Dhabi.
Signor Ministro: gravi ragioni istituzionali sconsigliano vivamente una nuova direzione generale secondo queste linee, chiunque vi fosse chiamato. Nella Sua relazione al Senato, Lei elogiò «la straordinaria tradizione di specializzazione tecnicoamministrati va che caratterizza le soprintendenze come un’area di sicura eccellenza nel panorama della burocrazia italiana». Una concezione aziendalistico- manageriale che ignorasse la necessaria specificità delle competenze culturali e professionali mortificherebbe tale eccellenza, delegittimando i custodi del nostro patrimonio. Se, come credo, non è questa la Sua intenzione, la riforma proposta va a mio avviso radicalmente riconsiderata. È quello che Le ha chiesto, con voto unanime, il Consiglio Superiore dei Beni Culturali.

Da “LA REPUBBLICA” di mercoledì 19 novembre 2008

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