lunedì 30 dicembre 2024

Luigi Corbani: La crisi istituzionale e la ricetta del riformismo. Come il centralismo e la gestione clientelare hanno ostacolato la competitività

La crisi istituzionale e la ricetta del riformismo. Come il centralismo e la gestione clientelare hanno ostacolato la competitività

Confronting Capitalism: Socialism in the Twenty-First Century

Confronting Capitalism: Socialism in the Twenty-First Century

Investimenti verdi e contrattazione aziendale: la doppia sostenibilità*, Andrea Ricci, Fabrizio Pompei, Mirella Damiani | Menabò di Etica ed Economia

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Il Rapporto Draghi, la competitività, la politica (seconda parte), Leonardo Paggi, Massimo d’Angelillo | Menabò di Etica ed Economia

Il Rapporto Draghi, la competitività, la politica (seconda parte), Leonardo Paggi, Massimo d’Angelillo | Menabò di Etica ed Economia

Franco Astengo: Armi e industria

ARMI E INDUSTRIA di Franco Astengo All'interno di un quadro complessivo di costante calo di produttività nel settore manifatturiero verifichiamo l'evidenziarsi di una torsione rivolta all'incremento dell'industria bellica e, nello specifico, di cessione di aziende verso proprietà di Paesi impegnati - direttamente o indirettamente - negli scenari di guerra in atto in situazioni nevralgiche dello scacchiere internazionale (Ucraina, Medio Oriente, Africa): è il caso della cessione di Piaggio Aerospace ai turchi , legati direttamente alla geopolitica del governo Erdogan, e costruttori principalmente di mezzi aerei (droni, aerei senza pilota) destinati a svolgere compiti offensivi. La Liguria con Villanova d'Albenga, Genova, La Spezia si trova in primo piano rispetto a questo tipo di situazione che potrebbe presentare anche rischi proprio sul piano più specificatamente militare. E' il caso di riflettere un attimo sulla situazione dell'industria militare in Italia. Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata alle compagnie Usa, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana. La prima cosa che balza agli occhi è, infatti, il grado di concentrazione del fatturato dell’industria militare in poche aziende e la posizione dominante di Leonardo (ex Finmeccanica) in campo aeronautico, elettronico e degli armamenti terrestri, e di Fincantieri nella costruzione navale. Si tratta di due grandi imprese multinazionali (13° e 46° posto nella classifica SIPRI delle prime 100 aziende per fatturato militare) in cui lo Stato ha mantenuto una quota di controllo. I loro ricavi nelle produzioni militari (2022) raggiungono i 15,3 miliardi di dollari Usa, pari al 12% del giro d’affari del settore in Europa e a circa il 2,6% di quello mondiale. In Italia, concentrano insieme intorno all’80% del fatturato dell’industria militare. Una parte importante di questo fatturato è realizzato all’estero: per Leonardo in Usa, Regno Unito, Polonia e Israele, per Fincantieri in Usa. Leonardo a livello globale ha 51.391 occupati (2022) distribuiti il 63% in Italia, il 15% nel Regno Unito, il 14% negli Usa, lo 0,5% in Israele e il 2,5% nel resto del mondo. Il gruppo è attualmente organizzato su otto aree di attività: elettronica, elicotteri, aerei, cyber & security, spazio, droni, aero-strutture, automazione. Ha una posizione di forza internazionale nel comparto elicotteri e nell’elettronica per la difesa; mentre in campo aeronautico opera principalmente come sub-fornitore di primo livello per i grandi produttori di aerei militari degli Stati Uniti. Il gruppo è ancora attivo nella produzione di armamenti navali e terrestri (ex-Oto Melara e consorzio con Iveco DV) e nel comparto navale subacqueo (ex-Wass). Fincantieri ha mantenuto la continuità con la storica azienda a partecipazione statale con il controllo dei maggiori cantieri navali del Paese. È la maggiore impresa occidentale di costruzioni navali, ha una forte attività nelle navi da crociera, ma tra il 2022 e il 2023 ha aumentato la quota di produzioni di navi da guerra dal 20 al 36% del fatturato totale, con 2.820 milioni di dollari di fatturato militare nel 2022, arrivando al 46° posto nella classifica SIPRI delle 100 maggiori imprese militari. Un settore in espansione internazionale è quello delle attività subacquee e, in questo ambito, Fincantieri è parte con Leonardo del polo nazionale guidato dalla Marina Militare Italiana a Spezia. Il settore della subacquea non significa solo sommergibili, ma anche esplorazione dei fondali e monitoraggio-sicurezza dei cavidotti e delle infrastrutture energetiche e di telecomunicazione sottomarine. Questo spiega l' acquisizione della Remazel Engineering, un’azienda ingegneristica con esperienza nei gasdotti e oleodotti sottomarini. Le scelte di politica industriale dei diversi governi e le strategie produttive di Leonardo e degli altri protagonisti del settore hanno portato a più alte quotazioni di Borsa e a maggiori dividendi per gli azionisti, ma fanno delle produzioni militari un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. In Italia come in Europa, un allargamento del “complesso militare industriale” non fa che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti, mentre il governo di destra oscilla privo di un qualsiasi riferimento di politica estera che non sia quello di un richiamato antistorico ad una sorta di "interventismo di ritorno" contrabbandato come interesse nazionale. In questo senso il passaggio di Piaggio Aerospace ai turchi di Baykar non fa che alimentare legittime preoccupazioni: vocazione bellica, finanziarizzazione, interessi azioni intrecciati a quelli geopolitici potrebbero rappresentare un ulteriore punto di sviluppo di crisi industriale nella rinuncia a una capacità di riconversione e questo avviene mentre ulteriori produzioni strategiche stanno abbandonando il Paese come nel caso di Portovesme, dove si producono principalmente zinco e piombo. Su tutto questo fin qui descritto continua a stagliarsi l'ombra fosca del nucleare.

mercoledì 18 dicembre 2024

Allarme del Censis: la democrazia non è più un valore sociale - Articolo21

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Right turns and Left leans: A New gender divide in young voters? with Gefjon Off - Foundation for European Progressive Studies

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Social democratic failures and comebacks - Foundation for European Progressive Studies

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Milano, caro affitti per chi cerca casa

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TRASPORTO PUBBLICO, UN ANNUS HORRIBILIS |

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MILANO PARADISO FISCALE DOVE AUMENTANO I POVERI |

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2025 UN ANNO DI ANNIVERSARI |

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lunedì 16 dicembre 2024

Super ricchi, in Italia e nel mondo il divario insostenibile

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Il servizio sanitario nazionale: l’importanza di tornare alle origini, Elena Granaglia | Menabò di Etica ed Economia

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Che fine ha fatto l’Irpef? Quale futuro? (seconda parte), Ruggero Paladini | Menabò di Etica ed Economia

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IL RAPPORTO DRAGHI, LA COMPETITIVITA’, LA POLITICA (prima parte) , Leonardo Paggi, Massimo d’Angelillo | Menabò di Etica ed Economia

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Il Rapporto Draghi tra globalizzazione e nuova politica della concorrenza, Michele Grillo | Menabò di Etica ed Economia

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venerdì 6 dicembre 2024

Franco Astengo: Censis 2024

CENSIS 2024: IL NAZIONALISM0 SENZA NAZIONE di Franco Astengo Di seguito si troverà una sintesi giornalistica delle principali proposizioni emerse dal rapporto del Censis 2024 presentato oggi 6 dicembre. In precedenza siano consentite poche righe dettata da un'analisi personale: 1) il Censis ha fotografato un'Italia dove la politica, l'azione pubblica, il senso del collettivo ha ormai raggiunto il minimo storico almeno dal secondo dopoguerra in poi; 2) L'analisi di questa sintesi che presentiamo adesso ci dimostra che la passività sociale viene intesa e sfruttata come varco perché si apra il fianco a qualche avventura pericolosa, considerato anche il vento che spira per il mondo; 3) Dovrebbe essere fondamentale il recupero di alcuni concetti-base che tra l'altro stanno dentro per intero alla Costituzione Repubblicana nell'idea dell'uguaglianza, di una democrazia rappresentativa, di una partecipazione popolare al governo del Paese; 4) Alla frantumazione corrisponde quindi l'acquiescenza di massa nell'omologazione della perdita di valori che si verifica mentre si sta smarrendo il senso del "pubblico" in settori decisivi come il lavoro (in un Paese privo di struttura e di politica industriale) la scuola e la sanità che dovrebbero essere considerati non semplicemente come elementi del "welfare" ma come fattori fondamentali della coesione sociale; 5) questo governo punta su di un antistorico nazionalismo senza nazione puntando tutto sulla paura. L'idea di una Europa democratica sembra ormai smarrita dentro a una crisi profonda delle relazioni internazionali; 6) Tutti questi elementi giustificano ampiamente la tanto criticata affermazione sulla "rivolta sociale". Abbiamo bisogno urgente di una gramsciana "rivoluzione intellettuale e morale" tale da funzionare come presa di coscienza collettiva. Ecco la sintesi come ce la stanno offrendo le principali fonti di stampa in queste ore: "Si galleggia e ci si crogiola in una "sindrome italiana" che ci intrappola perché non si arretra e non si cresce. La fotografia del Rapporto Censis 2024 restituisce una stasi che nasconde anche opportunità, slanci che sarebbero dietro l'angolo. Sempre che si decida di non galleggiare, appunto, nel tradizionale problema solving all'italiana che, scrivono ancora quelli del Censis, non basta più. «Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata», si legge nel rapporto 2024 in cui si dice che negli ultimi vent’anni (2003-2023) ci si e impoveriti perché il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. In un flash: c'è più lavoro ma meno Pil, il settore del turismo è molto vivace mentre l'industria soffre nonostante l'aumento netto della produttività, manca personale in diverse realtà e il welfare è ipotecato. Tutto questo succede mentre c'è un nuovo scenario mondiale e un nuovo scenario tecnologico «nei quali le barche non salgono e non scendono più tutte con la stessa marea». I ottengo men, i dimenticati che scontano la deindustrializzazione, non sono solo nel Midwest, l'ottimismo autentico, dell'era della globalizzazione arrivate ormai al capolinea. L'Italia sta attraversando profonde trasformazioni che, avverte il Censis, rischiamo di non padroneggiare al meglio. Soprattutto se si sceglie il galleggiamento senza meta di «sempre meno famiglie e imprese che competono», e che mano a mano saranno «sempre meno abili al galleggiamento». Ecco perché la fotografia del Censis assume i contorni di una trappola se si considera che l’85,5% degli italiani è ormai convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale."

La gauche et les migrations (XIXe-XXIe siècle) - Fondation Jean-Jaurès

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L'occupazione tiene, ma i salari sono in affanno - Lavoce.info

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"Prima della sanità obbligatorio tagliare altre spese": la Consulta dichiara parzialmente illegittima la legge di bilancio per il 2024 - Il Fatto Quotidiano

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The left is waking up to the immigration crisis - New Statesman

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Gestione urbanistica a Milano: non è solo questione di norme ma di politica del territorio - ControPiede

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lunedì 2 dicembre 2024

How Trump’s Victory Exposes the Failures of Neoliberalism

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A Milano fuga dal pubblico impiego. Ecco le ragioni

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Rapporto Svimez sul Mezzogiorno: il divario torna a crescere

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Che fine ha fatto l’Irpef? (prima parte), Ruggero Paladini | Menabò di Etica ed Economia

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Disuguaglianza e merito: qualche riflessione a partire da Luigi Einaudi, Maurizio Franzini, Michele Raitano | Menabò di Etica ed Economia

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A Milano va in scena il funerale dell’urbanistica italiana - Terzogiornale

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