martedì 12 marzo 2019

Felice Besostri da Left, 8 marzo 2019

La manifestazione del 2 marzo è andata molto bene, tutti dobbiamo esserne contenti. Ma il problema della sinistra italiana, se non vuol fare la fine di quella polacca non più rappresentata nel Sejm dal 2015, è altro dall’unirsi sui temi dei diritti umani. Se fosse divisa anche su questo, sarebbe meglio immergersi nel Terzo Settore e fare volontariato rinunciando ad un impegno politico. Le condizioni di partenza non sono delle migliori, ala luce dei risultati impietosi del 4 marzo 2018: la ricostruzione di una presenza politica significativa è chiaramente un impegno di lunga durata. Tutti dovremmo saperlo, ma quesito aumenta l’angoscia, perché c’è un ceto politico, che non ha alternative personali alla permanenza nelle istituzioni o nelle vicinanze, godendo di una qualche indennità di rappresentanza. La preservazione del gruppo dirigente è anche ragionevole, ma è chiaro che senza rinnovamento non si attirano nuove forze. Ci sono ragioni oggettive ed universali per le difficoltà della sinistra, che non è in buona salute in diverse parti del mondo, anche per l’affermarsi di stili di vita e modelli culturali di individualismo competitivo e consumista. In Europa il modello socialdemocratico, rappresentato dai partiti del PSE, è in affanno, con la crisi economica non sono più possibili politiche distributive della ricchezza e il welfare state.Della loro crisi non beneficiano se non molto marginalmente i partiti alla loro sinistra. Solo il laburismo di modello britannico è ancora competitivo in Gran Bretagna e nei paesi del Commonwealth very british, Australia e Nuova Zelanda, tanto che il Canada è escluso. In Africa i partiti dell’indipendenza FLN,Frelimo, MPLA,PAIG, ZANU, ZAPU e anche ANC ( queste sigle diranno qualcosa alla maggioranza dei lettori sotto i 30 anni?), per non parlare di chi ha preso il potere in Eritrea o in Etiopia non sono più quei puri campioni della liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo. In America Latina sembra passata l’ondata di sinistra, che aveva travolto regimi militari. Il caudillismo influenza anche le esperienze più avanzate. Nel nostro democraticissimo paese si vota ad ogni piè sospinto, ovvero non si vota più come nelle Province. Le leggi elettorali di Comuni e regioni con premi di maggioranza alle coalizioni hanno nascosto la crisi, ma basta l’arrivo di una legge elettorale come l’europea, per mettere tutto in crisi. Le uniche alleanze le possono fare i partiti rappresentativi delle minoranze linguistiche, ma non sono mai state al centro di un’azione politica della sinistra, tranne che i tedeschi dell’Alto Adige per ragioni di potere e gli sloveni del Friuli Venezia Giulia per contingenza politica. Il PD d’accordo con FI ha introdotto la soglia alle europee apposta prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e non se ne è mai pentito e neppure quelli che se ne sono usciti. Nessun sostegno alle azioni per farla dichiarare contraria Trattati. Nella XVII legislatura nessuna iniziativa per modificarla, anzi parlamentari europei del Pd hanno votato a favore della decisione n 994/2018 per renderla obbligataria nei grandi paesi come Germania, Francia, Spagna, Polonia e il nostro. Non solo nel Senato l’approvazione è passata senza battaglia anche da parte di Leu. La sinistra diventa a favore delle soglie, come incentivo a unirsi? Con il trattato di Lisbona il Parlamento non rappresenta più “le popolazioni degli Stati” associati, ma direttamente “i cittadini UE” (art. 10.2 TUE), quindi non ci possono essere soglie nazionali, facoltative e variabili , perché il voto non sarebbe più uguale , ma dipenderebbe dal paese di residenza e con la Carta di Nizza il diritto di voto e di eleggibilità è diventato un diritto fondamentale (art. 39 CDFUE). Sarebbe come eleggessimo la Camera dei Deputati con soglie di accesso differenziate per regione in misura variabile e decisa da loro. Preoccupa che la sinistra si prepari alle elezioni europee non sapendo che “I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo.” e, invece, che “Gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini."(art. 10.2 TUE) Il 26 maggio non eleggiamo i deputati italiani nel Parlamento Europeo, ma i rappresentanti dei cittadini UE residenti in Italia. Ci fosse ancora un residuo di internazionalismo candideremmo un cittadino UE non italiano da far votare da tutti i cittadini UE residenti in Italia. Non succederà perché c’è rischio che sia eletto lui e non un Pisapia nuovo entrante o un vecchio uscente. Un passo avanti si potrebbe fare se a sinistra si discutesse su cosa ci divide con lo scopo di superare le divisioni o, meglio, per trovare un metodo democratico per decidere le questioni controverse. Invece di dire W Corbyn, impariamo dal Labour: si cambia decisamente linea senza dividersi, perché contano iscritti e militanti, non dirigenti o signori delle tessere. Felice Besostri, Presidente del gruppo di Volpedo, rete dei circoli socialisti e libertari del N.O.

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