lunedì 31 ottobre 2011

Peppe Giudice: Bersani e gli anni '80

Bersani ha ragione quando afferma che Renzi scambia per nuovo il peggio dell’usato degli anni 80.

Nel Psi di fine anni 80 sorse un pensiero di risulta che ebbe in Gianni De Michelis (che comunque aveva uno spessore di gran lunga maggiore di Renzi) il suo massimo esponente. Un pensiero tecno-dannunziano (come lo chiamo io) che esaltava acriticamente la modernizzazione, l’innovazione. Che nello stesso linguaggio operava una torsione economicista della politica ( “L’Azienda Italia”). Che in definitiva, tramite questo procedimento, era incapace di leggere le contraddizioni profonde della modernizzazione capitalistica. Dietro la quale c’era la formazione del capitalismo finanziario quale elemento strutturale e non accessorio del processo di accumulazione del capitale. Con tutti gli squilibri nella distribuzione della ricchezza e del potere che esso ha prodotto.

Lombardi ci insegnava che i socialisti devono sempre collocare l’azione politica dentro una analisi della dinamica economica e sociale in atto. Una corretta capacità di lettura della società e della economia impediscono di rendere obsoleta una certa azione politica. Ma ci ha insegnato al tempo stesso la fedeltà alla missione che i socialisti hanno di costruire una società fondata sulla giustizia sociale, la democrazia economica e l’emancipazione del lavoro. Le due cose devono sempre marciare di pari passo.

La SPD con il troppe volte citato programma di Godesberg compì un grosso sforzo di innovazione culturale (che aveva le sue premesse negli anni 30) ma restando fedele al nucleo forte del progetto socialista. Si trasformò ad esempio in “partito di popolo” da partito di classe mantenendo un rapporto preferenziale con la classe operaia. Brandt diceva “la SPD non ha bisogno di uan corrente operaria, perché il cuore del partito è operaio”

Il socialismo democratico, quindi, rifiuta sia il conservatorismo ideologico dei Sabatini o dei Cremaschi, sia il modernismo di maniera che nasconde la subalternità al capitalismo liberista.

Ma se nel PSI De MIchelis (e Martelli) volevano di fatto fuoriuscire dal socialismo non era questo comunque il pensiero di Craxi. Al quale vanno imputate certo gravi distorsioni nella gestione del partito, ma al quale va riconosciuta una differenza di pensiero che non viene notata quando alla analisi politica si sostituisce l’animosità da tifoso. Ecco un passo di Craxi del 1990 (altre volte l’ho pubblicato):



“Il problema che abbiamo di fronte è quello di evitare lo spreco delle grandi potenzialità oggi esistenti, di spezzare i circuiti involutivi in cui rischiano di paralizzarsi e di esaltarle in una crescita larga ed equilibrata. Quando l’economia, la cultura, le tecnologie ci offrivano molto di meno di quanto oggi è loro possibile, siamo riusciti nei paesi democratici a moltiplicare le opportunità di lavoro, a creare reti di protezione sociale, a far affermare il principio dell’uguaglianza, a migliorare grandemente il tenore di vita. Ma questo mondo nuovo più progredito, più evoluto, più civile, è colmo di contraddizioni. Abbiamo moltiplicato i canali finanziari per produrre ricchezza, ma la ricchezza finanziaria si chiude nei suoi circuiti, riduce la solidità del nostro sviluppo, estrania i Paesi che più ne hanno bisogno. Il progresso scientifico e tecnologico ha portato straordinari benefici alla nostra vita e alla nostra salute, ma ha creato e crea rischi per noi e per le generazioni future. Abbiamo opportunità di produzioni, di consumi e di svago che mai avevamo raggiunto ma queste maggiori possibilità e questa vita più ricca, lorda la terra, l’acqua, l’aria, logora il territorio, degrada il nostro patrimonio culturale.”











” Ma un mercato abbandonato a soli attori economici genera squilibri, poteri prevaricanti ed abusi che impediscono un progresso armonico, danneggiano la collettività e, nel tempo lungo, le stesse attività economiche. Lo Stato deve intervenire sul mercato ma con precise regole: regole che impongano standard professionali e patrimoniali a chi svolge determinate attività, regole limitative delle concentrazioni e a tutela della concorrenza, che assicurino trasparenza ed informazione, che sanzionino diritti e responsabilità, che diano argini alle attività finanziarie e neutralizzino le loro potenzialità speculative e destabilizzanti. Il sistema misto che caratterizza l’economia italiana ha dato risultati positivi e non può essere travolto nel nome di indefinite privatizzazioni agitate talvolta con una demagogia ideologica che nasconde il peggio piuttosto che proposte entro i limiti di una pratica e giustificata concretezza ed utilità. L’impresa pubblica ha ancora molte funzioni da svolgere: c’è ancora il Mezzogiorno, che ha bisogno di infrastrutture, insediamenti produttivi e servizi. Ci sono produzioni e tecnologie verso le quali le partecipazioni statali possono canalizzare le loro risorse finanziarie. C’è il contributo che esse possono dare alla concorrenza e all’efficienza stessa dei mercati. In campo finanziario, l’esplosione delle attività e il moltiplicarsi degli intermediari hanno fatto saltare molte regole del passato, hanno messo a dura prova le capacità degli organi di vigilanza ed hanno occupato un vasto territorio al di fuori di ogni disciplina di trasparenza e di responsabilità. Rimedi urgenti richiede anche il sistema bancario. Di qui la necessità di un impegno legislativo, che è stato sino ad oggi soltanto avviato, per costruire gli argini e le regole di un mercato in crescita.”



Questo serve a capire il caratttere contraddittorio del craxismo anni 80. Ma voglio sottolineare come il modernismo ed il nuovismo di De Michelis siano stati fatti interalmente fattoi propri dall'ulivismo, che nella sua crociata contro CRaxi , aveva finito per raccogliere proprio gli aspetti peggiori del postcraxismo fine anni 80. E che dire del rampantismo del PD? Di cui forse Bersani non ha colpa ma che lo condiziona terribilmente.

Meditate gente...



PEPPE GIUDICE

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