martedì 19 dicembre 2017

Paolo Bagnoli: Le regole non scritte

le regole non scritte paolo bagnoli da Non mollare Il motore della campagna elettorale ha già cominciato a surriscaldarsi, ma il vento gelido che avvolge la Repubblica non ha terminato di vorticare. È chiaro che la fase delle possibili alleanze renda il clima nervoso e in esso si riversi il peso di quell’eccesso di personalismo e di protagonismo di cui soffriamo da tanto, troppo, tempo. Ed è altresì naturale che, mentre alcune forze cercano convergenze che sanno tanto di ancore di salvataggio per tornare sui banchi del Parlamento, i soggetti maggiori vogliono evidenziare i prodotti da offrire all’elettorato per attirare quanti più consensi possibili. Tutto è nella fisiologia del passaggio politico il quale denota, però, anche una preoccupante patologia. Infatti, quello che dovrebbe essere il focus del confronto elettorale, vale a dire la visione d’insieme che si offre al Paese, in altri termini la proposta politica, stenta a venire fuori. Il tutti contro tutti non equivale al confronto, anche aspro se tale deve essere, ma l’insieme è segmentato in dichiarazioni, apparizioni, richieste, ostracismi, accuse velenose, comportamenti non ortodossi e tanto, tanto altro di strampalato come l’annuncio del candidato premier 5Stelle il quale non perde occasione per testimoniare della propria improvvisazione quando afferma che, se la parte che rappresenta risulterà la più votata loro chiederanno al Presidente della Repubblica l’incarico per formare il governo. Forse non guasterebbe all’on. Di Maio sapere che l’incarico lo conferisce il Presidente, certo non prescindendo da una valutazione sui risultati, ma facendo prevalere su tutto la possibilità reale che si possa creare un governo capace di riscuotere la fiducia. E non è assolutamente detto che all’aver ricevuto più voti corrisponda una capacità effettiva di potercela fare nel far nascere il governo. Oltretutto la campagna elettorale dei 5Stelle stereotipata nell’immagine del rinnovamento totale di tutto si svolge modulata nel nulla e nell’improvvisazione cotta e mangiata: l’ultima perla, l’uscita sulle pensioni. Con loro al potere ci sono buone ragioni per temere che l’Italia diventerebbe un grande comune di Roma a guida Virginia Raggi! La democrazia e le istituzioni che la incarnano, è cosa risaputa, vivono per leggi scritte – l’osservanza della norma – ma sono autorevoli soprattutto per quelle non scritte, ossia quelle che non troviamo da nessuna parte se non nel galateo civico che anima moralmente una comunità. Quanto emerge dalla Commissione sulle banche lo conferma. Il presidente del Senato Pietro Grasso ha assunto la guida del partito nato dalla scissione bersaniana dal Pd e, mentre ribadiamo che Grasso è sicuramente un uomo delle istituzioni, dalla salutare figura sobria e che ha fatto bene alla testa del Senato, ci è parso stridente con l’autorevolezza e la correttezza che anche gli avversari gli riconoscono, vederlo in una trasmissione televisiva fare una televendita del simbolo del proprio partito: un’inimmaginabile caduta di stile. Va bene che siamo oramai alla fine della legislatura e ciò può essere motivo scusante per comportamenti che rispondano alle leggi non scritte di cui sopra, ma vogliamo ricordare che quando Giuseppe Saragat – allora presidente dell’Assemblea Costituente – divenne il leader del partito nato dalla scissione socialista, egli lasciò l’incarico e gli subentrò Umberto Terracini che, di tale Assemblea, era vicepresidente. E pure Giovanni Spadolini, quando assunse l’incarico di Presidente del Senato, lasciò il giorno stesso gli incarichi di partito. Altro clima e pure altra Italia, pur tuttavia, se anche un uomo come Grasso, che per di più è stato un alto e importante magistrato, dimentica le leggi non scritte, vuol dire che questo brutto clima di dissolvenza dell’etica repubblicana sta sempre più prendendo campo. Ci rendiamo benissimo conto di due fattori: che cosa sarebbe potuto succedere nel procedere alla scelta di un nuovo Presidente e che il mantenimento della carica dà alla nuova formazione una spinta in più per penetrare nell’elettorato del Pd per far perdere a Matteo Renzi la partita elettorale che è, poi, il fine vero della loro campagna elettorale. Vediamo cosa farà Grasso: se sarà veramente un leader politico oppure solo un uomo della situazione. È la crisi di un sistema, è la nebbia di una classe politica che non si pone il problema della ragione politica e delle ragioni della politica. Tanti uomini politici non fanno una classe politica; dovrebbero essersene resi conto in tanti. Infine due parole su Angelino Alfano il quale, nell’impossibilità di tenere in piedi un partito vissuto solo per il 4 nonmollare quindicinale post azionista | 011 | 18 dicembre 2017 _______________________________________________________________________________________ governo e senza presa reale alcuna come hanno dimostrato le elezioni siciliane, ha gettato la spugna tirandosi fuori. Lo ha fatto con dignità: una dimostrazione di stile democristiano. Sicuramente si è trattato di una scelta tanto coraggiosa quanto dolorosa; in ogni modo, una scelta da uomo politico vero. Pur in una specificità di segno diverso rispetto a quella nella quale galleggia il segretario del Pd, quella di Alfano, ci è parsa proprio una lezione per Renzi che, se fosse un politico vero, dopo il risultato referendario avrebbe potuto scegliere tra due strade: lasciare il campo e magari prepararsi a tornare con ben altra statura oppure cercare di andare alle elezioni anticipate e forse, allora, la possibilità di raccogliere una buona porzione dei sì ricevuti al referendum poteva anche realizzarsi. Invece ha inseguito, basandosi sulle primarie del proprio partito, la rivincita non all’insegna della politica bensì della riconquista del governo. Che gli bastino a corte i pasdaran prodiani, i sedicenti socialisti privi anche del figlio di Craxi, talune residualità di quello che fu il partito di Alfano, professionisti del gruppo misto, i centristi di Casini, la Lorenzin e pure Cicchitto per farcela, sembra assai improbabile. Parleranno le urne. Cosa succederà del gruppo di Emma Bonino ancora non è del tutto chiaro. Non più brillante quanto succede nell’altro campo caratterizzato dalla quotidiane baruffe tra Salvini e Berlusconi; baruffe che termineranno appena trovato l’accordo sui collegi. Berlusconi è sicuramente in grande spolvero e recita il copione del 1994 convinto che funzioni e chissà che non abbia ragione. Ma povera Italia quella che vedrebbe nel ritorno al passato la soluzione per il futuro. Insomma un grande annodamento che, da qualunque parte lo si consideri, assomiglia tanto a una paralizzante corsa sul posto. Che dopo un quarto di secolo di transizione annunciata si possa cadere nella paralisi politico-istituzionale della Repubblica provoca più di qualche brivido. Ci auguriamo che il Presidente Mattarella sappia tenere ben saldo il timone della navigazione Italia e che, nei modi e nelle forme proprie della responsabilità che ricopre, imponga un cammino di ricostruzione della politica democratica e dell’etica repubblicana.

Nessun commento: