CRISI LIBICA E PASTICCI PARLAMENTARI
Il dibattito sull'acuirsi della crisi libica e delle nuove esigenze belliche che essa presenta, svoltosi in una fase di accresciuta tensione sul piano internazionale relativa al “blitz” statunitense che ha portato all'uccisione di Bin Laden, ha dimostrato come i gruppi rappresentanti nel Parlamento Italiano non riescano a smuoversi minimamente dal “millimetro quadrato” dei loro particolaristici interessi di schieramento e di sopravvivenza politica ( e materiale: l'una di conseguenza all'altra).
Non entreremo nel merito delle specifiche questioni: il solito pasticcio di più mozioni approvate, l'assenza di una linea di politica estera sia da parte del governo, sia da parte delle opposizioni, l'evidente contraddittorietà della “posticcia” tregua tra PDL e Lega.
Questi fatti sono sotto gli occhi di tutti e, più o meno, amaramente commentati da osservatori ben più autorevoli di noi.
In questa occasione ci piacerebbe, invece, soffermarci su due aspetti, sicuramente non secondari.
Il primo, relativo all'ambito parlamentare, riguarda la constatazione (ennesima!) della gravità dell'assenza di un gruppo di sinistra alla Camera e al Senato: a parte la posizione, sicuramente positiva, del gruppo di “dissidenti” (non sarà pericoloso chiamarli a questo modo?) del PD, sia di estrazione cattolica sia di provenienza “progressista” (anche questa è una definizione improvvisata...) c'è stata soltanto la mozione dell'IDV, forza politica complessivamente lontana dall'esprimere un radicamento politico nella storia e nella realtà della sinistra italiana.
Si tratta di una mutilazione evidente e, ancora una volta, da sottolineare con forza: manca la sinistra, quella “storica”, quella le cui radici debbono necessariamente affondare nella tradizione delle grandi forze popolari superando steccati e ricostruendo identità ( si avvicina una sinistra “movimentista” che non colmerà sicuramente questo vuoto).
In secondo luogo l'esito del dibattito parlamentare dimostra (anche in questo caso in forma reiterata nel tempo) la necessità di ricostruire una idea di politica estera, in funzione della ricostruzione di una idea di alternativa (al convegno su Giolitti, si è parlato di credibilità affidabilità, realismo).
Ebbene, la politica estera può essere ricostruita soltanto attraverso alcune opzioni di fondo che debbono essere discusse, analizzate e fatte oggetto di interpretazioni tali da poter poi produrre posizioni politiche praticabili, declinate anche al contingente.
Occorre comprendere l'importanza che la geopolitica ha nuovamente assunto, in questa fase, come “caso speciale” di rapporto fra pensiero politico e spazio: un rapporto da assumere immediatamente, come oggetto dichiarato del dibattito.
Le idee, giudicate adesso arcaiche, delle “zone smilitarizzate” (penso al piano Rapacky in Europa, su cui molto si discusse negli anni'50) possono essere riprese, a questo proposito, come quelle relative al ruolo delle organizzazioni internazionali (su cui torneremo fra poco) intese come riferimenti nelle trattative.
A questo proposito ci limiteremo, nell'occasione, (per quanto possiamo esserne capaci) a volare alto, indicando tre opzioni.
La prima riguarda l'assoluto rispetto dell'articolo 11 della Costituzione e, quindi, l'assoluta negazione di qualsiasi partecipazione dell'Italia ad eventi bellici, sotto la forma dell'intervento armato.
La seconda questione riguarda il tema dell'ONU. Il rafforzamento dell'ONU potrà apparire, in questo momento, idea utopica e non molto popolare, ma appare – a nostro modesto giudizio – l'unica che possa fornire un orizzonte “politico” ai temi di cui si sta discutendo. La necessità di un “ruolo forte” dell'ONU deve rimanere punto fermo di qualsiasi prospettiva di affrontamento positivo delle crisi internazionali, pur avendo realisticamente presenti tutte le contraddizioni che insorgono a questo proposito.
Il terzo tema è quello dell'Europa: è evidente che, mai come in questo frangente dell'insorgere di nuove crisi in scacchieri delicati come quello nordafricano e mediorientale (non citiamo, qui, se non soltanto di sfuggita la delicatezza e l'importanza della situazione siriana ed il fatto nuovo dell'accordo da Al Fatah e Hamas al proposito della Palestina) l'Europa attuale abbia dimostrato per intero tutto il suo fallimentare bilancio.
Proprio oggi, 5 Maggio, ne accenna lucidamente Luciano Canfora, sulle colonne del “Corriere della Sera”, recensendo il dialogo tra Mauro e Zagrebelsky sul tema del rapporto tra felicità e democrazia, in uscita da Laterza.
Preso atto di questo fallimento una forza di sinistra deve riprendere in mano il filo della questione europea, collegarsi con le altre forze di sinistra, rappresentando così un blocco che ripropone per intero i temi di quell'Europa che non siamo stati capaci di realizzare e neppure indicare politicamente, sul terreno della pace, dell'eguaglianza, della solidarietà, dell'accoglienza.
Si discute molto di Partito Socialista Europeo: ecco il PSE va investito su questo terreno, proponendo anche la formazione di una adeguata soggettività politica davvero sovranazionale.
Non pensiamo semplicemente ad una Europa “politica”, piuttosto che “diplomatica” o quant'altro: riflettendo sull'Europa non si può non pensare alle invenzioni più originali del pensiero politico europeo.
Ad una idea dell'Europa vera cifra della modernità, che offre al mondo l'idea di una sua unità va offerta una ipotesi di rilancio: proprio oggi che l'idea dell'unità del mondo sembra andare smarrendosi e questo smarrimento coincide con la progressiva perdita di centralità dell'Occidente, delle sue categorie, dei suoi valori, delle sue istituzioni.
Rilanciare l'Europa per rilanciare l'idea delle democrazia, delle regole condivise, del “primato della politica”.
Il movimento per la pace, potrebbe trovare attorno a questi obiettivi, un nuovo rilancio in una fase in cui sembra davvero difficile fornire adeguati obiettivi politici: senza obiettivi politici, è bene ricordarlo, i movimenti deperiscono, fino quasi a sparire a rifugiarsi in improbabili isole utopiche.
Questo quadro, sicuramente descritto male e in maniera inadeguata, ci richiama, infine, alla realtà del “caso italiano” e alla necessità di una nuova soggettività politica unitaria della sinistra: questo, però, è un discorso troppo vasto ed importante per essere affrontato a questo punto.
Savona, li 5 Maggio 2011 Franco Astengo
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