Corriere della Sera > Archivio > Paolo Grassi . La scena dei valori Archivio storico
una Raccolta di Scritti In anteprima «Il coraggio della responsabilità», articoli e recensioni che il fondatore del «Piccolo» pubblicò su «L' Avanti» dal 1945 al 1980
Paolo Grassi . La scena dei valori
Coerenza Diresse la Scala e fu presidente della Rai senza smarrire la tensione ideale che gli permise di coniugare arte e politicaL' amicizia con Strehler fu l' incrocio di due solitudini parallele e complementari, la ricerca comune di un nuovo pubblico in una città ancora «illuminata»La storia di trentacinque anni di vita culturale a Milano e il sogno di poter cambiare il mondo attraverso il teatro
Sembra di immaginare - ma non c' è fantasia sufficiente - cosa direbbe oggi, arrotando a sciabola la famosa erre moscia, Paolo Grassi, il grande operatore culturale, teatrale, politico che fondò nel 1947 il «Piccolo» con Giorgio Strehler. Lo diresse a quattro mani e lanci di portacenere fino al 1972, andando poi alla Scala, dopo aver attraversato via Rovello, San Tommaso e Broletto, nella vecchia Milano: in quella stagione magnifica con Abbado e Bogiankino, quando la serata inaugurale del 7 dicembre era teletrasmessa, l' Otello di Verdi entrava in ogni casa. Successivamente, ' 77, s' accomodò sulla poltrona della presidenza Rai, dove restò quattro anni genericamente infelici (nonostante la terza rete), alla mercé della sottopolitica, come scrisse. Concluse la carriera all' Electa e morì nel 1981 a Londra, appena sessantaduenne, durante un' operazione. Ora un bellissimo libro edito da Skira con i suoi scritti per l' Avanti!, cui restò nei decenni fedele da buon socialista del primo turno, ce lo riporta alla ribalta con tutta la veemenza, la raffinatezza e la passione di cui era capace. Prima le recensioni nel ' 45-' 46, quando si incontrò con Strehler alla fermata del 5 in corso Buenos Aires, come in una canzone di Jannacci, e poi le lettere, i commenti, gli interventi, i discorsi ufficiali, molte polemiche, appelli, accuse contro i «persecutori» politici e, insomma, tutto lo sturm und drang personale di cui era capace un uomo che dava al teatro tutta la sua vita, generalmente così pretendendo dagli altri. L' insieme degli scritti si intitola «Il coraggio della responsabilità» ed è curato con competente affetto di ricordi da Carlo Fontana, che fu suo stretto collaboratore, e Valentina Garavaglia che mette bene a fuoco il contesto di quegli anni gloriosi e irripetibili. I pezzi di Grassi, grafomane anche in ufficio - avendo avuto il privilegio di lavorare al «Piccolo» per anni ricevetti centinaia di missive su questioni di metodo ma anche sul piccolo cabotaggio, già quasi messaggini - inizia con molte recensioni. Cioè sta in platea, parlando del teatro d' evasione, dei divi di allora, del jolly Visconti, di O' Neill, Strehler, e pure di Garinei e Giovannini sfoderando ogni tanto un po' di moralismo sulle questioni di sesso; se la prende con i dissidenti puritani, col pubblico che ingiuria gli attori in un' epoca in cui si fischiava spesso e volentieri, con la tosse e le tasse che tagliavano il quarantadue per cento dell' incasso. Passò, dopo il famoso calcio al portone del cinema Broletto, già sede sanguinaria delle torture nazifasciste, dall' altra parte della barricata; con l' apertura e il successo del «Piccolo», partono le querelles: per Brecht e per la patria, ma anche per Buazzelli e Foà; se la prende con tutti i critici ma anche con una puntata di «Studio Uno» e nel ' 64 prepara con Strehler un documento per un teatro nuovo che resterà inascoltato per decenni. Grassi aveva veramente intuito tutto il giusto che c' era da fare nella nostra vecchia torta di una cultura tagliata a spicchi sociali, rivoluzionando l' idea del teatro d' arte e del suo consumo, avendo gli incantesimi di Strehler: cosa direbbe oggi in epoca di telefonini bianchi? Per lui, la società aveva bisogno più di tensioni ideali che di efficienza, parafrasando il famoso motto gramsciano sul pessimismo della ragione e l' ottimismo della volontà. Oggi, nell' era del consumismo coatto di comunicazione virtuale, avanspettacolo globale, potere massmediologico, dittatura tv, si troverebbe male, malissimo. Era un genio della diplomazia culturale, un uomo che ogni sera riceveva il pubblico e andava poi nei circoli a parlare e in pochi salotti progressisti, ma la sua epoca è scomparsa, come suggerisce Fontana. Eppure le famose promozioni di pubblico sono quelle che adesso fa il cinema: l' infreddolito decentramento (il 28 gennaio 1969 portò l' Arlecchino sotto la tenda a Gratosoglio) è oggi il multiplex. Nel primo bivio tra due civiltà e due morali, con l' agguato della scienza alle porte, Grassi aveva scelto di parlare con la gente, con gli uomini, senza porre limiti: fu il primo a invitare il Living Theatre, la Weigel, la Mnouchkine. Ma era un uomo solo con il suo teatro, così come Giorgio Strehler di cui siamo inconsolabili orfani (anche se ora il «Piccolo» è nelle ottime mani di Escobar e di Ronconi con le sue meravigliose utopie): la loro amicizia fu l' incrocio di due solitudini parallele e complementari, quella di un intellettuale «organico» e quella dell' artista che il palcoscenico blandiva ma non bandiva. Grassi fu il primo a concepire un nuovo teatro d' arte per un nuovo pubblico che non osava avvicinarvisi, appaiando coincidenze ideologiche e concrete, la poetica e la pratica, affetti e speranze, ire e sorrisi, in una Milano illuminata e per fortuna non ancora da bere, stomaco permettendo. Secondo Grassi, la differenza tra l' efficienza dell' operatore culturale e quella del manager (ora aggiungeremmo quella del politico) sta, come scrive Fontana, nel disegno di guidare un teatro al pari di «un organismo imprenditoriale in quanto efficiente, efficiente in quanto culturalmente vivo, vivo in quanto specchio di una società viva». Questo per lui fu il Piccolo, fu la Scala, fu la Rai, l' Electa, tutto. E quando diceva che bisognava costruire sia teatri che ospedali, uccidendo la falsa dicotomia della scelta, quando parlava del «Piccolo» come di un servizio pubblico uguale ai vigili del fuoco o alla metropolitana (ancora da venire), non voleva abbassare l' arte ma alzare il tasso della vita civile e iniettarci dentro il germe della poesia per essere tutti meno soli. * * * La recensione «La Volante» all' Olimpia Dopo l' insuccesso di Genova e di Torino, la rivista Soffia so' ... è ritornata a Milano sperando di ritrovare la benevola accoglienza di due mesi fa. Ma gli umori dei milanesi erano cambiati, e quello che allora poteva essere accettato come uno scherzo innocuo, ieri sera è sembrato insopportabile confrontato con quanto la realtà ogni giorno dimostra. Fu così che un subisso di fischi ha costretto la compagnia a sospendere la rappresentazione dopo il terzo quadro. Venne anche la Volante, ma i mitra furono impotenti contro i fischi e il sipario dovette rimanere definitivamente chiuso. Siamo sostanzialmente d' accordo nel riprovare il carattere reazionario dello spettacolo; d' altra parte non ci sembra perfettamente democratico l' atto di violenza compiuto contro la rappresentazione. Una domanda infine: perché i rivistaioli sentono il bisogno di fare del «qualunquismo» a ogni piè sospinto? Pensiamo che si possano allestire delle ottime riviste anche lasciando in pace certa eccessiva satira politica. 14 novembre 1945
Porro Maurizio
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(25 aprile 2009) - Corriere della Sera
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