E’ morto Venerio Cattani, un socialista libero
Ieri 22 maggio 2009, 14.36.10 | Mauro Del Bue
Mi spiegò che eravamo anche parenti. E una volta, correndo per gli scoscesi viottoli di Broletto di Albinea, una signora in nero, tra profumi di arrosto che fumavano da casa, mi gridò che era sua cugina. Era nato a Reggio nel 1927, Venerio Cattani, laureato come me in filosofia e come me ammalato di politica fin da ragazzo e mai più guarito. Un vecchio socialista mi raccontava di quando, nel 1945, Venerio aveva ancora i pantaloni corti e contestò al Municipale il leader socialista reggiano Alberto Simonini, con sfrontatezza (per poi dargli abbondantemente ragione in seguito), e poi di quando Venerio partì per Roma, perchè chiamato alla Direzione da Rodolfo Morandi. Da allora, e siamo nel 1947, Cattani lasciò Reggio per diventare un politico globe trotters. Da Roma fu inviato, come segretario provinciale del Psi, prima a Ravenna e poi a Ferrara. E nella città estense Venerio fu eletto deputato per la prima volta nel 1958. Già nel 1957, in occasione del congresso di Venezia del Psi, Cattani divenne protagonista della politica socialista, come uomo di fiducia di Pietro Nenni e alfiere dell’autonomismo più spinto e della unificazione con Saragat. Anzi, si parlò di lui come del naturale vice segretario di De Martino, quando, nel 1964, Nenni fu vice presidente del Consiglio. Preferì seguire il vecchio Pietro al governo e fu all’agricoltura, al commercio estero e al tesoro, come sottosegretario. Alla Camera rimase fino al 1972, quando venne battuto inopinatamente da un funzionario bolognese. Da allora fu membro del Consiglio di Stato. Cattani fu tra i migliori della vecchia nomenclatura politica. Colto, fresco, mai retorico, col periodare semplice e diretto, lucido e razionale, sempre pronto al sarcasmo e al paradosso. Claudio Martelli un giorno mi confessò: “Noi giovanie eravamo tutti con Cattani, perchè lui era “ragionamento puro”. Mio padre si ritagliava tutti i suoi interventi in Comitato centrale pubblicati sull’Avanti. Non era mai banale e scontato. Sapeva sorprenderti. Se sosteneva una tesi te la dimostrava col suo itinerario di deduzioni. Ed era, naturalmente, come tutti i grandi politici, giornalista di razza. Scriveva su “Il Giorno” su “Il Tempo”, oltrechè sull’ “Avanti”. Sempre con l’inchiostro intinto nel cervello. E nella risata, anche grassa, tipica degli emiliani. E scrisse anche libri di storia come quello su Leandro Arpinati e Torquato Nanni, ma anche saggi, libelli, favole, storie attinte dalla realtà e manipolate dalla sua fantasia. Come quella su Teodoro, re di Corsica, che presentammo insieme a Reggio con Franco Boiardi, qualche anno fa. Gli piacevano i personaggi liberi, originali, eretici. Come in fondo era lui. Libero di remare, sempre controcorrente
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