Il diritto alla vita
Data di pubblicazione: 14.05.2009
Autore: Zolo, Danilo
La questione in gioco non è l’asilo politico, ma la solidarietà tra gli appartenenti alla razza umana e le politiche che possono renderla effettiva. Il manifesto, 14 maggio 2009
Il parlamento italiano sta votando per trasformare i migranti irregolari in criminali. Il successo della maggioranza governativa agli ordini del suo seducente, ricchissimo sultano è scontato. Il ministro degli interni Roberto Maroni, che dell'idea è il grande ispiratore, spicca per il suo egocentrismo xenofobo e per il suo cinismo intellettualmente misero oltre che moralmente deplorevole. E trionfa ancora una volta l'ottusità giuridica e la ferocia sociale dell'idea di sicurezza e di identità etnica che è propria del presidente del consiglio. Berlusconi, si sa, ama il prossimo suo come se stesso, soprattutto se si tratta di giovani donne. Nulla ormai ci può sorprendere nel contesto della deriva razzista e dell'indigenza intellettuale che sta travolgendo l'Italia.
Il tema da approfondire è però un altro: che senso ha proclamare a tutti i venti - come hanno fatto, fra i molti altri, il presidente della camera Fini e il pontefice romano - che l'Italia ha il dovere di rispettare il diritto di asilo politico dei migranti invece di respingerli tout court e di consegnarli alla Libia? Che senso ha chiedere all'Italia di attenersi alle Convenzioni di Ginevra se è vero che da tempo nessuno le rispetta, a cominciare dalle grandi potenze occidentali e dallo Stato di Israele? E che senso ha richiamarsi all'art. 10 della Costituzione italiana sul diritto di asilo se è una normativa, anche questa, che il governo può ignorare senza problemi, esattamente come ignora l'articolo 11 che imporrebbe all'Italia di non essere complice degli Stati uniti nella guerra di aggressione contro l'Afghanistan?
Anche l'autorevole giurista internazionalista, Antonio Cassese, in un suo intervento su Repubblica (12 maggio), non ha saputo fare altro che ripetere il refrain del diritto di asilo politico, per di più dopo aver sostenuto, erroneamente, che l'immigrazione clandestina sta aumentando a ritmi vertiginosi e che i flussi migratori incidono seriamente sul nostro mercato del lavoro. Come è noto, la spinta migratoria verso i paesi euromediterranei è in decrescita. Ed è altrettanto noto che circa il 10% della ricchezza prodotta nel nostro paese è frutto dell'attività di imprenditori e di lavoratori provenienti da paesi extracomunitari, con in testa nazioni come il Marocco, l'Albania, il Senegal, la Tunisia.
La questione cruciale è dunque molto diversa, se è vero che il diritto alla vita è il diritto fondamentale proclamato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948. È una verità difficile da negare, dopo i fiumi di retorica che ci hanno investito per la ricorrenza dei sessant'anni della Dichiarazione. Ma allora perché il diritto alla vita è ignorato dalle norme nazionali e internazionali che attribuiscono agli stranieri il diritto all'asilo politico? Ci sono aree del pianeta da dove centinaia di migliaia di persone partono abbandonando le loro famiglie, i loro affetti, le loro tradizioni, i loro universi simbolici, le loro credenze religiose, i loro canti. Non lo fanno, salvo rare eccezioni, perché sono alla ricerca delle «libertà democratiche» garantite dall'asilo politico dei paesi occidentali. Lo fanno perché muoiono di fame. Si calcola, ad esempio, che sono ormai quasi due milioni i migranti che da sud a nord attraversano i deserti africani, entrano in Libia superando i confini del Sudan e del Niger e convergono verso le coste del Mediterraneo. I deserti africani, inclusi quelli libici, sono ormai cosparsi di cadaveri, come lo è il fondo del Mediterraneo.
L'ampiezza del fenomeno migratorio non è semplicemente la conseguenza del carattere dispotico di molti regimi politici non occidentali, di sanguinose guerre civili o di condizioni generali di arretratezza civile, come si vuol far credere con la retorica dell'asilo politico. Le migrazioni sono strettamente legate alla crescente discriminazione «globale» fra i paesi ricchi e potenti, da una parte, e i paesi deboli e poverissimi dall'altra.
Al 20% più ricco della popolazione mondiale è destinata una quota di ricchezza almeno 160 volte superiore a quella del 20% più povero. E la differenza aumenta sempre più grazie alle decisioni arbitrarie e incontrollabili di soggetti internazionali dotati di grande potere economico-finanziario, politico e militare. Le cause della discriminazione globale sono, oltre alla povertà, le malattie epidemiche, l'assenza di acqua potabile, la devastazione dell'ambiente, le turbolenze ecologiche, il debito estero. Il fenomeno è particolarmente grave nei paesi «in via di sviluppo», come ha segnalato Luciano Gallino: in India, dal 1996 al 2007, si sono suicidati 250 mila contadini, perché oppressi dalla fame e dai debiti. Per loro nessun «diritto di asilo» ha operato e nessun pattugliamento del Mediterraneo è stato necessario.
Che cosa è possibile fare? Quali strategie, in particolare la sinistra europea, può adottare per far convivere i valori della cittadinanza democratica con l'apertura verso le altre culture e civiltà? Come fare del Mediterraneo uno spazio di cooperazione economica fra l'Europa e i paesi arabo-islamici? Come accogliere e ospitare i migranti senza sfruttarli, discriminarli e perseguitarli? Come controllare i flussi migratori in presenza di un'abissale, crescente differenza fra il mondo dei ricchi e il mondo dei poveri? Questi sono i problemi da affrontare se il diritto alla vita non è una ignobile impostura globale.
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