domenica 10 maggio 2009

Andrea Ricciardi: Percorsi d'azionismo

dal MANIFESTO






06.05.2009




di Andrea Ricciardi
Percorsi d'Azionismo
Giustizia e Libertà, il Partito d'Azione: sigle lontane ma così politicamente vive. Un convegno e una mostra
Si apre domani a Torino la quinta edizione di «Giellismo e Azionismo. Cantieri aperti», dedicata a Vittorio Foa, sul cui ruolo politico e culturale si rifletterà a fondo nella prima giornata di lavori. Il seminario, ideato e organizzato dall'Istoreto, rappresenta ormai un appuntamento centrale per chi si occupa di storia dell'antifascismo e fa ricerca, in particolare, sul movimento Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, sul Partito d'Azione e le sue varie anime, sulla diaspora azionista.
Il «fiume carsico» del post-azionismo evocato anni fa da Giovanni De Luna, pur scorrendo dal febbraio 1946 per la scissione del gruppo di La Malfa e Parri, si sviluppò a pieno (e in tutta la sua complessità) dopo lo scioglimento del partito nell'ottobre 1947. La maggioranza, al termine di un sofferto dibattito sull'opportunità di confluire nel Psli, aderì al Psi con Lombardi, Foa, Lussu, Schiavetti, Cianca e De Martino. Esponenti di spicco (Calamandrei, Codignola, Garosci e Vittorelli) si orientarono verso la socialdemocrazia, pur assumendo spesso posizioni critiche verso Saragat fino alla rottura. Alcuni (Cifarelli, Boneschi e Oronzo Reale) scelsero il Pri, altri (Valiani, Rossi, Agosti, Franco Venturi, Bauer e Rossi Doria) annunciarono il ritiro dalla politica attiva, pur con significativi - ma non sempre duraturi - ripensamenti. E' il caso di Valiani e Rossi, che furono tra i fondatori del Pr nella speranza di rafforzare la prospettiva di una «terza forza» che mai si consolidò, o di Spinelli, che dopo aver concentrato le sue energie sul movimento federalista fu deputato alla Camera per la sinistra indipendente e al Parlamento europeo.
Molti tra gli ex-azionisti, come ha più volte sottolineato lo stesso De Luna, anche quando abbandonarono la militanza di partito, non riuscirono a sottrarsi alla dimensione totalizzante assunta dall'impegno politico nel corso del Novecento e, di conseguenza, non smisero di esercitare - quasi inevitabilmente - una militanza intellettuale che coincise con il loro massimo impegno culturale nel secondo dopoguerra. E' per questo che, al di là della storia di Gl e del Pd'A che si chiuse con l'Assemblea Costituente, al fine di riflettere su una parte rilevante dell'antifascismo italiano, sulla sua eredità e sull'attualità delle varie culture che lo composero, appare fondamentale seguire - anche dopo il 1947 - i percorsi politici di personalità diverse dell'area laico-socialista che, con qualche eccezione e anche a causa delle poche fonti primarie finora disponibili, sono state soprattutto (e, il più delle volte, giustamente) celebrate dagli storici antifascisti oppure condannate strumentalmente dal revisionismo anti-antifascista e qualunquista, ma forse poco studiate attraverso gli strumenti e il rigore propri delle discipline storiche.
Si può dunque parlare di una nuova stagione di ricerche? Sembra di sì. Infatti, nonostante l'antifascismo - inteso come collante culturale del mondo politico-istituzionale nel segno del rispetto e della salvaguardia della Costituzione repubblicana - purtroppo non sia un valore riconosciuto da tutti, con la fine delle ideologie e l'inizio del nuovo millennio si è forse acquisita (almeno da una parte consistente di ricercatori di varia estrazione culturale) maggiore «laicità» nel guardare al passato, con l'obiettivo di approfondirne le diverse sfaccettature senza pretendere di giudicarlo ex-post. Questo modo in parte nuovo di affrontare la storia dell'antifascismo, non certo nel segno del raggiungimento della tanto evocata «memoria condivisa», che è una contraddizione in termini e che per non pochi «liberali» dell'ultima ora significa equiparazione delle ragioni dei vinti (i nazifascisti) a quelle dei vincitori (gli antifascisti, piaccia o no anche comunisti), mi pare sostenuto da un'idea forte e ben definita: limitare le strumentalizzazioni politiche e, con esse, ogni forma di retorica a favore di un'analisi basata innanzitutto sui documenti che, se condotta con onestà intellettuale, pone le vicende di Gl e del Pd'A (ma anche degli altri movimenti e partiti antifascisti) in termini problematici e non ideologici, con l'effetto non di indebolire (come sostengono i nostalgici delle guerre di religione) ma anzi di rafforzare quegli ideali di libertà che, pur imperfetti, a tratti contraddittori e oggetto di frequenti ripensamenti, hanno guidato migliaia di persone nella loro giusta battaglia contro il fascismo e il nazismo.
I «Cantieri» rappresentano dunque un terreno di confronto quasi ideale per giovani studiosi provenienti dall'Italia e dall'estero che, interagendo con storici di grande esperienza, si impegnano con passione ad approfondire anche il ruolo di figure minori del mondo giellista e azionista, talvolta attive in contesti geografici finora poco esplorati ma centrali per illuminare ancor meglio sia i caratteri dell'antifascismo degli anni Venti e Trenta, sia la Resistenza.
Ai «Cantieri», grazie al contributo della Fondazione Dalmazzo, si lega la collana «Testimoni della libertà» dell'Istoreto (FrancoAngeli), iniziata nel 2007 con una monografia (del sottoscritto) sugli anni giovanili di Valiani, proseguita con un volume di Fulvio Cortese su Silvio Trentin e uno di Davide Grippa su Ascoli. ù
In corrispondenza dell'odierna presentazione del seminario, sarà anche inaugurata una mostra (che durerà fino al 29 maggio) organizzata dall'Archivio storico dell'Università di Torino in collaborazione con l'Istoreto: «Dall'Università alla cospirazione alla Resistenza. Giellisti e azionisti nell'Archivio dell'Università di Torino». I documenti esposti, anche con l'ausilio di supporti informatici, ben si legano ai contenuti del seminario e ai protagonisti di una storia importante, a cominciare da quella di Vittorio Foa.

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