Perché sono “di sinistra”
Stimolato dal dialogo con un amico, mi sono ritrovato a riflettere sul perché mi considero “di sinistra” e subito mi sono trovato a dover affrontare quello che considero uno specifico errore che ho reiterato anche di recente, quando in più di una occasione ho ripetuto la dichiarazione qualificante il mio essere, “pregiudizialmente”, di sinistra.
Mi sono reso conto che ad essere sbagliato è quell’avverbio,“pregiudizialmente”, che anche speso con le mie migliori intenzioni, tradisce chi mi ascolta o legge, perchè non c’è proprio alcun “pregiudizio” alla base della mia scelta di campo.
Approdato a questa convinzione offro a chi ha la pazienza di leggermi un’ultima versione aggiornata che vuole descrivere il mio tentativo di essere “attivo” in politica, tentativo che è frutto non di pregiudizio, ma appunto, di meditata convinzione, per altro sempre da assoggettare ad ulteriore aggiornamento.
Da quando esiste la polis e l’uomo si è accorto della necessità di praticare una “politica” un agire politico, che per altro non può essere solo quello degli addetti ai lavori, molte cose sono cambiate, ma da più di due secoli, da quando cioè il caso ha voluto che a Parigi i rappresentanti del “terzo Stato” si sedessero (agli Stati generali prima e all’Assemblea Nazionale dopo) alla sinistra del Presidente di turno, accade che si sia indicato con “sinistra”, in politica appunto, il campo dove si raduna chi si schiera innanzi tutto a sostegno del diritto all’“uguaglianza” nelle opportunità di partenza e del diritto all’“uguaglianza” dinnanzi alla legge, uguaglianza da considerarsi valida per tutti gli esseri umani. Tutti, proprio tutti, nessuno escluso.
E questo, tanto più, quanto più la realtà ci dice che tale diritto, anche oggi, a sessant’anni dalla solenne proclamazione a Parigi della Carta dei Diritti dell’Uomo che al suo Articolo 1 afferma…
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
È un diritto ancora in larghissima parte del mondo, solo scritto sulla carta.
Quando poi si arriva a considerare la vita di tale diritto inseparabile dal riconoscimento del diritto alla “libertà”, e si ritiene che entrambi siano praticabili solo se animati da un afflato di “fratellanza” che per essere tale, non può essere circoscritto ad un gruppo o ad una famiglia, o ad una etnia o ad una razza, fratellanza di cui si può parlare solo se estesa alla specie umana in quanto tale, …….. allora….. e solo allora ……
…..il quadro appare completato, risulta tuttora esistente e valido così come descritto, e non, nel paese di “utopia”, ma nel concreto mondo da salvaguardare, nel quale siamo nati e nel quale moriremo.
E poiché in antitesi a tutto questo, si chiama “destra” il campo dove si raduna chi, anche dopo aver elogiata la Carta di Parigi, si schiera di fatto a sostegno delle diversità, che vanno rafforzate e giammai “compensate”; del diritto del più forte a veder comunque riconosciuta questa sua dote, dall’inizio sino alla fine della sua vita; di chi non esita a ritenere che sia libertà, anche quella che si afferma a scapito della libertà degli altri, i più deboli in particolare; di chi confonde fratellanza con carità, da elargirsi per bontà propria, magari per conquistarsi buoni (indulgenze) da spendere nell’altro mondo, oppure da convertire in un più quieto vivere in questo di mondo ….
……personalmente scelgo di collocarmi nel campo della sinistra, di considerarmi “di sinistra”.
A ciò, come già detto, spinto da quanto accade a partire dal 1789 in seguito agli “stati generali” convocati da Luigi XVI; ma soprattutto ispirato per dirla con Kant, dal vedere il “cielo stellato sopra di me” e dal sentire “la legge morale dentro di me”, e anche dalla lettura del discorso della Montagna (Mt: 5-7 Lc: 6; 17-49), e, saltando al tempo presente, ancora ispirato dall’attualità delle parole di Riccardo Lombardi, che spendendo la sua vita “per una società diversamente ricca”, sosteneva la necessità di costruire una “…società che riesca a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita...”.
Lombardi chiamava una società siffatta: socialista.
È poi vero che “destra e sinistra”, così come sin qui sommariamente descritte, esistono prima dei loro nomi, perché prima vengono le cose e poi i loro nomi, ed il “tempo”, questo potentissimo ente capace di cambiare le cose, non ha ancora avuto il tempo di cambiare quelle cose che sono i campi della politica per come si sono andati delineando da quando sono stati appunto battezzati “destra e sinistra”, ed è assurdo per non dire peggio, confondere (non di rado ad arte), i cambiamenti intervenuti all’interno di singoli pezzi dei due campi, con la scomparsa dei campi stessi.
Trovo che sia dimostrazione di quanto ho sin qui sostenuto, anche l’usuale svolgimento della lotta politica che è, come sappiamo, lotta di potere, cioè lotta per la conquista del potere, premessa ineludibile e propedeutica al suo esercizio.
E succede che quando “conquista” deve intendersi, significa, “mantenimento”, il potere rimane dove da sempre è da quando l’uomo cammina, dalla parte del più forte, a destra appunto.
E nel caso opposto, quello in cui conquista significa invece “trasferimento”, questo storicamente non può che avvenire transitando da destra, dove appunto da sempre è, a sinistra, dove stanno da sempre i “senza potere” per definizione.
Resta sempre in agguato il fatto che una volta conquistato, in quanto transitato, da destra a sinistra, il potere, può sempre venir esercitato dalle donne e dagli uomini di sinistra, come lo si esercita a destra, annullando così di fatto il senso del suo trasferimento.
Questo rischio però non annulla la diade destra sinistra, ed anzi anche in ragione della realtà descritta, è a mio parere più angosciante che mai, notare la tragica “leggerezza” con cui pure da autorevolissimi pulpiti si sentenzia che destra e sinistra sono morte, o che hanno esaurito il loro ruolo storico, o peggio, che pari sono.
Questa è a mio parere una delle azioni più truffaldine messe in atto dalle sempre più cialtrone classi dominanti, e in subordine, una delle azioni più ignoranti e stupide, messe in atto da chi crede davvero, magari in sciagurata buona fede, che (cito a mo’ di esempio) la sinistra e il comunismo fossero una unica cosa, per cui morto il comunismo (cosa per altro da certificare) sarebbe morta anche la sinistra.
È purtroppo vero invece, e sarebbe da stolti negarlo che da tempo il campo della sinistra, è stato invaso, per non dire colonizzato, da chi pensa come si pensa a destra, e cioè da chi è catafratto nella convinzione che al dunque, sia sempre “la legge del più forte” quella più giusta, per altro, corrotta in Italia in quella sua formulazione più idiota …. che è “la legge del più furbo”.
Questo però, e mi ripeto, non cancella l’esistenza della sinistra come campo politico necessario all’umanità come ancora oggi è, semmai ne deforma e riduce le dimensioni ….. e questo rende più elevato, non minore, il bisogno di “sinistra”.
E qui, per chiudere, ma anche per ri-aprire, provo ad introdurre quello che mi pare essere il vero “nuovo” paradigma, dinnanzi al quale ci troviamo, paradigma, questo sì capace di travolgere il mondo, e quindi con esso anche la “destra e la sinistra” che ci dimorano sopra… il paradigma cui mi riferisco è quello del “disastro ambientale provocato dall’uomo”. Come tale, ben diverso da tutti i disastri ambientali precedenti che l’uomo si è trovato ad affrontare suo malgrado.
Affrontare (o perire sotto) un “disastro ambientale provocato dall’uomo”, sempre più alle viste, pone l’uomo dinnanzi alla necessità di “rivoluzionare” la percezione di sé, ci detta la necessità di una “rivoluzione obbligatoria”, perché, per quanto paradossale possa apparire, solo una “rivoluzione” consentirà all’umanità di “conservarsi”.
A chi capisce tutto questo corre l’obbligo di spendersi per alimentare la speranza di una rivoluzione possibile, quella coincidente con un drastico trasferimento di potere, sostenuto da una drastica, radicale, innovazione culturale, che si riveli quell’indispensabile accompagnatrice del potere stesso, capace di sventare il rischio di ritrovarsi di nuovo, come nel gioco dell’oca, sempre alla casella di partenza.
Questa volta, potrebbe essere l’ultima.
Vittorio Melandri
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