andrearomano
Oggi 3 maggio 2009, 3 ore fa
Fiat-Chrysler e l'immobilismo di Berlusconi
Oggi 3 maggio 2009, 3 ore fa
Normalmente l’orgoglio costa poco e non ingombra. Quando è a sbafo, poi, se ne può abbondare senza timore di conseguenze. Perché sarebbe bello se avesse ragione il ministro Scajola, secondo il quale “l’operazione Fiat-Chrysler farà l’Italia più forte nel mondo”. Ma anche in questo caso la realtà è meno semplice dei desideri. Ed è tutto da verificare il legame tra il prestigio che l’impresa italiana guadagna in questi giorni nel mondo e la capacità della politica di valorizzare l’interesse nazionale.
Da una parte c’è una nostra grande azienda che incrocia con tempismo l’intervento economico dell’amministrazione Obama, mentre prepara altre iniziative in Germania. Dall’altra un governo che vanta straordinari livelli di consenso e un’ordinaria mancanza di prospettive sulle cose da fare per evitare che l’Italia dopo la crisi torni a vivacchiare nella palude in cui ha galleggiato negli ultimi anni. È all’incrocio tra questi due movimenti che ci si può interrogare sulla legittimità della politica ad intestarsi il merito di una storia di successo come l’operazione Chrysler. Partendo dai modi in cui la maggioranza (per tacere dell’opposizione) sta presentando al paese il tempo della crisi. Berlusconi coltiva l’ottimismo, si è detto, perché l’emergenza è anche psicologica e occorre contrastare anche per questa via la spirale depressiva nei comportamenti economici. Benissimo, avanti con l’ottimismo. Berlusconi ripete che l’Italia se la sta cavando meglio di altri paesi europei. Alcuni sostengono che la ragione sia da cercare nel minor grado di integrazione sovranazionale della nostra economia, ma non è il caso di sottilizzare: avanti anche con il relativo privilegio italiano.
Quello che Berlusconi non dice ma lascia intendere è che prima della crisi l’Italia se la passasse benissimo. E che dunque, in attesa di tornare al paradiso che eravamo solo pochi mesi fa, non occorra muovere troppo le acque. Niente sulle pensioni, calma sul debito pubblico, zero sulle cause che hanno fatto per anni dell’Italia l’economia a minor grado di crescita tra quelle dei nostri omologhi europei. La crisi prima o poi passerà e potremo tornare alla nostra serena stagnazione, senza alcun bisogno di fare oggi quelle scelte che domani potrebbero mettere il paese in condizione di profittare strutturalmente della ripresa prossima ventura.
Perché il nuovo regno di Berlusconi è compassionevole, consensuale e soprattutto volto al grado massimo di immobilismo. E tolta la mutevole filosofia della storia del suo ministro dell’Economia (il Tremonti che solo qualche settimana fa annunciava la fine dell’economia mercantile e che oggi guarda speranzoso ai segni di quaresima) esso trova la sua ispirazione quotidiana nell’assecondare il rifiuto del cambiamento. Anche quando si tratterebbe non certo di scoprirsi giacobini ma di svolgere fino in fondo il compito di un governo che gode di amplissimo mandato e di enormi margini di iniziativa politica, tali da garantirgli tutto lo spazio necessario a iniziative di riforma anche dolorose ma indispensabili al nostro interesse nazionale.
Ma non è questa la cifra di una stagione italiana dove la politica sembra aver ripreso il bastone del comando, senza poi saper bene cosa farne. E d’altra parte quella di Berlusconi è la stessa maggioranza (per tacere ancora una volta dell’opposizione) che vive le elezioni europee come un sondaggio inevitabilmente trionfale, invece che come l’occasione per mandare a Strasburgo una pattuglia di parlamentari capaci di qualificare un mestiere difficile e utilissimo al paese. Anche per questo sarebbe auspicabile maggiore sobrietà nell’intestarsi meriti che nascono fuori dalla politica e che lì sono destinati a rimanere.
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