Sull’attualità del socialismo liberale
In questo mese di agosto ho potuto leggere una serie di testi inviatimi dal circolo Rosselli. Tra questi, “La lezione di Carlo Rosselli”,testo suggerito da Luigi Ranzani, “L’eredità dei Rosselli: Libertà e democrazia” di Nicola Tranfaglia, “L’attualità del socialismo liberale” di Valdo Spini, “Idee per lo sviluppo” di Sylos Labini.
Premetto che nutro grande ammirazione per le personalità dei fratelli Rosselli e, in particolare per gli scritti politici di Carlo Rosselli, ma anche per l’opera di Marx.
Ciascuno di loro, come molti altri, nel suo tempo e a fronte dei problemi con cui si è dovuto confrontare, ha dato importanti contributi alla conoscenza ed ha fornito strumenti utili allo sviluppo del livello di civiltà e delle lotte sociali.
Mi ha sempre infastidito l’uso strumentale fatto dai comunisti della figura di Marx, fatto passare per un profeta messianico, mentre è stato un grande pensatore e uomo d’azione, che ha impresso con le sue idee e le sue denuncie un corso nuovo e impetuoso alle lotte per l’emancipazione delle classi oppresse. Apprezzarne le idee ed il contributo alto alla conoscenza nel campo delle scienze sociali, rispettarne la vita e le opere, sempre mantenendole collocate nel suo tempo, costituisce a mio giudizio il solo modo rispettoso di onorarne la memoria, come per ogni uomo che nel corso della storia ci ha donato un lascito di idee nuove e di opere insigni.
Le stesse considerazioni valgono per Carlo Rosselli e la sua opera. Nella gran confusione che regnava nel movimento socialista negli anni ’30, tra suggestioni filo-comuniste, le mille irrazionalità dei massimalisti e e la scarsa determinazione dei riformisti, erano comprensibili e persino condivisibili le sue prese di posizione. Molte delle sue tesi, come molte delle proposte di Marx, di Stuart Mill e di Weber sono ormai parte del patrimonio di valori degli uomini di buona volontà sia progressisti che moderati e, proprio per questo, non possono costituire il tratto distintivo di movimenti politici contemporanei. L’essere caduti nell’errore di scambiare il valore dell’opera di Carlo Rosselli collocata nel suo tempo e come tappa importante nello sviluppo del pensiero socialista con una sua presunta attualità ha reso sterili sia lo SDI che, poi, il PS, i quali hanno inalberato insegne che, sia relativamente alla questione sociale che ai diritti civili, sono e devono essere presenti nell’intero arco delle forze costituzionali e non sono oggi idonee a rappresentare le esigenze di tutela delle classi sociali meno fortunate nel nostro tempo ed ha loro impedito qualsiasi espansione organizzativa ed elettorale.
Sostenere che il movimento socialista si possa fondare sui presupposti liberal-socialisti propugnati da Carlo Rosselli mi sembra una sciocchezza, che porta fuori strada le frange socialiste che se ne fanno convincere. Che la libertà e la democrazia siano il fine ultimo del socialismo si poteva ragionevolmente sostenere negli anni ’30, ma nella presente fase storica nella quale i ceti sociali che vivono del lavoro, dipendente o autonomo che sia, provano sulla loro pelle la capacità del capitalismo di comprimerne progressivamente le condizioni di vita, propiziando invece accumulazioni di ricchezza straordinarie alle istituzioni finanziarie ed in genere alle rendite, senza che i sistemi democratici e liberali europei possano consentire di arginare il fenomeno, quella tesi non può che suonare stonata e vagamente irrisoria nei confronti dei ceti popolari. Certi errori conducono a doversi districare in gineprai dentro i quali si finisce per scambiare per progressisti i radicali italiani, come Pannella e Capezzone e basare intere fasi politiche e campagne elettorali su obiettivi di stampo liberale, allontanando da sé chi si richiama ai valori del socialismo.
D’altra parte, contemporanei o quasi dei Rosselli, hanno dato al socialissmo europeo importanti contributi di idee e di opere uomini come Kautsky e Lèon Blum, Berstein e Turati, mentre dopo di loro il pensiero e l’opera di Clement Attlee ed Anaurin Bevin, Tage Erlander, Willy Brandt, Mitterand ed Olof Palme hanno consentito ulteriori importanti passi avanti al movimento socialista.
Posto che le libertà individuali e collettive ed il metodo democratico e rappresentativo costituiscono beni preziosi conquistati a costo di dure e drammatiche lotte e che devono essere oggetto della più attenta vigilanza, esposti come sono al pericolo sempre in agguato di limitazioni e degenerazioni, il movimento socialista ha la sua ragion d’essere se sa efficacemente promuovere la giustizia sociale. Ciò presuppone il perseguimento dell’uguaglianza dei punti di partenza e, quindi, una fiscalità con spiccate attitudini ridistributive, la gratuità della scuola pubblica , dotata di personale e strumenti che le assicurino un’alta qualità, una sanità pubblica adeguatamente finanziata e di alta efficienza, la gestione pubblica delle risorse naturali indispensabili per la vita, dei cosiddetti monopoli naturali (settori economici che per la loro unicità o irripetibilità non non possono operare sulla base delle regole di mercato) e delle grandi reti infrastrutturali di generale interesse, la difesa del lavoro da ogni sopraffazione e da forme di concorrenza sleale, la difesa dell’ambiente, sono valori attuali e corroborati dalle esperienze del welfare e dalle azioni in difesa dell’ambiente sperimentate o in via di sperimentazuione nei paesi più avanzati d’Europa e in una certa misura anche in Italia.
Tutto ciò comporta porre un freno ai processi di globalizzazione, liberalizzazione e privatizzazione che tendono ad omologare i sistemi sociali europei a quello americano e rivalutare il modello europeo, più fondato sui valori della solidarietà che su quelli della competizione. Ne va dello stesso futuro della democrazia e della libertà, come ci vanno ripetendo, fra molti altri pensatori e scienziati, Eric Hbsbawm ed Albert Detlev, Paul Krugman (vedi mailing-list del 25.07.08), Josef Stiglitz (vedi mailing-list del 15.07.08) e Robert Reich (vedi mailing-list del 06.07.08). Ne va della capacità stessa del nostro pianeta di continuare ad ospitarci, più o mfeno benevolmente.
Tutte le considerazzioni sin qui svolte mi portano a condividere assai più le idee di Sylos Labini, di cui mi permetto di consigliare la lettura, rispetto a quelle degli altri autori citati all’inizio di questo scritto.
Su di un piano più banale e strumentale, ma non privo di conseguenze organizzative ed elettorali, è doveroso anche riflettere sul diverso impatto che l’aggettivo liberale produce sulle parti sociali politicamente acculturate e sulla vasta parte dei nostri concittadini privi di conoscenze in grado di supportare distinzioni complesse, che negli ultimi anni si è purtroppo molto estesa, per la quale i liberali sono i portatori di politiche anti-popolari, quasi sempre alleati dei moderati, che sovente costituiscono l’ala più conservatrice delle coalizioni moderate. Per questa prevalente parte della popolazione, che nulla sanno di Carlo Rosselli e delle sofisticate teorie del socialismo liberale, questo aggettivo significa solo campo avverso e inibisce qualsiasi vicinanza a chi se ne qualifica.
6 commenti:
personalmente, mi sento socialista nel fine, liberale nel metodo
L'intervento di Giovanni Baccalini mi è parso molto interessante. E per molti versi anche condivisibile (soprattutto laddove pone l'accento sulla necessità, per il Socialismo contemporaneo, di recuperare con forza la consapevolezza della centralità dei problemi sociali).
Aggiungo anche che il testo meriterebbe probabilmente una replica ben più articolata e meditata di quella che in questo momento mi sia possibile fare (del che mi scuso).
Pur limitandomi ad una risposta molto sintetica vorrei dire però che mi pare che Giovanni tenda un po' troppo a mettere sullo stesso piano il Socialismo Liberale di Rosselli ed il cosiddetto liberalsocialismo di taluni esponenti di quanto resta del Socialismo italiano dei nostri giorni.
Per farla breve, cioè, io trovo che sia un errore confondere Carlo Rosselli con Lanfranco Turci...
Infatti, senza voler mancare di rispetto al secondo, mi pare che il primo non la pensasse esattamente allo stesso modo.
Rosselli del resto non proponeva affatto di accontonare il tema dell'eguaglianza e della giustizia sociale a vantaggio di quelli della democrazia e della libertà. Affermava, viceversa, la necessità di tenere insieme i due aspetti. Non diceva, perciò, che i Socialisti dovessero trasformari in liberali, ma che il Socialismo non poteva prescindere (a maggior ragione in un'epoca di pieno trionfo del fascismo, quale quella in cui gli toccò di vivere) di farsi anche pienamente carico del tema della libertà e della democrazia.
Rosselli, insomma, era certamente un libertario. Ma non era affatto dimentico della questione sociale, e non a caso - come noto - il nome del movimento politico di cui egli fu propugnatore era "Giustizia e Libertà", e non soltanto "Libertà".
In questo senso, dunque, a me pare che l'attualità e la pregnanza del pensiero di Rosselli ed il suo valore di ammaestramento per il Socialismo contemporaneo restino assolutamente vive.
Ripeto: evitiamo di far passare Rosselli per un antesignano di Tony Blair (o addirittura con un precursore di chi, tra i Socialisti italiani di oggi, si pone magari al di là dello stesso Blairismo).
Un saluto,
Francesco Somaini
Hai ragione. Da alcune parti, purtroppo, si è voluto immaginare che gli ideali del "socialismo liberale" potessero essere stiracchiati sino al punto da poter assemblare un insieme di teorie, suggestioni e programmi forse più "moderno" - almeno secondo l'accezione odierna nella politica italiana - ma certo alquanto sgangherato. Che, visto da vicino, definirei più propriamente "socialismo liberista".
Un'autentica forzatura, una chiara strumentalizzazione.
Il socialismo di Rosselli è liberale perché accetta, in un'epoca dominata dal mito della rivoluzione del '17 e della dittatura del proletariato, le forme parlamentari della democrazia borghese. Il resto sono baggianate.
Sulla presunta dicotomia tra giustizia sociale e libertà individuali valga quanto detto da Sandro Pertini, forse non un grande teorico, ma sicuramente un grande socialista: "Io sono un socialista tipo Turati, Filippo Turati, Claudio Treves, di questi uomini che adesso sono morti, sono scomparsi. Cioè sono per un socialismo che deve essere basato sulla libertà... Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile. Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale. Come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me, socialista, offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei. Non la potrei accettare. Se il prezzo fosse la libertà, io questa riforma la respingerei. Perché la libertà è un bene troppo prezioso. Ce la da madre natura la libertà. L'uomo dev'essere libero di esprimere i suoi pensieri, i suoi sentimenti. E quindi la libertà dev'essere unita alla giustizia sociale. Ecco perché, come, io sono socialista. Ma ho detto anche che libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero! Sarà libero di bestemmiare, di imprecare... ma questa non è la libertà che intendo io".
Un saluto,
Pierpaolo Pecchiari
P.S. Meno male che Veltroni non ha letto Rosselli (se lo ha fatto non sembra ne abbia tratto alcun giovamento...), altrimenti non solo lo avrebbe infilato a forza nel pantheon del Partito Democratico, ma ci avrebbe fornito anche lui l'ennesima rilettura "più moderna" del pensiero del Martire...
Oggi c'è stato un attivo dello SPI - CGIL presso la sede della festa dei Democratici, nel padiglione della COOP che ci ha ospitati campeggiava uno "slogan" di Pertini (definito: "avvocato, antifascista, partigiano e parlamentare") :<< non c'è libertà senza giustizia sociale e non c'è giustizia sociale senza libertà>>.
a Pertini avrebbe fatto piacere essere ricordato anche come socialista
Per i signori del PD la parola socialista sembra diventata impronunciabile,
perfino se devono citare Pertini.
Sinceramente, sono penosi.
Un saluto.
Francesco Somaini
Posta un commento