un interessante contributo dal sito resistenza laica
No laicità? No party!
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Eleonora Gitto - resistenzalaica@gmail.com
venerdì 05 settembre 2008
I media, la rete internet da tempo continuano a dare molto risalto alla religione. Che si tratti del famoso dialogo interreligioso, delle esternazioni del Papa, del decalogo della Lega contro le Moschee, dell’inizio del Ramadan o dei cristiani uccisi in India e in Iraq, la religione è diventata la “guest star” delle notizie. Questo dato pone una serie d’interrogativi sia ai credenti delle diverse tradizioni di fede, sia ai laici perché questo rinnovato protagonismo della religione è ambiguo e, perciò, preoccupante. Ambiguo perché dietro la motivazione “ufficiale” che tutto questo “battage” sia finalizzato a un recupero di quei nobili valori che inneggiano al pacifismo, al dialogo, alla tolleranza e alla giustizia nel mondo, in vero, si nasconde la voglia libidinosa di egemonia, di radicalismo politico e di potere di chi si sente portatore di verità esclusive inconciliabili con altri modi di pensare e di comportarsi. Tra l’altro le notizie, spesso, si contraddicono alimentando la confusione già generata dal repentino evolversi della società che non lascia tempi di metabolizzazione. E, soprattutto, non riescono a dare risposte chiare su alcune spontanee e legittime domande come ad esempio: quale può essere il ruolo della religione nelle moderne società pluraliste? Come potrà essere possibile costruire paradigmi di convivenza tra diverse identità culturali e spirituali? Come opporsi alla deriva fondamentalista e radicale che segna un numero crescente di conflitti dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente ai Balcani?E se si parte dal presupposto che ogni moderna società democratica e pluralista si basa su un principio di laicità e se questo principio è chiaro e univoco, perché mentre le autorità capitoline, in primis il Sindaco Gianni Alemanno e il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, inviano, per l’apertura del Ramadan, un messaggio alla comunità islamica di Roma in cui oltre a fare gli auguri per la ricorrenza religiosa si auspica che i musulmani dell’Urbe “…attraverso la loro autentica pratica religiosa possano essere esempio per tutti i musulmani del mondo e per tutti i cittadini di Roma di come il dialogo e la conoscenza reciproca fra le tradizioni e le culture, nel rispetto delle identità, costituisca un valore e un arricchimento per tutta la società…”, la Lega lancia il federalismo delle Moschee, con tanto di decalogo anche sulla base della convinzione, sostenuta da Cota, che le Moschee non sono un luogo di preghiera ma “un centro politico e simbolico, e spesso anche militare. L’Islam del resto - aggiunge - da secoli è in antitesi e in guerra con l’Occidente”? L’affermazione di Cota, di chiara fede intollerante e xenofoba, non risulta essere in netta contrapposizione con la Carta dei Musulmani d’Europa firmata da poco a Bruxelles da 400 associazioni musulmane provenienti da tutti i paesi dell’Unione europea e dalla Russia?Nella Carta l’obiettivo dichiarato è quello di rimuovere “i pregiudizi e l’immagine negativa che si frappongono tra Islam e occidente”, secondo uno spirito unitario e condiviso: “integrarsi pacificamente nelle società europee è un dovere, quello di costruire moschee e portare i propri abiti tradizionali è un diritto”. Nel documento si rigettano il terrorismo e la Jihad armata e si propugna la parità tra uomo e donna. Il manifesto, a leggerlo, appare “progressista e democratico”. In esso si ravvisa l’intento di superare le tradizionali barriere della cultura islamica col fine di “rimuovere estremismo ed esclusione“. Ma l’aspetto veramente “rivoluzionario” di questa Carta sta nel fatto che i musulmani hanno accettato come valore fondante di questa nuova cooperazione culturale e politica il concetto di neutralità dello Stato, quindi è un manifesto soprattutto laico. Ciò significa agire in modo imparziale con tutte le religioni e permettere loro di esprimere i loro valori e il loro credo: per questo “i musulmani hanno il diritto di costruire moschee e istituti religiosi, di praticare all’interno delle attività di ogni giorno la loro religione, anche nell’alimentazione e nel vestire”. Un'apertura alla laicità notevole. Certo è tutto da vedere se questi intenti saranno perseguiti ma il fatto che gli esponenti di una religione vista come retriva e illiberale non hanno avuto problemi a riconoscere il principio “di libera chiesa in libero stato” come determinante per una pacifica condivisione di spazi e di periodo storico rimane un fatto di grande rilievo. I musulmani, com’è naturale che avvenga in ogni cultura, vogliono mantenere la propria identità. Occorre però che questa identità sia una scelta e non un’imposizione e questa scelta deve essere sempre individuale e non vista come opzione collettiva. In altre parole: i musulmani non devono fare come i cattolici e pensare, cioè, che il loro credo sia moralmente superiore a stili e identità altre rispetto alla loro. In una società multiculturale non si può imporre la visione di una parte di essa. Ma questa nuova apertura come si può conciliare con un’Europa che manifesta ancora rigurgiti di stampo conservatore cattolico (vedi l’imposizione da parte della Chiesa delle “radici cristiane” nella Carta Costituzionale Europea) che mirano a fare della religione un fenomeno pubblico la cui morale va imposta ai costumi sociali di tutti i cittadini? E in Italia dove, nonostante un articolo costituzionale stabilisca la particolarità dei rapporti tra lo Stato ed il Vaticano ed un altro indichi i meccanismi giuridici di regolazione dei rapporti con le “confessioni diverse dalla cattolica” (il combinato degli articoli 7/8 –Concordato/Intese con le confessioni non cattoliche), è prevista la presenza di un insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica, e dove il sistema politico pone attenzione quasi esclusiva, spesso ossessiva, nei confronti di un’unica confessione di fede quando si affrontano delicate questioni etiche e morali (aborto, bioetica, eutanasia, ecc.), come sarà possibile conciliare integrazione, multicultura, pluralismo, e come si può pensare ad un dialogo interreligioso? In uno Stato in cui la laicità è continuamente mortificata e castrata, dove la democrazia è spesso asservita agli interessi politici di turno, è immaturo parlare di pluralismo compiuto e integrazione. Quali le cause della debolezza della cultura laica italiana? Sicuramente il massiccio radicamento della Chiesa cattolica può essere una spiegazione, anche se non è la sola. Sarebbe davvero più saggio, oggi, aprire un dibattito serio sulla laicità invece di continuare a dare spazio alle religioni, perché ciò che ostinatamente si continua a ignorare è che solo il vero spirito laico può dare la stessa dignità a tutte le religioni in quanto esso non sottrae visibilità e spazio a nessuna di esse collocandole in modo paritario in un quadro di pluralismo che garantisce tutti, anche i non credenti. La tela bianca della laicità non rappresenta il “nulla” ma solo la “libertà”. Uno spazio aperto a tutti dove ogni individuo può dipingere colori diversi, simboli diversi che, anche se in contrapposizione, possono convivere sullo stesso luogo e nello stesso tempo, perché la pari dignità, foriera di rispetto reciproco, impedisce il conflitto. Il 30% delle guerre che si combattono oggi nel mondo ha implicazioni di tipo religioso. E non è attendibile la tesi che sia un mero scontro di civiltà fra “occidente democratico” e “mondo islamico”. Il conflitto religioso avviene anche tra diverse confessioni cristiane, tra induisti e musulmani, tra diverse tendenze musulmane, riguardano ebrei, buddhisti, animisti, sikh e così via. Sono il fondamentalismo e il radicalismo religioso i veri nemici da combattere. Oggi esiste un Islam moderato che si scontra con uno radicale, come accade nell’ebraismo o nel cristianesimo e il paradosso è che, oggi come ieri, gli scontri avvengono per affermare “il volere di Dio”. Di quello stesso Dio che cambia nome e dettati secondo le tanto personali quanto arbitrarie interpretazioni e interessi della classe dominante di turno. Eminenti esponenti delle fedi mondiali all’inizio dell’anno ad Assisi hanno recitato una sorta di “mea culpa” ed hanno affermato “mai più nel nome di Dio” ammettendo che la storia delle religioni è costellata di delitti e violenze inenarrabili compiuti in “nome di Dio”. Per costruire un dialogo vero non servono confessioni e autoassoluzioni teologiche. I temi della pace, della giustizia, del pluralismo nella scuola e nel sistema dell’informazione, della bioetica, della tolleranza e lo stesso dialogo tra le religioni daranno vita solo a dibattiti sterili se essi non saranno inseriti nella cornice della laicità.Senza una vera cultura laica che impedisca alle religioni di essere considerate le esclusive depositarie della “verità” e dei valori della convivenza, il pluralismo compiutocontinuerà a essere oggetto di dibattiti ma resterà (ahinoi!) una mera utopia. Ele Gitto
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