dal sito de La stampa
15/9/2008
La fedeltà al fascismo?
Un'aggravante
FERDINANDO CAMON
Sul tema toccato dal ministro La Russa (i fascisti che mantennero fedeltà all’idea, anche quando l’idea veniva sconfitta dalla storia, meritano ricordo e onore) c’è una letteratura che conosciamo poco, perché è sepolta sotto l’accusa di filofascismo, ma dentro di essa vi sono testi memorabili, di scrittori che è doveroso definire grandi. Due su tutti: Giose Rimanelli e Carlo Mazzantini. Ambedue trattano in pieno i due problemi che stanno a monte e a valle del discorso di La Russa: l’entrata nel fascismo repubblichino e la non-uscita, fino alla consumazione della tragedia militare.
È chiaro che la coerenza e la fedeltà sono un valore se ciò a cui si resta fedeli è un valore. I tedeschi maturati nell’epoca del nazismo hanno inventato una formula, per definire coloro che sono nati dopo: costoro, dicono, hanno avuto «la grazia della nascita tardiva». Perché, se fossero nati prima, sarebbero stati come loro. Noi, dice Mazzantini, eravamo nati «dentro» il fascismo, e ragionavano da fascisti: «Noi non abbiamo conosciuto altro che quello». La scelta fra partigiani e fascisti non si poneva, perché non si sapeva nulla dei partigiani: quando ne catturano alcuni, i fascisti-nazisti di cui fa parte Mazzantini li guardano come marziani.
Ma Mazzantini è anche lo scrittore che sbatte più duramente contro la vera natura del fascismo: lui entra nel reparto, e molto presto, già a pagina 78 e seguenti (il libro è A cercar la bella morte, Marsilio), diventa una rotella vorticosa del vasto ingranaggio delle stragi di massa. Partecipa alla fucilazione di circa quattrocento nemici. Il massacro è un test. Ci sono state civiltà, come quella spartana, che imponevano ai ragazzi il test dell’omicidio: dovevano uccidere qualcuno per mostrarsi uomini. Qui la carneficina, raccontata con la precisione di chi l’ha vista, è il collaudo attraverso il quale chi vi partecipa diventa fascista: la strage non finisce mai, c’è qualcuno che sopravvive alle raffiche, bisogna sparargli ancora, è una gara, poi ci sono i colpi di grazia, si uccide a più non posso, e quando tutto finisce cala un silenzio assurdo. In quel silenzio ognuno sente reagire le forze morali che ha in sé.
La reazione del perfetto fascista è quella di colui che è squassato nei nervi e nella mente, ma camminando tra i moribondi si sforza di controllarsi ripetendo a se stesso: «Io sono granitico, granitico io sono». È il battesimo. Dopo, si è al servizio della nuova idea. E di chi la incarna: il duce. Primo Levi diceva che i grandi leader erano Hitler e Stalin, non Mussolini, perché non aveva forza trascinante. Visto dai fascisti repubblichini, in queste testimonianze interne, la forza l’aveva, loro la sentivano. A disfatta ormai chiara, l’autore della Bella morte si trova in uno sparuto gruppo di tenaci fascisti che non vogliono arrendersi, e ricevono la visita del Duce, che li passa in rassegna: «Io vi porterò alla vittoria», promette. E lui a piangere di tristezza: non doveva ingannarci così, doveva dire: «Morite per me!», e saremmo morti con gioia.
Dopo il duce verrà un altro duce, è la speranza dei fascisti ormai intrappolati alla fine del libro di Rimanelli (Tiro al piccione, Einaudi). Sono su un cocuzzolo, assediati tutt’intorno dai partigiani, non hanno cibo né munizioni, saranno ammazzati uno a uno («Tirate al piccione» è il grido dei partigiani, il piccione è l’aquila d’argento sul berretto dei sottufficiali repubblichini), ma ecco venire un prete con una bandiera bianca: tutto è finito, Mussolini è morto, non ha senso sprecare altre vite, pace. Qualcuno tra gli ufficiali trae la pistola e si spara in testa.
Sì, è fedeltà. Fino alla morte. Ma a monte ci stanno distruzioni, fucilazioni, perquisizioni, cacce all’uomo: la fedeltà è fedeltà a tutto questo, non c’è, neanche soggettivamente, un valore, un bene. «Noi amavamo la morte», dice onestamente Mazzantini, «la bella morte». Volevano morire e amavano uccidere. Tutto quello che han continuato a fare lo han fatto perché continuavano gli ordini, ma gli ordini continuavano perché c’eran loro pronti a obbedire. Questa fedeltà non è un merito, ma un’aggravante.
1 commento:
intervento largamente condividibile, la domanda chiave però rimane: perchè una sinistra larga, pensata in termini tali,deve passare per uno strumento stretto come il PS?
attilio.mangano
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