Blog Trotter
lunedì 8 settembre 2008, 9.41.56
Alzata di spalle
lunedì 8 settembre 2008, 9.41.56 coen
A proposito di fascismo e di leggi razziali. Sbalordisco e m’inquieto nel leggere in chiusura di un articolo sul mio giornale di oggi - Repubblica, pagina 10 - che Francesco Storace, “ex camerata di Alemanno nella destra sociale, liquida la faccenda con un´alzata di spalle: «Sbadiglio a sentire lo stesso bisogno di chiedere sempre scusa di quel che non si è commesso»”. Mi indigna soprattutto quel “liquida la faccenda”. Come se fosse una cosa da non commentare. Acqua che scorre nelle fogne della vita.Mio padre, per colpa di quell’ignobile decreto di fine 1938, fu costretto a cambiar vita. Poi, quando i tedeschi occuparono Roma, cambiò pure il cognome e dovette nascondersi, durante la guerra. Grazie ad una “simpatica” delazione, venne catturato. Finì in un carro piombato di un convoglio ferroviario diretto in Germania. Fu fortunato: perchè l’aviazione alleata bombardò il treno e lui riuscì a scappare. Corse disperatamente nella notte, mentre i tedeschi e i loro lacché fascisti mitragliavano all’impazzata contro le ombre in fuga. Vide un compagno di prigionìa cadere, falciato da una raffica. Correvano quasi uno a fianco dell’altro: papà si fermò, per soccorrerlo, ma l’altro era già morto. Papà riprese a correre, incalzato dai tedeschi. I fuggitivi si sparpagliarono per il bosco, inseguiti dalle Ss. Spaventato, papà ebbe l’idea di arrampicarsi su di un albero. I tedeschi, quella notte, rastrellarono la zona e il bosco coi cani lupo. I cani latrarono vicino, avevano fiutato qualcosa: mio padre pensò che l’avevano scoperto. Si aspettava una sventagliata di mitra. Le Ss spararono, infatti. Ma sull’albero vicino. Forse un altro prigioniero aveva avuto la stessa idea e si era nascosto lì. Mio padre non seppe mai se avevano ucciso qualcuno. Si spinse più in alto e restò appollaiato la notte e anche il giorno dopo. Scese giù solo quando calò di nuovo il buio. Vagò per boschi e campi fino a quando non arrivò ad una fattoria.Tornò a Roma a piedi, sempre tagliando per i campi, evitando le strade e i paesi: aveva paura dei fascisti. il treno era stato bombardato dalle parti di Orte.Fu un’esperienza che lo segnò per sempre. E che segnò anche la mia infanzia: perchè quel racconto lo ascoltai più di una volta. Da mia madre. Mio padre preferiva tenersi dentro la sua pena. Solo quando fummo più grandi, io e mio fratello cominciammo a tormentarlo con le domande. Ci rispondeva a fatica, come se il dolore glielo impedisse. Papà non accettò mai il suo destino.Nemmeno io. Non mi capacitavo che solo per il fatto di chiamarsi Coen si era “diversi”. Che l’essere ebrei fosse sufficiente per finire nelle camere a gas o essere continuamente segnati a dito. Continuo a non accettare l’idea della “diversità” come elemento di discriminazione e di separazione. I “muri”.Il razzismo l’ho provato mille volte sulla mia pelle e continuo a provarlo: a scuola, quando c’era l’ora di religione, la maestra invitava me e la mia compagna Eva Schwarzwald ad uscire di classe. Davanti a casa, in strada, su un muro qualcuno scrisse Ebrei al forno. “Voi ebrei…”, quante volte me lo sono sentito dire. Anche adesso.Mio padre aveva sposato una cattolica: secondo la Legge, dunque, non sarei propriamente ebreo, visto che l’ebraicità si trasmette per via materna. Ma lo sono stato sempre dentro. Mia madre mi ha insegnato ad esserlo: per una questione di giustizia e di cultura. E per segno di rispetto nei confronti della sofferenza patita da mio padre, dalla sua famiglia, dal suo popolo.Ho comunque condiviso, in tutti questi anni, con gli ebrei, il razzismo subdolo della gente. Ho anche però patito il disprezzo di molti ebrei che mi hanno sempre rinfacciato di non essere un “vero” ebreo. Non avete idea di quanto sia angosciosa questa situazione. Questa ambiguità che non ho scelto. E che psicologicamente ho pagato sempre.Tuttavia, mi ripeto che devo ringraziare la buona sorte se sono nato dopo la guerra. Che non sono sopravvissuto. Ma che ho vissuto. Sono stato fortunato che mio padre mi ha aiutato a capire che cosa è stato l’Olocausto e a non odiare, nonostante tutto. Ma la sua vita è stata rovinata da quelle leggi razziali. Mi ha pure insegnato a non dimenticare: e a non disprezzare coloro che Frantz Fanon chiamò “i dannati della Terra”. Poche ore prima di morire, dieci anni fa, papà mi disse che “erano tornati”. Si riferiva ai fascisti. Anzi, ai figli dei fascisti. Aveva ragione. Aggiunse: ” Stai attento, è gente che non ha e non vuole avere memoria”.
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