Da L'UNITA' del 10 settembre 2008 un 'intervista a Pietro Terracina e Tobia Zevi:Sul braccio porta il marchio indelebile di una ferita che non si rimargina: A-5506. A imprimerglielo furono le SS ad Auschwitz. Piero Terracina, 80 anni, è un testimone di quella tragedia; un testimone, lucido, appassionato, giovane nello spirito, che non accetta che l’oblio della memoria rimuova una Storia che va ricordata perché non si ripeta. Tobia Zevi, ha 24 anni. È un giovane impegnato ma è anche parte di una generazione che si vorrebbe priva di memoria. Ed è proprio il diritto-dovere alla memoria, e il passaggio tra le generazioni, il filo conduttore del nostro incontro. Un viaggio tra passato e presente, tra un dolore che si rinnova e una necessità, spesso inevasa, di conoscere. Di capire, da parte dei giovani d’oggi, cosa c’è dietro quel «A-5506» che Piero Terracina porta con sé, porta su di sé. Voglia di capire. Nella consapevolezza che «senza memoria non c’è futuro». Un futuro di cui i ragazzi come Luca vogliono essere protagonisti. Con l’aiuto di coraggiosi, instancabili, testimoni come Piero Terracina. L’UNITÀ La memoria del fascismo torna di attualità e incrocia la polemica politica. Ma questa memoria è un peso o è un investimento sul futuro per il nostro Paese?PIERO TERRACINA È una cosa e l’altra. Comunque difficile. Ricordare è un po’ rivivere. E questo è pesante, molto pesante.
Ma è un sacrificio che noi testimoni dobbiamo fare per trasmettere ai giovani la memoria di ciò che è stato, perché nessuno possa più dire: “io non sapevo...”. E nell’aver ascoltato chi ha vissuto quella tragedia, possano a loro volta diventare testimoni, facendo propri quei fatti. Perché possano dire: “Io lo so, perché ho parlato con un testimone, e lui mi ha raccontato...”. Non è facile rinnovare quei ricordi. A volte nel vedere il turbamento, la commozione dei ragazzi non riesco ad andare avanti. Devo fermarmi, bere un sorso d’acqua, fare finta di pensare. Non vorrei dar prova di debolezza, ma non ci posso far niente. Il dolore del ricordare a volte è insopportabile, anche a distanza di tanti anni. Ma poi mi dico: “Piero, devi farlo, devi andare avanti, anche per tutti quelli che da quei lager non sono più usciti...».L’UNITÀ. Male giovani generazioni sono pronte davvero ad ascoltare queste testimonianze o le vivono come un fastidio?TOBIA ZEVI. «Non direi che tra noi giovani ci sia un fastidio o una reticenza ad ascoltare ed apprendere. Piero Terracina e gli altri ex deportati che molto spesso fanno questa esperienza nelle scuole o nei viaggi organizzati con gli studenti, traggano l’impressione di un interesse sincero dei ragazzi. Quello su cui varrebbe la pena interrogarsi è sulla qualità di questa memoria. La sfida per tutti noi è quella di riuscire a declinare l’emozione che si crea nel momento in cui c’è il rapporto diretto con il testimone, organizzando quell’emozione in una pratica di vita quotidiana, civile, sociale, umana in grado di migliorare questa società sulla base della conoscenza delle esperienze, e delle tragedie, del passato. Da questo punto di vista, qualche rischio c’è...L’UNITÀ Quale sarebbe questo rischio?TOBIA ZEVI. « Uno è il fatto che, a fronte di tutto questo lavoro, quello che si vede nelle inchieste, o pseudo tali, che vengono condotte su questi temi tra i giovani, a emergere è una ignoranza tremenda, dilagante, a volte tragicomica, quando viene chiesto se sapete cosa è Auschwitz, e la risposta è “una discoteca”, o “La notte dei cristalli” è un “festival”... Il rapporto col testimone non può essere disgiunto da uno studio sistematico, attento, rigoroso della storia ai vari livelli di istruzione, perché è questo il bilanciamento necessario. E per noi giovani comprendere perché quella tragedia si è compiuta, significa ragionare sul fatto che anche se non necessariamente nelle stesse forme o proporzioni, e non necessariamente qui e oggi, quella tragedia potrebbe riaccadere. Come peraltro è gia accaduto , anche se non nella stessa gravità, negli ultimi i cinquant’anni. Primo Levi nei suoi libri parla proprio di questo. L’altro aspetto della qualità, è quello di tradurre questo lavoro di conoscenza in un approccio attivo delle nuove generazioni. Ciò significa dire: io ho sentito questa storia drammatica, ho sentito che c’è stata questa ingiustizia terrificante perpetrata verso miei coetanei dell’epoca, persone innocenti, ebbene, io cosa avrei fatto se fossi stato non tanto una vittima, con la quale è facile immedesimarsi perché non pone sensi di colpa, ma se fosse stato il compagno di banco di quel bambino ebreo che nel 1938 si allontanava dalla scuola perché non poteva più studiare in quella scuola in quanto ebreo?» PIERO TERRACINA. Nelle scuole deve entrare la Storia, a cui noi testimoni possiamo portare il contributo di una esperienza diretta. Una Storia rigorosa. È quello che la scuola deve pretendere, che tutti noi dobbiamo esigere. E io dico che, tutto sommato siamo fortunati. Ci sono tanti insegnanti che sono motivati e tantissimi ragazzi che vogliono sapere e che non sanno. Quando sono tra loro, vedo nei loro occhi la commozione, tocco con mano il loro interesse...Mi si stringono intorno, vogliono ancora sapere. E mi dicono: “Io non sapevo”. E non sapevano, questi ragazzi, perché questo non fa parte dei programmi della scuola. E invece conoscere il passato è importante. È importante perché certe tragedie terribili che sono accadute, se non si conoscono ci si può ricadere. È importante conoscere, e riflettere, sul passato, perché senza memoria non c’è futuro...».TOBIA ZEVI: «E c’è chi sul non sapere, imposto, costruisce una sub cultura politica...».PIERO TERRACINA. «A me è capitato di andare in alcune scuole in cui gli insegnanti mi avevano messo in guardia: “Signor Terracina attento, perché qui i ragazzi sono schierati...Devo dire che sono state le scuole dove ho ottenuto i risultati migliori, dal mio punto di vista. Quando un ragazzo mi dice: “Io non sapevo”, beh, vuol dire che ho raggiunto il mio scopo»TOBIA ZEVI. Ha ragione Piero a insistere sull’importanza di uno studio rigoroso della Storia. Una Storia studiata seriamente, sulla base di valutazioni scientifiche, di un interesse scevro da strumentalizzazioni politiche, è uno studio che non fa, o non dovrebbe far paura a nessuno, anche nelle possibili verità che talvolta può descrivere. Questo vuol dire fare Storia. Vuol dire attribuire, non sulla base del pregiudizio o sull’ignoranza, ma su una seria ricerca documentale, colpe e ragioni. Il cortocircuito che spesso si crea è il fatto che, in realtà, una verità storica, acclarata non soltanto da valutazioni scientifiche e da racconti di testimoni ma anche ormai da una tradizione consolidata di studi, viene invece presentata, e politicamente strumentalizzata, come la “verità dei vincitori”. Allora si dice: adesso vi diciamo come è andata per davvero... E senza saper nulla, senza leggere nulla, senza studiare nulla, adesso cambio visione. È una scorciatoia molto pericolosa che fa leva sull’ignoranza». L’UNITÀ. Ma oggi c’è chi vorrebbe diluire fine a cancellare torti e ragioni del ventennio fascista. E questo ci porta alle considerazioni ultime del sindaco Alemanno..PIERO TERRACINA. «Le leggi razziali in Italia sono state un anello della catena di violenze che c’è stata fin dall’inizio, dalla Marcia su Roma. Altro che fatto isolato! Non ci dimentichiamo che in quell’epoca circolavano canzonacce fasciste, come quella che diceva “fascisti e comunisti giocavano a scopone, e vinsero i fascisti per l’asso di bastone...”. Non era questo insegnare e praticare la violenza? Se non ci fosse stato il fascismo non ci sarebbero state le leggi razziali. Ritornado alla storia, voglio dire che un testimone, quale io sono, e come lo sono tutti i sopravvissuti ai campi di sterminio nazifascisti, noi non ci sostituiamo al lavoro dello storico. Mi limito, ci limitiamo a raccontare la quotidianità della vita e della morte nei campi di sterminio, dove si entrava soltanto per morire. Erano luoghi senza speranza...Sapevamo perfettamente, e i carnefici ce lo ricordavano in ogni momento, che “uscirete soltanto attraverso il fumo dei camini”».L’UNITÀ Noi abbiamo parlato di diritto-dovere alla memoria. Del ruolo della scuola. E quello della politica quale dovrebbe essere?TOBIA ZEVI. «Ci sono due richieste: una alla politica, l’altra a noi stessi. Quella alla politica è cercare di darsi, anche se mi rendo conto che è difficile, un respiro un po’ più ampio. Per essere significativa, la politica dovrebbe evitare di parlare troppo spesso alla “pancia” più retriva della gente, di ognuno di noi: quella che, ad esempio, tende a identificare nel “diverso” il primo bersaglio possibile del proprio malcontento. La “bella politica” è quella che è in grado di indirizzare, di guidare anche se questo può voler dire pagare dei prezzi. La politica deve fare i conti con un dato che contraddistingue la mia generazione rispetto. o quella precedente, rispetto alle passate: il fatto che sono crollate completamente non tanto le ideologie come tali quanto gli schemi di comprensione della realtà. Ecco, la politica dovrebbe aiutarci a ricostruire, rinnovandoli se è il caso, questi schemi».L’UNITÀ. E l’altra richiesta?TOBIA ZEVI «L’altra riguarda noi giovani. Da giovane interessto alla politica, penso che noi giovani non dobbiamo sempre assumere una prospettiva esclusivamente rivendicativa verso la politica, ma dobbiamo “sporcarci le mani”, impegnarci, provando ad affermare quelle che sono le grande esigenze della nostra generazione ed anche di una società che si stra trasformando ma che ha dentro di sé dei rischi che c’erano nel passato. E qui mi fa piacere ricordare che proprio Piero Terracina, testimone di quell’epoca tragica, è stato una delle rare, e più forti e significative voci che si sono levate nelle polemiche di qualche settimana fa sulla vicenda dei rom. Io penso che su un tema come questo, la tutela dei diritti delle minoranze, noi giovani, soprattutto quelli che si riconoscono in un’area progressista, dovremmo essere protagonisti di una grande battaglia di civiltà...».PIERO TERRACINA. A proposito di quello che diceva Tobia, io ritengo che bisogna tornare al rispetto degli altri. E particolarmente al rispetto per i “diversi”. Anche qui, la memoria ci aiuta: allora, se un ebreo commetteva una colpa, la colpa era di tutti gli ebrei; ed oggi se un extracomunitaria, un rom, un sinti, commette un reato, questo è colpa di tutti gli extracomunitari, di tutti i rom, di tutti sinti. Questa è un’altra delle cose sulle quali dovremmo riflettere molto. Tornare al rispetto per tutti, e in particolare per i “diversi”. Quelli che noi consideriamo “diversi” ma che poi non lo sono. Perché siamo tutti uguali. E alla politica chiedo anche di contribuire all’educazione dei giovani. Supportando adeguatamente la scuola e le famiglie. Aiutando i giovani a riscoprire quei valori che si sono persi. E non per colpa loro».
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