Angelo d’Orsi
Compañero revisionista perché cambi la Storia?
I cattedratici contro l’ex maoista Pio Moa che rivaluta il franchismo
Che il revisionismo, inteso come ideologia che trae semplicemente pretesto dalla storia, per arrivare a fini direttamente politici (e commerciali), abbia carattere internazionale lo si sapeva. Ma spesso lo si connette a tre nazioni: Francia (Furet e la sua scuola), Germania (Nolte e seguaci), Italia (da De Felice fino ai suoi epigoni); in realtà basta allargare lo sguardo per scoprire che il revisionismo non ha confini, e constatare che dal mondo degli studi – inteso come archivi, biblioteche e aule universitarie – il revisionismo è passato a quello degli studi televisivi mani di mestieranti attenti solo al numero di copie vendute e ai “passaggi” in tv. La mediatizzazione del revisionismo, in una con il suo scadere culturale, porta la dichiarata intenzione di “riscrivere la storia” alla volontà di rovesciare i risultati della ricerca storica. Insomma, il “rovescismo” come “fase suprema del revisionismo”.
Oggi appare di particolare interesse il caso spagnolo: là il governo progressista del socialista Zapatero sta facendo, nella legalità, una rivoluzione democratica. In essa è compreso un preciso intendimento di chiudere i conti con il passato, e rovesciando il “pacto de olvido” del 1977, dopo la morte di Franco – un “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto” che pretendeva di pareggiare i conti fra vittime e carnefici, in nome dell’oblio condiviso – non solo ha rimosso i simboli del regime sanguinario instaurato dal Caudillo dopo la vittoria nella guerra civile nel 1939; ma ne ha contestato anche la legittimità e procede ora alla riabilitazione delle vittime. Ciò ha prodotto reazioni direttamente politiche (nell’opposizione cattolico-conservatrice), talora sotto forma di azione religiosa (vedi iniziativa recentissima del Papa di beatificare 500 e passa “martiri” della guerra civile); ma ha scatenato anche l’azione pseudostoriografica dei “rovescisti”. Che hanno oggi un loro eroe, con un nome adatto alla bisogna: Pio Moa. Chi è costui? Un sessantenne dall’aria di tranquillo impiegato del catasto, il ragioniere della porta accanto, calvo, tondeggiante, occhiali e baffi grigi, che, incredibile ma vero, in anni non troppo lontani militò nel Grapo (Gruppo di Resistenza Antifascista Primo di Ottobre), di ispirazione comunista e di pratica terrorista, da cui fu espulso ben presto per “tradimento”. Nella Spagna che si avviava alla rivoluzione dolce di Zapatero, Moa si è improvvisato storico, dedicandosi a “rivisitare” la Guerra civile, con l’intento conclamato di farla finita con le “bugie dei rossi”: quelle di ieri, e quelle di oggi. Il golpe di Franco, che diede origine alla tragica esperienza della guerra civile, non fu in realtà che una risposta alla rivoluzione comunista in atto, e che seppe “salvare” la Spagna dalle mani di Stalin. Che i documenti dicano esattamente il contrario, poco importa a Moa; i revisionisti-rovescisti sono i rovistatori dei grandi magazzini della storia, ma non certo frequentatori attenti di archivi e lettori critici di fonti. Il suo scopo è dimostrare che la guerra civile è stato un grande mito dei comunisti (pare di leggere i nostri rovescisti sulla Resistenza, mito costruito dal Pci), intessuto di tante menzogne: il longseller di Moa si intitola non a caso “Los mitos de la guerra civil” (mentre il suo “classico” è “Les origines de la guerra civil”, edito in Italia da La Meridiana).
Gli storici spagnoli hanno disdegnato il confronto con questo pasticcione privo di credenziali scientifiche; ma forse hanno sbagliato e uno di loro, Alberto Reig Tapia, dell’Università di Tarragona, ha dedicato ben due libri (il secondo appena uscito: Revisionismo y politica. Pio Moa revisitado, Foca), insistendo sull’errore dei suoi sodali accademici e come Moa ha preteso “rivisitare” la guerra civile e il franchismo, così Reig Tapia ha “rivisitato” il lavoro di Moa.
Puntigliosamente ne ha enucleato tutti gli errori di metodo e di merito, riducendo in briciole il castello della nuova “verità” di Moa. E si è però spinto oltre: con altri ha dato vita a un’azione giudiziaria, giacchè Moa, rivalutando Franco e il suo regime, ne avalla i delitti; ma soprattutto, si legge nell’atto di denucia penale, in quanto Moa ha chiamato reiteratamente “criminali” i sostenitori della legge “zapaterista” sulla memoria storica approvata dal Parlamento spagnolo nello scorso autunno, volta a riconoscere i torti del franchismo e onorare la memoria delle centinaia di migliaia di sue vittime (fatte dopo la fine della guerra civile).
Su questo terreno, però, francamente, non mi sento di seguire il collega spagnolo. La storia, anche quella che Croce chiamava “pseudostoria” si combatte con una storiografia migliore, scientificamente fondata, e l’ideologia si combatte con idee più efficaci, capaci di smascherare le menzogne travestite da verità. Certo, resta il fatto che i Pio Moa (o i suoi emuli italiani) vendono centinaia di migliaia di copie, mentre le opere di Reig Tapia le conosce solo un pugno di specialisti. Ma la verità, quella autentica, ha tempo. E sa aspettare. Gli studiosi onesti devono solo fare il loro mestiere, con pazienza; e se vi aggiungono un pizzico d’ironia, smascherando gli strafalcioni degli pseudostorici, tanto meglio. Una risata, forse, val più di una condanna di tribunale, per squalificare i rovescisti.
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