lunedì 18 agosto 2008

Paola Meneganti: Corpi

I corpi parlano di noi – Paola Meneganti – “Il Tirreno” 3.8.08
Corpi in mare. Sempre più spesso, se leggiamo il giornale o ascoltiamo i notiziari, queste sono le parole: “Corpi in mare”. Soprattutto nel canale di Sicilia: muoiono in mare uomini, donne, bambini in fuga dall’Africa. Morire di guerra, di violenze, di fame, o morire in mare, tentando la fuga, verso un altrove che si intuisce laggiù, al di là del mare..
O corpi abbandonati su una spiaggia, in mezzo a bagnanti apparentemente indifferenti. Sono morte le due zingarelle, e lì le hanno lasciate, per qualche tempo, in attesa degli adempimenti di rito. La gente sta intorno, cosa avrebbe dovuto fare? Non so, andarsene, rivestirsi, oppure improvvisare una veglia funebre, mettersi in cerchio inginocchiati, non so. Lo avrei fatto io, che non sono credente.
Il corpo è un testo che parla di noi – che racconta una storia. E’ una struttura narrativa. E’ una metafora, soggetto ed oggetto di desideri e di fantasmi.
Il livello del corpo è complesso, estremamente importante rispetto alle strategie comunicative, ma anche sul piano politico ed etico. Il modo in cui si manifesta il livello del corpo è una spia del simbolico di un’epoca.
Questi corpi di cui ho parlato sono invisibili: invisibili ai più, perché non significanti, perché non inseriti in un discorso pubblico che abbia un senso.
Ha senso, invece, la forte esposizione mediatica di alcuni corpi. Con una novità: il corpo del capo. Quello del presidente del consiglio, per es., di cui ci hanno narrato mirabilie e limiti, su piani che, un tempo, si voleva protetti nel privato proprio perché corporei, legati alla natura ed ai suoi processi, più o meno irreversibili. Il corpo del capo viene investito in pieno dalla luce pubblica, che, diceva Hannah Arendt, è accecante: quindi occorreva sottrarle le radici della persona, il chi.
Ma il corpo del capo, di questo capo, può esporsi alla luce accecante perché la dimensione del chi è anch’essa sottratta al senso. Viene in mente un’epoca premoderna, prima della Rivoluzione francese, prima delle rivoluzioni ermeneutiche del soggetto avvenute tra ‘800 e ‘900, un’epoca in cui il corpo del potente era testo, era significanza, al di là di quanto razionalmente proposto, detto, esposto. La significanza, la visibilità del corpo scisso dalla parola: in questo iato si consumano questioni culturali e politiche. Il corpo da solo rimanda a emotività sfrenata, scelte di “pancia”, paure e passioni mobilitanti ma sottratte al discorso. Potenzialmente pericolose. L’esercito nelle strade per proteggere i corpi delle persone: un simbolico devastante. Ci faremo l’abitudine? I corpi chiusi nelle enclave, dietro muri dotati di telecamere e cancelli, nelle villette monofamiliari: fino a quando?
Corpi a rischio di incendio: nelle fabbriche, per via degli incidenti, nelle baracche delle periferie degradate, per mano di razzisti . Sotto i nostri occhi.
Vorrei poi parlare del corpo di Eluana, di cui lei non può disporre, per via della tragedia che sta vivendo. Il padre da anni è custode della scelta della figlia, manifestata chiaramente, in libertà, quando poteva farlo. Irrompono con violenza elefantoni ed elefantini, in questa vicenda di cui dovrebbero, forse, parlare solo i poeti, come ha fatto in modo meraviglioso Guido Ceronetti. Il padre parla la lingua dell’amore; dice Ceronetti, è Antigone, con il suo amore, contro la legge cieca di Creonte.
Nel corpo delle donne abita tanto amore e vi si consuma tanta violenza. Recentemente, papa Ratzinger, nel dire che “il grembo materno è diventato luogo di violenza”, ha nei fatti accostato la violenza dello stupro a quella dell’aborto a quella della fecondazione assistita, eccetera. Noi diciamo: in mezzo, grande come la parola amore, c’è la parola libertà. È un confine che in questo caso non separa, ma che unisce questi due grandi fatti umani: l’amore e la libertà. Riesce difficile pensare a modelli unici e prescrittivi, in questo mare di senso. Bisognerebbe immergersi nel mare e cercare lì volta volta risposte, indicazioni, per tracciare rotte sempre modificabili, per aprire rapporti e relazioni.
Scriveva Primo Levi: «E' ora quindi che parliate tutti voi che amate la libertà, tutti voi che amate il diritto alla felicità, tutti voi che amate dormire immersi nel vostro privato sogno, è ora che parliate o maggioranza muta! Prima che arrivino per voi».

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