23/08/2008
Vaclav Havel, Considerazioni sull'anno 1968
DAL BLOG girodivite Vaclav Havel - Considerazioni sull’anno 1968Pubblichiamo un’intervista in esclusiva italiana al Premio Nobel Vaclav Havel realizzata da Martin Vidlák e Petr Jančárek; tradotta in italiano da Petra Sifnerova; e corretta da Simone Buontempi e Paolo Polesellomercoledì 20 agosto 2008, di Emanuele G. Domanda: Gli eventi dell’anno 1968 non possono venire estrapolati dagli avvenimenti degli anni ’60. Che cosa ci direbbe in proposito?Vaclav Havel: E’ generalmente riconosciuto che gli anni ’60 sono stati caratterizzati da un’atmosfera densa di una coscienza morale e spirituale particolari. I motivi per cui il periodo della contestazione govanile contro l’establishment si e’sviluppato proprio negli anni ’60 sono molteplici. Una delle ragioni risiede nel fatto che entrava a far parte della vita pubblica una generazione che per motivi anagrafici non aveva svolto un ruolo attivo durante la seconda guerra mondiale. I rappresentanti di questa generazione, non avendo l’esatta percezione dei meccanismi della guerra fredda, avevano un modo di guardare al mondo diverso, come da un punto di vista piu’ ’’fresco’’.Cio’ é molto interessante. L’epoca é stata segnata da un suo stile, una sua moda,e a tutt’oggi e’ inconfondibile l’ eredita’,anche visuale che ci é pervenuta. Io attraversavo un’ eta’ in cui provavo questi sentimenti con molta intensita’ e in un certo modo partecipavo, perche’ negli anni ’60 si cominciarono a rappresentare i miei primi drammi che poi si sono diffusi da Praga in tutto il mondo. Non era esattamente un’epoca di concetti alternativi in senso assoluto, nessuno proponeva un nuovo modello della costituzione sociale, o qualche nuova dottrina o ideologia.Si trattava piuttosto di una rivolta contro l’ ”esistente” (contro quello che gia’ c’era), contro i meccanismi “fossili” del mondo precostituito, contro la politica rigida della guerra fredda, contro la burocrazia.Tutto questo aveva anche una sua sfumatura poetica. In Cecoslovacchia si compiva la Primavera di Praga, io finalmente avevo il passaporto(che non avevo potuto mai possedere in precedenza) e quindi viaggiavo in America. Sono stato presente alla prima di un mio dramma, ho vissuto gli scioperi degli studenti e le dimostrazioni imponenti a Central Park. All’ Universita’ di Columbia ho persino preso parte a dei dibattiti con gli studenti in sciopero,esordendo con queste testuali parole: “Spero di non essere un crumiro.” Tutti gli spettatori delle rappresentazioni a Broadway portavano la collana, si vestivano con vestiti coloratissimi, avevano i capelli lunghi,in pratica quello che in “Hair” veniva rappresentato in scena diveniva d’attualita’ anche nelle assemblee, sulla strada e a Central Park. Naturalmente molti di quelli che avevano vissuto questo periodo in prima persona,in seguito si sono calmati, si sono fatti tagliare i capelli, hanno cominciato a portare la cravatta,hanno intrapreso le carriere di burocrati o abili manager. Questo e’ indubbio. Mi sembra tuttavia, che da qualche parte qualcosa sia restato, e che l’esperienza degli anni ’60 abbia influito notevolmente sugli avvenimenti pubblici e politici dei decenni successivi.Un politico che ho avuto l’opportunita’ di conoscere abbastanza da vicino e in cui ho potuto avvertire la presenza –magari inconsapevole– di una esemplare coscienza morale tipica degli anni ’60, e’ Bill Clinton. Qualcosa di simile ho sperimentato anche a Parigi. Mi ricordo dello sciopero all’aeroporto, durante il quale ricordo che stavo cercando la mia valigia con cui ero arrivato dall’America. Mi accompagnava Pavel Tigrid che si e’ offerto di accompagnarmi a Bruxelles da dove avrei potuto prendere un volo per Praga.Un impiegato dell’aeroporto ha cercato nell’immenso sotterraneo tra mille valigie la mia. Siamo usciti fuori sulla pista di volo. Non c’era nessuno, nessuno in arrivo, nessuno che saliva a bordo, e quell’uomo mi ha mostrato la pista dove c’erano immobili i grandi aeroplani: “Guardi: come uccelli morti.” Questo e’ stato per me un evento caratteristico della rivoluzione di maggio a Parigi, anche per la sua dimensione poetica Tutto cio’aveva naturalmente, anche una sua dimensione rivoluzionaria, che pero’ talvolta oltrepassava i miei limiti. Non simpatizzavo per chi frantumava le macchine e le vetrine.Fu pero’ un movimento di portata mondiale.Era l’era dei Beatles, Lou Reed, Andy Warhol, l’epoca dei movimenti studenteschi autonomi. Da noi questo aveva un risvolto particolare perche’ fino ad allora era esistito solo il ČSM (l’Unione della gioventu’ cecoslovacca), vale a dire l’organo ufficiale comunista della gioventu’.Grazie all’iniziativa dei giovani improvvisamente si svilupparono organizzazioni indipendenti ed apartitiche e nessuno poteva piu’condizionarli nelle scelte ideologiche o politiche. Anche precedentemente,negli anni ’50 ,erano accaduti fatti molto significativi,gli intellettuali si mobilitarono e varie sommosse popolari furono soffocate.I rivoluzionari di allora pero’ si conformavano agli schemi e ai concetti fondamentali dell’ideologia dominante. Adesso invece subentrava una generazione che avrebbe buttato all’aria tutto quanto. L’anno ’68 - per mezzo degli scioperi degli studenti in America, della rivoluzione di maggio a Parigi e degli avvenimenti in Cecoslovacchia – e’ assurto a simbolo di questi movimenti di portata mondiale.Domanda:il fenomeno della rivolta giovanile negli anni ’60, quale impatto ha avuto sulla generazione precedente?Forse essa si e’ sentita piu’sollevata e libera della zavorra culturale ereditata nell’immediato dopoguerra?Vaclav Havel: Questo tipo di atteggiamento variava molto da persona a persona. Ho un ricordo specifico: in America ho visitato Ferdinand Peroutka, probabilmente il nostro miglior giornalista del XX. Secolo.Egli rappresentava naturalmente una grande autorita’ per me, e nella sua casa di campagna in Connecticut ho avuto con lui lunghe discussioni. Durante i nostri dibattiti mi sono accorto di quanto fosse diversa la visione del mondo di Ferdinand Peroutka rispetto alla mia. Era un uomo figlio della Prima Repubblica (i.e. 1918-1938), era stato internato in un campo di concentramento, aveva vissuto il golpe comunista, era emigrato in occidente e viveva in esilio. Lui era un uomo che non poteva apprezzare i giovani agghindati con i fiori ed i capelli lunghi . Non ha mai nascosto quanto questo fosse per lui strano, incomprensibile, affermava che il fatto di contestare tutto e tutti fosse inconcepibile. Era un uomo appartenente ad un altra epoca. Quali fossero le opinioni degli americani che facevano parte delle generazioni precedenti, non saprei dirlo con esattezza.Ho avuto modo di osservare atteggiamenti v erso i giovani tra i piu’svariati .Anche per esempio di sostegno per cosi’dire un po’ ’’affettatto’’.Mezz’ora prima della piu’ grande dimostrazione a New York nella 5. Avenue, sono stato invitato in un appartamento di proprieta’ di qualche milionario, dove esponenti dell’alta-societa’ e dell’elite di New York bevevano drink.Poi siamo usciti tutti insieme per aggiungerci alla folla. Ho delle foto di quando abbiamo marciato sulla 5. Avenue e li’ ho potuto constatare l’adesione snobistica dei piu’ anziani alla rivolta dei giovani.Sicuramente esisteva inoltre un ceto che manifestava simpatie per la politica di stampo- tra virgolette -“nixoniano”, questo e’ naturale. Ma l’America e’ un paese cosi’ grande,variegato ed eterogeneo e quindi e’ troppo pericoloso emettere giudizi perentori.Domanda: Lei pensa che anche in Cecoslovacchia il panorama politico sia stato altrettanto variegato e che anche da noi la generazione precedente a quella del ’68 abbia tratto un sospiro di sollievo ?Vaclav Havel: Da noi naturalmente il processo si é sviluppato secondo un diverso procedimento.La Primavera di Praga ,con il tentativo di pervenire ad un comunismo ’’dal volto umano’’ indubbiamente ebbe risonanza internazionale ed influenzo’ i movimenti comunisti di tutto il mondo.Spesso abbiamo sentito dire che questi sforzi siano stati dovuti ai comunisti riformisti che appartenevano alla nuova generazione che all’ interno del partito avevano soppiantato quelli piu’ conservatori. Non voglio sminuire i loro meriti, ma vorrei sottolineare il fatto che, quello che abbiamo fatto, e’ stato compiuto grazie alla pressione di tutta la societa’ e rafforzato dalla presa di coscienza dei fenomeni di crisi nella societa’stessa. Le voci critiche erano cosi’ tante che il potere, al pari dei giovani oramai consapevoli, ha dovuto riflettere sulla situazione. Mi ricordo che Jiří Pelikán mi consiglio’ di fondare un partito d’opposizione, come se il potere desiderasse ora la pluralita’, democratica e regolare, quella che loro stessi non avrebbero poi introdotto e non avrebbero potuto costituire,non essendo probabilmente nemmeno in grado di procedere in tal senso.Il processo di autoliberazione, che aveva i suoi nuclei radicati gia’ da molto tempo nei centri d’ ’’autoconsapevolezza civica’’,si rafforzo’, come se all’improvviso fosse cresciuto di per se’ ed avesse iniziato ad influire massicciamente anche all’interno del partito comunista,in relazione al modo di pensare dei suoi dirigenti e delle piu’ importanti personalita’. Tutto questo ha portato ai cambiamenti dell’anno ’68. Il momento cruciale della svolta e’ stato il congresso degli scrittori nel ’67 , dove e’ successa una cosa piuttosto interessante. Alcuni colleghi, Milan Kundera, Ludvík Vaculík, Pavel Kohout e gli altri ex-comunisti – (i membri dell’Unione degli scrittori non comunisti erano solo una minoranza) – hanno espresso dei concetti molto belli, radicali, rivoluzionari,in virtu’ dei quali piu’ tardi sarebbero stati puniti.Le opinioni con cui pero’ intendevano porsi a confronto diretto con l’ideologia del regime erano subordinate all’accettazione di un riconoscimento di legittimita’ dell’ ideologia stessa del regime.Cio’ mi imbarazzava non poco – non condividevo per esempio il dogma secondo il quale il socialismo rappresenterebbe un valore massimo assoluto,accettato universalmente senza nemmeno sapere cosa cio’ significhi realmente. Oppure la poetica socialista. Che cosa e’? L’apologia della nazionalizzazione? Proprio questi dogmi avevano dovuto parzialmente accettare. Io appartenevo a quelli che avrebbero preferito parlare di altri temi piuttosto che perdermi in sterili compromessi . Mi sembrava che fosse necessario parlare delle cose concrete, soddisfare esigenze concrete e non perdermi nel dissenso ideologico, attraverso il quale c’era soltanto da perdere. Ho quindi parlato degli scrittori censurati e arrestati, delle riviste abolite, ho proposto di accettare le nuove regole dell’Unione degli scrittori in cui sarebbe stata permessa la pluralita’ interna invece del ruolo autoritario dei gruppi (partgroup) del partito comunista ( i comitati che si riunivano precedentemente, organizzati prima di ogni congresso, sempre in linea con la strategia del partito). Mi sono opposto a cose concrete: come l’abolizione della rivista Tvář (La Faccia), ho chiesto inoltre come mai i piu’ bravi personaggi della nostra letteratura – come il prof. Černý, Jindřich Chalupecký, Jiří Kolář, non erano membri dell’Unione degli scrittori,mentre ne facevano parte parecchi pseudoscrittori che ancora dieci anni prima avevano tessuto le lodi di Stalin e pur avendo dovuto cambiare da un pezzo le posizioni d’allora erano restati in carica. Tutti questi fattori contribuirono allo scompiglio ed alla tensione dell’epoca.Da una parte l’opposizione dei comunisti riformisti all’interno del partito, basata sulla fedelta’ a questa ideologia,dall’altra l’opposizione di coloro che ne erano completamente fuori.I punti di vista,seppur differenti,talvolta si incontravano e contribuirono a trovare un avvicinamento. Pero’ e’ necessario considerare entrambe le posizioni e non bisognerebbe favorirne una a scapito dell’altra,come purtroppo succede spesso. Possiamo avallare la tesi secondo la quale i comunisti riformisti rivendicano la paternita’degli eventi del ’68,ma anche dar credito all’opinione contraria, per cui gli anticomunisti si proclamano gli autentici fautori del movimento.Domanda: Si puo’ parlare di un’ opposizione non comunista, dell’esistenza di qualche struttura organizzata?Vaclav Havel: Si’, c’era gente fuori dal partito comunista, che percepiva l’avvicinamento del momento in cui avrebbe dovuto impegnarsi attivamente. Era pero’ veramente molto difficile, perche’ tutte le strutture amministrative erano basate sul principio del ruolo egemonico del Partito comunista. La Democrazia socialista provava a riciclarsi:furono fondati il K231 e il KAN.Questo fu un tentativo di costruire una forza politica democratica vera, che non aveva niente in comune con il comunismo. Di tutto questo si scriveva, si facevano considerazioni, se ne parlava. Ci furono innumerevoli dibattiti, tanti incontri. Mi ricordo un incontro convenuto da noi dopo che avevo scritto un lungo articolo dal titolo “Sul tema dell’opposizione” (Literarni listy No. 6/1968). Ma i tempi non erano ancora maturi e l’ occupazione e’ avvenuta troppo presto , quindi tutto questo non ha avuto il tempo necessario per cristallizzarsi. Non c’erano le strutture necessarie, niente segretarie ed uffici, neanche chi avrebbe pagato. Per questo tutto era ancora piu’ difficile.Domanda: Lei come ha vissuto l’estate del ’68 e il momento specifico in cui e’ venuto a sapere della nostra occupazione?Vaclav Havel: In quel tempo solo pochi si erano accorti delle conseguenze derivanti dagli avvenimenti dell’inverno del ’68 ,dopo la celebre Assemblea (del Partito comunista) di gennaio. Neanche i fautori stessi di questi cambiamenti all’interno del Partito comunista, come Dubček, Smrkovský ed altri, avevano percepito con esattezza come sarebbe andata a finire. Ma cosi’ funzionano le cose durante il comunismo:non appena qualcuno apre la porta , la societa’ ci mette subito il piede.La stessa cosa é avvenuta durante il governo di Gorbacov. All’inizio Alexandr Dubček era agli occhi delll’opinione pubblica soltanto uno dei tanti burocrati.Della differenza esistente tra lui e Vasil Bil’ak,inizialmente se ne sono accorti in pochi.Sotto la pressione della gente e sull’onda del processo di liberalizzazione dei mass-media,i comunisti riformisti hanno dovuto prendere atto dei desideri dell’ opinione pubblica e andare incontro al volere popolare. E con sorpresa hanno scoperto che avrebbero potuto godere del consenso della gente e dell’acclamazione del popolo in maniera spontanea,senza che il consenso dovesse essere organizzato dai nuclei comunisti come i ’’pionieri’’ ( l’ organizzazione di propaganda comunista che raggruppava tutti i ragazzi in Cecoslovacchia). E questa constatazione li conquisto’, perche’ sapevano che l’appoggio era spontaneo ed autentico.Cominciarono ad intraprendere le prime timide riforme, ma contemporaneamente gia’ stava cominciando il dissidio ideologico con Mosca.Questa e’ la storia a proposito dell’incontro di Dresda. Furono momenti drammatici ed intensi, naturalmente anch’io ho partecipato attivamente. Nell’Unione degli scrittori abbiamo fondato, in opposizione al gruppo forte del partito, il “Circolo degli scrittori indipendenti”, che univa gli autori che non erano mai stati iscritti al partito. Io l’ho fondato, ne ho elaborato il programma, ne ero il presidente, mi sono dedicato alle varie attivita’connesse.A capo dell’intero movimento di protesta comunque non ero io,ma altri. Viaggiavo molto, e secondo la mia abitudine trascorrevo l’estate nella nostra casa in montagna a Hrádeček nei Krkonoše (le montagne della Boemia del nord). Da noi veniva parecchia gente, arrivavano in visita gli amici: i coniugi Tříska (Jan Tříska era un attore, emigrato dopo il ’68 negli USA), Věra Linhartová (una scrittrice ceca, che dopo il ’68 é emigrata in Francia), Libor Fára (pittore, scenografo, disegnatore di costumi per teatro), Zdeněk Urbánek (scrittore e traduttore, dopo il ’68 non ha piu’ potuto pubblicare) e molti altri. Era un’epoca di grande eccitazione, di grande gioia e anche di apprensione e paura per come tutto avrebbe potuto concludersi.Facevamo fdei falo’ in giardino,organizzavamo feste e, sebbene non volessimo ammetterlo, inconsciamente abbiamo dovuto fare i conti con la possibilita’ che il movimento sarebbe stato oppresso e calpestato. Ogni giorno ascoltavamo la radio e la tv, cosa fino ad allora impensabile,considerato il fatto che i mass media di regime in precedenza non avevano trasmesso mai alcunche’ di interesssante. Mi ricordo che il mio amico, l’attore Jan Tříska,a quei tempi disse: ”E’ un estate troppo bella, non puo’ finire bene.” Un giorno siamo andati a Liberec a vedere dei nostri giovani amici, come l’architetto Masák del SIAL (uno studio architettonico) a Liberec e li’, durante una festa, ci ha sorpreso l’occupazione, che poi abbiamo vissuto per intero in citta’. Con Jan Tříska siamo stati immediatamente coinvolti nella lotta di resistenza. A Liberec e’ stato un massacro. Nella piazza piena di gente sono arrivati i carri armati che sono deliberatamente andati adosso ad alcune persone. Io stesso ho visto un tank sparare. C’erano ragazzi esterrefatti, che non sapevano piu’ nemmeno dove si trovassero e non capivano cosa stesse succedendo.In seguito a questo conflitto, che di certo fu molto sanguinoso e piu’cruento che in altre citta’, non e’ stato costituito nessun presidio permanente tramite l’occupazione delle caserme a garantire il controllo della citta’di Liberec . I carri armati erano solo in transito. Grazie a questo ha potuto fiorire la resistenza sottoforma di manifestazioni di folklore popolare, con le sottoscrizioni, le canzoni, le assemblee e tutto il resto. Al palazzo municipale, assieme al sindaco sig. Moulis, ch’era un uomo di buon cuore, abbiamo fondato un nucleo.Io scrivevo i commenti quotidiani per la radio locale. Sul monte Ještěd addirittura era stata costruita la stazione televisiva e anche li’ ci siamo dati da fare. Mi ricordo che una volta ho scritto un appello ai cittadini con le istruzioni su come affrontare l’occupazione.L’appello e’ stato firmato dal comitato provinciale del Partito comunista, dal Comitato nazionale provinciale e dal Comitato provinciale del Fronte nazionale (il FN riuniva tutte le organizzazioni legali in Cecoslovacchia)oltre che da altre organizzazioni simili.Un cosi’ vasto consenso da parte praticamente di tutte le istituzioni non aveva precedenti.Naturalmente anche a Liberec era presente la repressione.Noi della radio dovevamo nasconderci e uscire segretamente dall’albergo in auto accerchiati da altre macchine a protezione. L’edificio della radio era stato circondato da lastre per costruzione in calcestruzzo,cosi’da proteggerlo da una facile conquista.Nelle fabbriche ci hanno distribuito delle tessere per poterci confondere tra gli operai in caso di necessita’.Fu molto interessante constatare la passione con cui partecipava alla rivolta la generazione dei giovani, gli hippies. Ce n’era uno soppranominato “il Prete”che era il capo di un gruppo di capelluti, dal quale la cittadinanza era invero un po’ intimidita. Mi ricordo che sulle scale del municipio hanno suonato Massachusetts ed altre canzoni popolari. E questo Prete e’andato il primo giorno dell’occupazione dal sindaco Moulis e gli ha detto: capo, siamo a Sua disposizione, cosa possiamo fare? Hanno quindi ricevuto l’incarico di rimuovere tutte le targhette coi numeri civici dalle case , cosi’ l’occupante avrebbe faticato per orientarsi a dovere in citta’.Durante una sola notte tutte le targhette sono state tolte e la mattina furono messe in fila nel corridoio del municipio.Il Prete ha domandato:cos’altro possiamo fare adesso, sindaco? Questo sono miei ricordi privati,alcuni di quelli che si sono fissati nella memoria, forse perche’ raccontano qualcosa di peculiare dell’epoca, degli anni ’60 e di quello che e’ successo da noi.Domanda: Quanto tempo é durata la Sua collaborazione presso la radio di Liberec?Václav Havel: Tutti gli avvenimenti si sono svolti ad una velocita’ mozzafiato.A partire dall’arrivo dei carri armati che hanno attraversavato Liberec verso alle undici di sera,per poi continuare incessantemente fino al ritorno della nostra delegazione da Mosca (il 27.8.). In tv abbiamo potuto trasmettere ancora un comunicato che fu molto critico circa i Protocolli di Mosca.Con quest’ultimo atto s’e’conclusa una settimana febbrile e siamo tornati a Hrádeček. Poi e’ cominciato un altro periodo, totalmente diverso, anch’ esso molto particolare. Dai Protocolli di Mosca fino all’instaurazione del régime di Husák un’anno piu’ tardi,abbiamo vissuto un periodo eccezzionale, lacerante,in cui rientra anche il suicidio di Jan Palach che si diede fuoco. Si puo’ capire qualcosa in proposito,solo se si é a conoscenza dei retroscena dell’epoca.La volonta’di tutta una nazione veniva impudentemente ignorata e derisa dagli oppressori,evidentemente spinti da ambizioni personali di carriera,quando non da impulsi criminali.I momenti culminanti furono le partite di hockey su ghiaccio e la seduta plenaria (del PC) in aprile,durante la quale si insedio’al potere il Dr.Husák. Alexandr Dubček sarebbe restato ancora per un breve periodo il Presidente dell’Assemblea Federale,poi le cose presero un’altra piega molto rapidamente.Cominciate le grandi epurazioni, tutti dovettero sottoscrivere l’accettazione dell’occupazione e giurare fedelta’ al nuovo régime. Fu un periodo di forte repressione e l’ inizio di un periodo di immensa frustrazione per tutta la societa’. Ho preso parte ad innumerevoli dibattiti presso le varie, facolta’ perche’ questo fu anche il periodo degli scioperi e delle proteste studentesche.Le critiche mosse in America sei mesi prima contro il governo (the Establishment) di uno stato democratico, erano adesso indirizzate contro il potere comunista costituito di recente e gli studenti anche in quest’ occasione hanno svolto un ruolo importante. In quel periodo furono abolite tutte le organizzazioni non filo-governative, inclusa l’Unione degli scrittori.Diverse furono le prese di posizione :chi collaborava, chi andava all’ opposizione, chi temporeggiava in attesa di vedere come sarebbe andata a finire.Anche dal punto di vista psicologico fu assai interessante osservare come gli uomini cambiavano atteggiamento. Gia’ sotto il régime di Husák, forse nell’anno ’69, ci furono i primi dissidenti imprigionati e noi abbiamo scritto La Petizione degli scrittori per la loro liberazione. Io ero uno dei raccoglitori di sottoscrizioni ed ebbi l’opportunita’ di osservare come gli uomini cominciavano a cambiare. Alcuni fecero marcia indietro adducendo a pretesto le tante sofferenze gia’vissute in passato,non potevano firmare-dissero- perche’ diventando vecchi desideravano solo la pace; altri spiegarono che in questo modo si indulgeva alla mera provocazione senza arrivare ad un esito finale,a loro avviso solo una strategia piu’ discreta e meno spiccia avrebbe potuto sortire un effetto piu’ funzionale. Altri pero’ hanno firmato il nostro documento consapevoli del fatto che probabilmente sarebbero diventati per lunghi anni scrittori proibiti dalla censura o dissidenti. Fu possibile osservare come si scindeva la comunita’ degli scrittori, e questo era solo uno dei molteplici aspetti dei processi tanto comuni all’interno della societa’.Sono tornato piu’ tardi sull’ argomento nel mio dramma La Protesta, ispirato proprio da questi fatti.Domanda:Questo periodo e’ culminato nel primo anniversario, secondo Lei a quell’epoca ,i cechi gia’ stavano contro i cechi e gli slovacchi contro gli slovacchi?Václav Havel: Si’. Questo fu molto triste. Io insistevo di continuo affermando che era un errore urlare pateticamente slogan come “Morte agli invasori e ai traditori della nazione” o “vogliamo un processo contro Bil’ak e i traditori della Patria”. Sapevo che quelli che gridavano cosi’ non avrebbero resistito, e che sarebbero stati i primi a scappare a gambe levate. Ero favorevole invece ad un atteggiamento calmo, equilibrato, maggiormente risoluto rispetto ad un atteggiamento piu’eclatante e vistoso.L’attitudine di piangersi addosso lamentando di essere dei poveretti,delle vittime della storia,avrebbe potuto servire da alibi,quale argomento valido a frenare una resistenza meno appariscente e nondimeno concreta e permanente.Domanda: Si ricorda, Presidente, un dettaglio concreto dei giorni d’agosto, qualcosa che e’ rimasto nella Sua memoria, qualche evento particolare che si sia fissato indelebilmente?Václav Havel: Fu come un’improvvisa esplosione di tutte le buone qualita’ insite negli uomini e nella societa’. Fu un periodo affascinante di solidarieta’ universale e senso comune di appartenenza reciproca. Un periodo in cui anche i ladri nelle carceri scrivevano manifesti in cui affermavano che non avrebbero mai piu’ rubato. Era chiaro ,naturalmente, che non sarebbe durato in eterno: qualcosa di simile succede da noi una volta ogni vent’anni e solo per un istante. Pero’ questo e’ il mio ricordo personale piu’importante di quei giorni.Domanda: Si ricorda quali furono le reazioni dall’estero? Per esempio l’Austria e la Germania avevano lasciato i confini aperti. E gli USA, la Gran Bretagna o la Francia?Václav Havel: So che ci furono paesi che si aprirono generosamente agli esuli, come la Svizzera o l’Austria.Le reazioni di alcuni altri paesi furono invece deprecabili, altri ancora assunsero un atteggiamento piu’ prudente. Pero’ non credo che sia esistito un accordo segreto tra l’Occidente ed il Cremlino,come si e’ detto in qualche occasione. Non escludo la possibilita’ che l’ambasciatore sovietico a Washington si sia recato un paio di ore prima dell’ arrivo dei carri armati ad informare lo State Department,allo scopo di preavvisarli. Questo non lo escludo, lo considero possibile. Pero’non voglio immaginare nessuna congiura e nessun accordo clandestino,atto a prevenire che gli Americani potessero accorrere in nostro aiuto.No, non mi sembra sia il caso. Era evidente all’epoca che cio’non sarebbe stato possibile. Non si volle scatenare una nuova guerra mondiale ne’ dopo gli eventi della rivoluzione in Ungheria, ,ne’ in seguito all’oppressione della Primavera di Praga.Domanda: Neanche le reazioni del blocco comunista furono le stesse. La Jugoslavia ha certamente agito differentemente rispetto all’Unione sovietica, altrettanto fece la Romania, dal momento che Ceausescu era contrario all’intervento.Václav Havel: Si’,certo.Domanda: Come si puo’ definire il retaggio culturale relativo al ’68? I lettori di paesi lontani potrebbero far confusione tra i fenomeni tipici del ’68 e quelli relativi alla caduta della cortina di ferro nell’anno ’89. Puo’ dirci, per favore, dove sta la differenza?Václav Havel:Il crollo della cortina di ferro con la caduta del comunismo nell’ anno ’89 e gli eventi del ’68,hanno avuto un fattore scatenante in comune:la pressione di una societa’ che voleva vivere in liberta’ e non sopportava piu’ il totalitarismo che umilia gli uomini dalla mattina alla sera e conduce alla decadenza economica. In comune c’e’ quindi la rivolta contro il regime dittatoriale di tipo comunista.Altri aspetti relativi al ’68 e ’89 sono certamente diversissimi.Innanzitutto l’anno ’68 e’ stato caratterizzato dalla ricerca ideologica di un comunismo riformato. Il governo,con l’appoggio silenzioso dell’ opinione pubblica, sottolineava che voleva solo migliorare il socialismo. Ribadiva che non avrebbero rinnegato l’appartenenza al blocco monolitico sovietico, non intendevano andare contro di esso, non avrebbero proceduto alla privatizzazione o introdotto il capitalismo. Questa ideologia nuova di socialismo riformato era, dall’estero, la manifestazione piu’ visibile della Primavera di Praga. Pero’ nell’anno ’89 la situazione era ormai completamente differente. La gente non desiderava alcun socialismo dal volto umano, voleva la liberta’. Di questa differenza me ne sono accorto molto bene e ho dovuto renderne conto personalmente. Nel Foro civile (Občanské fórum), un movimento nazionale improvvisato,erano presenti anche i comunisti riformisti, quelli che erano stati nei venti anni precedenti perseguitati perche’avevano aderito alla Charta 77,oppure avevano manifestato il loro dissenso in modo diverso.In quel periodo il loro modo di intendere la politica, il loro linguaggio, non trovarono nel pubblico nessun consenso e nessuna reazione adeguata. Anche se per tanti anni erano stati contro i dirigenti del partito, venivano ora inibiti e perseguitati. Diversi professori avevano per punizione dovuto lavorare come operai, eppure mantenevano ugualmente le abitudini tipiche del periodo comunista. Per esempio la tendenza ad una politica ’’esclusiva’’di gabinetto, il bisogno di discutere tutto prima tra loro per mettersi d’accordo sulla tattica da seguire e solo in seguito negoziare con gli altri.Avevano conservato quest’attitudine e lo si notava subito.Ma soprattutto ormai l’opinione pubblica non riconosceva piu’ le argomentazioni del régime. Il messaggio lanciato alla televisione da Zdeněk Mlynář suscito’ generale indignazione. Non entusiasmarono nemmeno il comizio di Alexandr Dubček in piazza San Venceslao , ne’ quello di Adamec a Letna’. Il popolo chiedeva di piu’.Domanda:Ciononostante si puo’ probabilmente affermare che a conferire maggior velocita’ agli avvenimenti dell’anno ’89 abbiano contribuito le circostanze inerenti la passata ’’normalizzazione’’,in concorso con il comportamento bigotto dei rappresentanti comunisti al vertice, oltre al ricordo sempre vivo degli avvenimenti dell’anno ’68.Vaclav Havel: Si’, in questo senso l’anno ’68 ha sicuramente svolto un ruolo importante, perche’dopo la Primavera di Praga tutte le persone un minimo acculturate erano state rimosse dai loro incarichi e dalle loro posizioni. Centinaia di migliaia di uomini,dai direttori delle fabbriche ai manager, dagli insegnanti ai professori, furono esautorati delle loro mansioni ed al loro posto si sono insediati dei ’’camaleonti’’ che dal punto di vista professionale furono come minimo di seconda scelta . Al potere si ritrovo’ quindi una classe dirigente d’infima categoria, quelli piu’ conservatori e primitivi, quelli che negli anni della normalizzazione erano passati sui cadaveri di coloro che erano stati eliminati. Anche per questo la rivolta contro il regime e’ stata piu’ visibile, piu’ prepotente ed ha condotto al successo piu’ velocemente che in qualsiasi altro paese, dove non c’era stata una inversione di tendenza tanto netta come da noi nell’anno ’68 e dove a ricoprire le funzioni piu’ importani dello Stato, del partito e dell’economia c’erano uomini che avevano provveduto saggiamente ad attuare delle riforme.Domanda: Lei quando si e’ accorto che la Primavera di Praga volgeva alla fine?E stato nel ’69, in concomitanza con il primo anniversario oppure gia’ prima? Oppure l’ha capito subito, nello stesso momento in cui in Cecoslovacchia sono entrati i soldati russi? Quando ha maturato la convinzione che non ci fossero piu’speranze?Václav Havel: Mi ricordo il momento in cui ci hanno telefonato alle undici di sera e ci hanno detto di accendere la radio dove davano lettura della proclama della presidenza del Comitato centrale del Partito comunista , in cui si comunicava che le armate stavano occupando il nostro Paese. Siamo subito corsi in strada. L’amico Jiří Seifert, oggi non piu’ vivente, era in un tale stato animo per cui ha affrontato un carro armato come se volesse impedirgli di andare avanti. Questo non rivelava solo il suo carattere emotivo, ma rappresentava un atteggiamento caratteristico di quel periodo. La gente da una parte non credeva ai propri occhi,non comprendeva come fosse possibile che all’ improvviso centinaia di tank e migliaia di soldati potessero assediare il Paese con tanta brutalita’ senza un motivo plausibile.Dall’altra parte forse intuiva che quel che stava accadendo preludeva al disastro e avrebbe significato la fine per un periodo a venire lunghissimo. Naturalmente nessuno era in grado di immaginare le conseguenze e la portata di questi avvenimenti, ma tutti percepivano che stava accadendo qualcosa di estremamente negativo. Pero’ allo stesso tempo tra gli uomini c’era ancora una speranza. E’ difficile dire con esattezza che tipo di speranza.Del forte sentimento di solidarieta’ ne ho gia’ parlato, dell’unita’, della voglia di aiutarsi – (per esempio ci portarono dall’ospedale in radio dei farmaci senza che ne avessimo avuto bisogno solo perche’ la gente sentiva il bisogno di aiutare) –l’atmosfera che si respirava contribuiva a rafforzare la speranza.Ricordo che si scriveva uno slogan “lo spirito vince la forza bruta”. Gli uomini semplicemente credevano che tutto dipendesse da loro. Anche se fossero arrivati un milione di carri armati non sarebbero stati in grado di fare nulla, mentre la gente sarebbe stata unita e compatta e si sarebbe comportata con senno, ingegno ed accortezza. Io ero tra quelli che invitavano a non rilassarsi mai, dopo che tanto bene ci eravamo comportati durante la prima settimana d’occupazione. Era necessario difendere tutto, anche le cose piu’ piccole ma pur sempre concrete, e difenderle per sempre. Le illusioni, soprattutto dopo la firma dei Protocolli di Mosca avrebbero potuto rivelarsi controproducenti e noi non volevamo ubriacarci come in precedenza, con il pretesto che,essendo il presente disperato, non vale la pena di fare qualcosa .Domanda: Mi e’ venuta in mente un ultima cosa,quantomai d’ attualita’. Nell’anno ’68 ci furono le Olimpiadi in Messico e la Cecoslovacchia vi e’ arrivata come il paese vittima dell’ aggressione straniera. La Sua amica, Věra Čáslavská, ha brillato in Messico raccogliendo medaglie. Puo’dirci quali analogie potrebbero esserci tra la spedizione olimpica cecoslovacca del ’68(con le reazioni internazionali conseguenti),e le Olimpiadi in programma in Cina?Vaclav Havel: Le Olimpiadi in Messico sono stato un evento indimenticabile. Tutta la nazione sentiva profondamente le vittorie di Věra Čáslavská che hanno sensibilizzato l’ opinione pubblica internazionale piu’ che tutti i proclami dei politici. Le Olimpiadi infatti sono state seguite da miliardi di persone.Fu meraviglioso,e per noi, nella nostra situazione significo’ un notevole incoraggiamento.Il pubblico spontaneamente intendeva dimostrare il proprio appoggio alla piccola Cecoslovacchia,circostanza di grande rilievo politico internazionale. E Věra merita un riconoscimento assoluto per il suo comportamento d’allora. Poi anche lei ha passato i suoi guai.In Cina sara’ piu’ complicato. Forse qualcosa succedera’, non lo so. L’ esperienza pero’ mi dice che l’ indifferenza verso le condizioni di vita nel Paese esercitata in nome dell’ideale olimpico, nega alla fine l’ideale olimpico stesso. Per esempio sono venuto a sapere da alcuni amici miei russi, democratici, dissidenti e capi dell’opposizione quale sostegno morale fu a suo tempo per loro il boicottaggio dell’Occidente delle Olimpiadi di Mosca. Sappiamo al contrario quale sostegno al regime rappresentarono negli anni ‘30 per Hitler le Olimpiadi a Berlino con tutta la loro propaganda megalomane nazista. La posizione di Hitler si rafforzo’ soprattutto perche’ la gente pensava che il regime e le Olimpiadi fossero due cose ben distinte che non andavano mischiate. Questa e’ un’idea molto pericolosa.GrazieFondazione Vaclav Havel
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