Cecoslovacchia, quarant’anni dopo
di Felice Besostri
A parte le riflessioni della compagna Castellina sul Manifesto non mi pare che l’anniversario abbia emozionato più di tanto la sinistra italiana i ne abbia animato il dibattito
Eppure quando il freddo di agosto gelò la Primavera di Praga avrebbe dovuto essere chiaro che la sinistra non poteva essere più quella di prima: la reformabilità dall’interno del sistema sovietico era impossibile. Infatti , quando 21 anni dopo il sistema iniziò a sgretolarsi, la sua riforma prese tutt’altra direzione, quella di un capitalismo selvaggio e senza quei correttivi, che nei paesi capitalistici più avanzati, in qualche modo ne limitano gli effetti: un sistema politico democratico ed un sistema legale tendenzialmente imparziale, oltre che una normativa per la trasparenza dei mercati. I beni pubblici sono stati depredati da oligarchi ognuno con la sua protezione politica e spesso il confine tra potere politico, potere economico e criminalità organizzata era ed è molto incerto. Questo intreccio consente di manipolare e, quindi, vincere elezioni solo formalmente libere.
Il fascino di antiche parole d’ordine, come la difesa del campo socialista, hanno impedito che la sinistra italiana trovasse una sua strada autonoma e con 40 anni di anticipo desse il suo contributo alla costruzione di una sinistra europea, che superasse le divisioni degli anni Venti e della Guerra Fredda. Sono convinto che quella riflessione avrebbe dovuto iniziare già dai Fatti ( notare l’espressione anodina e perciò conciliante!) di Ungheria del 1956, ma, non volendo gettare benzina sul fuoco, mi sarei accontentato di un ritardo di soli 22 anni: purtroppo ne abbiamo accumulati altri 40. La storia non si può riscrivere, ma se la conclusione è- caso unico nelle democrazie parlamentari di tutti e cinque i continenti- che la sinistra, da quella socialista a quella antagonista, non sia rappresentata nel Parlamento, le scelte non fatte, le occasioni perdute e la dirigenza complessiva della sinistra abbiano contribuito al bel risultato sotto i nostri occhi! Comprendo le resistenze a prendere atto che il comunismo sovietico avesse fallito, perché nel nostro paese ogni presa di distanza si coniugava con una- a mio avviso non necessaria- deriva moderata, di adattamento al sistema. In Italia non si è stati capaci di passare dell’isolamento filosovietico all’autonomia della sinistra, come nella migliore tradizione socialdemocratica. La sinistra se non è alternativa, che sinistra è? Nella sua alternatività può essere graduale e prudente, stabilire alleanze con forze di centro più moderate, porsi obiettivi intermedi, ma non assimilarsi, in nome della governabilità e del realismo, alle pratiche di potere e di sottobosco del potere di quelle forze, che non si pongono l’obiettivo di cambiare la società, nella quale viviamo. Una sinistra vacanziera che si dimentica l’anniversario dell’invasione della Cecoslovacchia, si merita che massicciamente, proprio approfittando dell’anniversario, si voglia far passare una analogia tra la Cecoslovacchia del 1968 e la Georgia del 2008, quasi che truppe russe e truppe sovietiche fossero la stessa cosa e che la Primavera di Praga avesse gli stessi obiettivi della Rivoluzione delle Rose. La subordinazione culturale della sinistra è evidente, perché i comunisti difendono o giustificano i russi ed i riformisti, anche quelli socialisti (in maggioranza ), i georgiani: stupefacente da parte di chi ebbe il coraggio di candidare e far eleggere al Parlamento Europeo Jiri Pelikan. Con questa mia riflessione non voglio rinfocolare polemiche, ma mandare un messaggio: la sinistra potrà ritrovare la sua forza se sarà capace di affrontare i nodi del passato e il diverso atteggiamento rispetto agli avvenimenti cecoslovacchi del 1968 è uno di questi nodi
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