Dal corriere della sera, 8 novembre 2009
Il crocefisso simbolo di sofferenza che non può offendere nessuno, di Claudio Magris
Il giovane Sami Albertin — la cui madre ha chiesto la rimozione del crocifisso dalle scuole statali approvata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ricevendo per questo su forum e blog volgari insulti da chi, per il solo fatto di proferirli, non ha diritto di dirsi cristiano — dev’essere molto sensibile e delicato come una mimosa, se, com’egli dice, «si sentiva osservato» dagli occhi dei crocifissi appesi nella sua classe.
Se erano tre, come egli ricorda, erano un po’ troppi, ma provare turbamenti da giovane Werther o da giovane Törless è forse un po’ esagerato; fa pensare a quella prevalenza dei nervi sui muscoli irrisa da Croce, che preferiva studenti studiosi e gagliardi a precoci giacobini.
La sentenza e soprattutto i suoi strascichi provocheranno — ed è questa la conseguenza più grave — un passo indietro in quella continua lotta per la laicità che è fondamentale, ma che è efficace — ha ricordato Bersani, uno dei pochi a reagire con equilibrio a tale vicenda — solo se non travolge il buon senso e non confonde le inique ingerenze clericali da combattere con le tradizioni che, ancora Bersani, non possono essere offensive per nessuno. La difesa della laicità esige ben altre e più urgenti misure: ad esempio — uno fra i tanti — il rifiuto di finanziare le scuole private, cattoliche o no, e di parificarle a quella pubblica, come esortava il cattolicissimo e laicissimo Arturo Carlo Jemolo.
Sono contrario a ogni Concordato che stabilisca favori a una Chiesa piuttosto che a un’altra anche se numericamente poco rilevante; ritengo ad esempio — è solo un altro esempio fra i tanti — che il matrimonio cattolico e il suo eventuale annullamento ecclesiastico non dovrebbero avere alcuna rilevanza giuridica, che dovrebbe essere conferita solo dal matrimonio e dal suo eventuale annullamento civile. «Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato!», pare abbia detto Cavour in punto di morte al religioso che lo esortava a confessarsi. Forse è una leggenda, ma esprime bene la fede nel valore della laicità — che non è negazione di alcuna fede religiosa e può anzi coesistere con la fede più appassionata, ma è distinzione rigorosa di sfere, prerogative e competenze.
L’obbligatoria rimozione del crocifisso è formalmente ineccepibile, in quanto la separazione fra lo Stato e la Chiesa — tutte le Chiese — non richiede di per sé la presenza di alcun simbolo religioso. La legge tuttavia consente di temperare la formale applicazione del diritto con l’equità ossia con la giustizia nel caso concreto. Ad esempio è giusto che i responsabili di istituzioni pubbliche non possano affidare lavori che riguardino quest’ultime senza indire pubbliche gare di appalto, perché altrimenti si favorirebbe la corruzione.
Confesso che trenta o quarant’anni fa, all’epoca in cui dirigevo a Trieste un minuscolo e fatiscente Istituto di Filologia germanica, quando in una gelida giornata invernale di bora si era rotto il vetro di una piccola finestra ed entrava il gelo, non ho indetto alcuna gara d’appalto bensì ho cercato nella guida telefonica il vetraio più vicino, l’ho chiamato e gli ho pagato la piccola cifra richiesta, facendola gravare sulle piccole spese destinate all’acquisto di cancelleria, gomme, carta igienica, gesso.
Formalmente sarebbe stato possibile incriminarmi, ipotizzando un mio illecito accordo col vetraio; ad ogni buon conto confesso il reato solo ora, in quanto caduto in prescrizione. Credo tuttavia che, in quel caso come in altri, ciò avrebbe convalidato il detto, proclamato da rigorosi giuristi e non da teste calde, «summum ius, summa iniuria» — massimo diritto, massima ingiustizia.
E così forse è il caso del crocifisso. Quella figura rappresenta per alcuni ciò che rappresentava per Dostoevskij, il figlio di Dio morto per gli uomini; come tale non offende nessuno, purché ovviamente non si voglia inculcare a forza o subdolamente questa fede a chi non la condivide. Per altri, per molti, potenzialmente per tutti, esso rappresenta ciò che esso rappresentava per Tolstoj o per Gandhi, che non credevano alla sua divinità ma lo consideravano un simbolo, un volto universale dell’umanità, della sofferenza e della carità che la riscatta. Un analogo discorso, naturalmente vale per altri volti universali della condizione umana, ad esempio Buddha, il cui discorso di Benares parla anche a chi non professa la sua dottrina ed è radicato nella tradizione di altre civiltà come il cristianesimo nella nostra. Per altri ancora, scriveva qualche anno fa Michele Serra, quel crocifisso è avvolto dalla pietas dei sentimenti di generazioni. Altri ancora possono essere del tutto indifferenti, ma difficilmente offesi.
Si può e si deve osservare che le potenze terrene di cui quel crocifisso è simbolo e sostanza ossia le Chiese si sono macchiate e talvolta si macchiano ancora di violenze, prepotenze, ipocrisie, che negano quell’uomo in croce e fanno del male agli uomini. Tutte le Chiese, non solo la cattolica; anche i protestanti hanno i loro roghi di streghe e la consonante finale dell’orrenda sigla razzista wasp (bianchi anglosassoni protestanti, sprezzantemente contrapposti ai neri). Naturalmente, siccome a noi stanno sullo stomaco le prepotenze della Chiesa cattolica, quando essa le commette, è giusto prendersela con essa prima che con le malefatte di altre confessioni in altri Paesi.
Ma come quella p di wasp non offusca la grandezza della Riforma protestante e del suo libero esame, i misfatti e le pecche delle Chiese cristiane d’ogni tipo non offuscano l’universalità di Cristo, che anzi le chiama a giudizio. Su ogni bandiera e anche sulla croce ci sono le fetide macchie dei delitti commessi dai loro seguaci. In nome della patria si sono perpetrate violenze feroci; in nome della libertà e della giustizia si sono innalzate ghigliottine e creati gulag; in nome del profitto svincolato da ogni legge si sono compiute inaudite ingiustizie e crimini. Sulla bandiera dell’Inghilterra e della Francia c’è anche lo sterco della guerra dell’oppio, una guerra mossa per costringere un grande ma allora indifeso Paese a drogarsi in nome del profitto altrui.
L’elenco potrebbe continuare a piacere. Ma le barbarie nazionaliste non cancellano l’amor di patria; la guerra dell’oppio non cancella l’universalità della Magna Charta e della Dichiarazione dei Diritti dell’89 e quelle bandiere, inglese e francese, restano degne di rispetto e d’amore; il gulag installato in uno Stato che si proclamava socialista non distrugge l’universalità del socialismo e la ghigliottina non ha decapitato l’idea di libertà e di repubblica. E così tutto il negativo che si può e si deve addebitare alle Chiese cristiane non può far scordare anche il grande bene che loro si deve; la Chiesa cattolica non è solo Monsignor Marcinkus; è anche don Gnocchi e don Milani o padre Camillo Torres, morto combattendo per difendere i più miseri dannati della terra.
Quell’uomo in croce che ha proferito il rivoluzionario discorso delle Beatitudini non può essere cancellato dalla coscienza, neanche da quella di chi non lo crede figlio di Dio. La bagarre creata da questa sentenza farà dimenticare temi ben più importanti della difesa della laicità, fomenterà i peggiori clericalismi; dividerà il Paese in modo becero su entrambi i fronti, darà a tanti buffoni la tronfia soddisfazione di atteggiarsi a buon prezzo a campioni della Libertà o dei Valori, il crocifisso troverà i difensori più ipocriti e indegni, quelli che a suo tempo lui definì «sepolcri imbiancati».
Il Nostro Tempo ha ricordato che Piero Calamandrei — laico antifascista, intransigente nemico della legge truffa dei governi democristiani e centristi di allora— aveva proposto di affiggere, nei tribunali, il crocifisso non alle spalle ma davanti ai giudici, perché ricordasse loro le sofferenze e le ingiustizie inflitte ogni giorno a tanti innocenti. Evidentemente Calamandrei era meno delicatino del giovane Albertin.
In Italia, la sentenza è un anticipato regalo di Natale al nostro presidente del Consiglio, cui viene offerta una imprevista e gratissima occasione di presentarsi nelle vesti a lui invero poco consone, di difensore della fede, dei valori tradizionali, della famiglia, del matrimonio, della fedeltà, che quell’uomo in croce è venuto a insegnare. È venuto per tutti, e dunque anche per lui, ma questo regalo di Natale non glielo fa Gesù bambino bensì piuttosto quel rubizzo, giocondo e svampito Babbo Natale che fra poche settimane ci romperà insopportabilmente le scatole, a differenza di quel nato nella stalla.
5 commenti:
Poiché la sentenza della Corte di Strasburgo è più articolata di quanto intenda Claudio Magris, suggerisco la lettura di questo commento di M. Rosati, dell'Università di Roma ‘Tor Vergata’, a mio parere più produttivo e completo (si può trovare anche sul sito di Sinistra Democratica).
Saluti
Luigi Ranzani
Ringrazio dell'art. di Magris. Siccome essendop A TEO allo stesso modo di A COMUNISTA, quindi non sono ANTI CLERICALE, non seguo queste stupidità. Mi ha fatto molto ridere il fatto che il figlio della sig.ra Albertin, "si sentisse osservato". Povero peccatore. Ma chi ha visioni o allucinazioni non deve essere curato? Credo che la famiglia Albertin, non sia "priva di mezzi". Ciao a tutti
SE FOSSI IL CARDINAL BERTONE......
Ho letto con interesse il contributo di Magris , un bel contributo al dibattito. Concordo.
Non si può certo ignorare l'antico " Libera chiesa in libero stato". In molti siamo d'accordo , compresi tanti cristiani e cattolici che vivono la loro fede intimamente e con rigore religioso nel rispetto per altre confessioni. Aggiungo anche che provo , da cristiana praticante, disagio nel vedere il crocefisso oggetto di discussioni,di ricorsi e controricorsi . Vorrei avere il potere di togliere il crocefisso da tutti i luoghi pubblici a partire da domani perchè non sia ridotto a un oggetto di culto e diventi, solo per chi lo desidera, oggetto di fede come è giusto che sia.
Penso che la chiesa cattolica dovrebbe riflettere sul fatto che la fede non arriva da un simbolo ma da qualcosa di più e che sarebbe opportuno spendere energie per diffondere al meglio il messaggio del crocefisso ,possibilmente senza usufruire degli atti di difesa del governo italiano i cui rappresentanti , tanto per cambiare, si ergono a paladini...anche di Gesù .
Scusate la provocazione ma questa storia di passerelle nei telegiornali , dai cardinali all'ultimo leghista ( che magari in chiesa non mette piede dal giorno della cresima ) mi fa arrabbiare notevolmente : raccogliere voti speculando anche su Gesù è davvero troppo!!( per credenti ,ma penso anche per non credenti rispettosi..)
Come scrivevo prima, io che non sono credente, non ho alcun senso di ripugnanza nei confronti di questo simbolo. I simboli demarcano un territorio. La bandiera italiana, demarca il territorio ed i propri confini; il cerimoniale afferma la prevalenza di un ordne (magistratura, ordinari Universitari, militari, funzioni religiose ecc) Il crocefisso individua una appartenenza culturale, volenti o nolenti possiamo ricordare: con Kant o contro Kant, ma mai senza Kant. Del resto i nostri grandi folosofi, direi Croce per ultimo ci hanno spiegato anche il perché. Dissertare fa bene allo spirito, o se vogliamo alla coscienza, o se vogliamo alla cultura ecc. però innegabilmente di ciò stanno discutendo appassionatamente uomini di cultura cristiana, siano TEO o ATEO, laici per forza se non sono ministri di culto! Possiamo qui disquisire su fedeli e non fedeli, praticanti e non praticanti. Il resto appartiene ai distinguo dell'animo umano, che cosi come tende a prevaricare gli altri, allo stesso modo cerca le proprie ragioni. Spassionatamente devo dire che preferisco quello che determinano i 10 comandamenti ed il discorso della montagna, piuttosto che i codici di Hammurabi o le leggi draconiane o di Licurgo. In una parola credo in quel fortunato slogan "far bene all'amore fa bene all'amore! Credo sia nell'ordine delle cose naturale, come nel caso delle api. Nessuna operaia si ribella al ruolo assegnato. O all'istinto migratorio delle rondini. Così come preferisco discutere del ruolo della Rerum Novarum quale contrasto alla cultura anarcosocialistamarxista (per concentrarla in una parola) e di come le due culture si sono alla fine contemperate, provocando un salto di qualità nell'uomo che non ha avuto precedenti nella storia, ma che deve ancora concludersi (e forse mai si concluderà!).
Io sono solo un uomo di mondo che ha una cultura umanistica universitaria, ma che non è in grado di essere tuttologo. Credo di avere una qualità: sono tollerante. anche se a volte pratico la regola del "guai all'ira dei buoni".
Qualcuno ha scritto qui che il figlio di Albertin, poiché "si sentiva osservato" (dal crocefisso) dovrebbe essere curato per allucinazioni e visioni.
Mah... forse sì, ma non più di quanto lo dovrebbe essere stato Paolo di Tarso.
Stefano Bazzoli
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