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Basta con le leggi ad personam Berlusconi delegittima le istituzioni
Data di pubblicazione: 23.11.2009
Autore: Ciampi, Carlo Azeglio
Un’intervista di Massimo Giannini. Il degrado delle istituzioni democratiche ha raggiunto un punto tale che nessuno può evitare di scendere in campo. La Repubblica, 23 novembre 2009
«Io non do consigli a nessuno. Ma il Quirinale ha il potere dell’ultima firma. Se un provvedimento non va si rinvia alle Camere. Io non uso aderire ad appelli, ma condivido dalla prima all’ultima riga quello di Saviano. È una speranza che ottenga tanti consensi»
E mai come in questa occasione l’ex capo dello Stato, da vero «padre nobile» della Repubblica, lancia il suo atto d’accusa contro chi è responsabile di questo «imbarbarimento» e di questa «aggressione»: Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a «colpi di piccone» i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè «la nostra Bibbia civile».
«Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile». Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L’intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un’opera di progressiva «destrutturazione». «Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell’edificio democratico, cioè le istituzioni, e si umiliano i valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...».
Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo «paesaggio in decomposizione». «Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d’anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l’uomo che difende le istituzioni, e dall’altra parte Berlusconi, l’uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...».
L’ultimo capitolo di questa nefasta «riscrittura» della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfano e ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell’intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: «Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L’ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare». Fa di più, l’ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: «Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica». Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: «Credo che per chi ha a cuore le istituzioni, oggi, l’unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti».
Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell’ordinamento giudiziario di Castelli: «È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C’è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell’informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse, e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza».
Ma in tanto buio, secondo Ciampi c’è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l’appello lanciato su Repubblica da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull’abbreviazione dei processi, la «norma del privilegio». «Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all’ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c’è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c’è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare».
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