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Qualche idea per un nuovo programma del centrosinistra
di Giulia Rodano
Dom, 08/11/2009 - 22:38
La decisione del Coordinamento Nazionale di SeL di mettere al primo punto all’ordine del giorno dell’Assemblea del 19 dicembre “la discussione e votazione di un manifesto programmatico per le prossime elezioni regionali” consente di verificare veramente se SeL è qualcosa di più di una alleanza elettorale e se è possibile, come io credo, condividere valori, visioni, contenuti.
Tutti sappiamo che attraverso le Regioni passano scelte importanti per il futuro democratico e dei diritti, per il futuro sociale ed economico del Paese.
Discutere di quali scelte debbano compiere le Regioni è dunque parte significativa del processo di costruzione di SeL.
Sarebbe necessario semmai che il Coordinamento nazionale producesse subito, senza aspettare il 19 dicembre, una proposta programmatica, per poter avviare una discussione pubblica che non ci faccia arrivare in ritardo rispetto alle decisioni che nelle singole regioni si stanno assumendo in queste settimane.
D’altra parte, si parla di primarie e di primarie di coalizione. Solo Nel Lazio sono girati sui giornali decine di nomi. Ma nessun nome si lega a idee, progetti, scelte. Rischiamo ancora una volta di scegliere il più noto, il più televisivo.
Se vogliamo cominciare a cambiare l’idea lideristica e plebiscitaria, che anche Bersani sembra voler combattere, allora si dovrà discutere del progetto, delle idee. Il nome dovrebbe poter essere “consequentia rerum”, per la biografia, per le scelte che è in grado di interpretare.
L’esperienza degli ultimi cinque anni al governo della Regione Lazio, mi ha convinto ulteriormente di questo. Vorrei tentare allora di proporre alla discussione qualche idea.
Il centrosinistra alla Regione Lazio ha, negli scorsi cinque anni, governato all’interno di una ferrea gabbia, costituita dai dieci miliardi di debito lasciati dalla giunta Storace, dal vero e proprio nodo scorsoio del patto di stabilità interno, dalle politiche di taglio indiscriminato alla spesa pubblica e di riduzioni alle entrate fiscali degli Enti locali dei diversi governi nazionali.
Il tutto ha prodotto una drastica, a volte persino drammatica, riduzione delle risorse disponibili, in una logica che spingeva i governi locali a diventare gli esecutori di politiche di restrizione e taglio dell’intervento pubblico su settori essenziali della vita civile e dello sviluppo.
Le politiche neoliberiste dei governi nazionali e il peso della eredità tendevano a costringere la regione a politiche di tagli di servizi e di compromissione e alienazione dei beni comuni, dal territorio, all’acqua, ai beni culturali, alla salute.
Il centrosinistra del Lazio ha cercato di evitare il collasso del servizio sanitario pubblico, di praticare politiche nuove in settori decisivi del governo della regione, dalle politiche ambientali, ai servizi sociali a quelle culturali e del lavoro.
Nella prossima legislatura, proprio perché abbiamo ridotto il peso della eredità di Storace, immettendo risorse nuove dove il governo tagliava, la Regione può e deve uscire dalla gabbia.
A me sembra questo è il primo e essenziale punto di programma che credo valga per l’insieme delle Regioni. Occorre diventare protagonisti di una battaglia contro la logica liberista che ha creato la crisi economica mondiale e in Italia ha indebolito la capacità di intervento e di azione dei poteri pubblici a sostegno dello sviluppo e a tutela dei diritti dei cittadini.
Cosa abbiamo di fronte: tante persone che perdono il lavoro e tantissimi giovani, diplomati e laureati, che non lo trovano e non hanno neppure prospettiva di trovarlo nel futuro. Tanti lavoratori e lavoratrici precari, tendenzialmente a vita. Tante imprese, piccole e medie in gravissima difficoltà, senza credito e senza prospettive. Un deterioramento della qualità dei servizi pubblici e della qualità del vivere. Tanti problemi acuti che richiedono soluzioni nuove, dai rifiuti, all’energia, alla mobilità all’emergere di nuove marginalità e di crescenti povertà. La crescente difficoltà di quanti si occupano e producono cultura e ricerca.
La crisi economica mondiale ci indica una strada.
Il mercato non è riuscito e non riesce ad aumentare la ricchezza e a distribuirla equamente.
Dobbiamo combattere concretamente l’idea che il mercato sia l’unico metro di valutazione per tutte le sfere della vita associata. Che non esistono più cittadini, ma solo consumatori. Vi sono aree in cui il mercato funziona male e aree in cui non deve entrare.
Occorre rilanciare l’intervento pubblico, l’unico che può tutelare i beni comuni, accrescere i diritti e il benessere, creare le nuove convenienze della economia che può uscire dalla crisi.
Le Regioni possono e devono avere un ruolo fondamentale nel contribuire a creare una società solidale, colta e compatibile, una economia della solidarietà, dell’ambiente e della cultura.
Società solidale vuol dire:
rafforzare l’intervento pubblico a sostegno della universalità dei diritti.
Includere i nuovi cittadini, accogliere gli immigrati
Fermare l’indebolimento della sanità e dei servizi pubblici, provocato dalle politiche di taglio indiscriminato, consentendo qualità di funzionamento elevata e perciò efficiente.
È l’aumento della qualità che consente il risparmio e l’efficienza. Non il contrario. I tagli indiscriminati provocano solo inefficienza e spreco. Occorre ricominciare ad investire.
Soltanto la crescita dei servizi pubblici, in quantità e qualità, può dare basi effettiva a una nuova cittadinanza accogliente.
Società colta vuol dire garantire l’accesso alla cultura e nello stesso tempo aiutare a produrre cultura, consentire di fruire delle ricchezze e delle opportunità culturali. Vuol dire costruire tante infrastrutture culturali, materiali e immateriali, tante opportunità di creatività, tante nuove occasioni, fuori dalla industria televisiva dell’intrattenimento. Vuol dire tutelare, difendere e rendere fruibile il patrimonio culturale che abbiamo ricevuto in eredità. Vuol dire poter aver accesso ovunque ai libri, ai film, alla rete. Vuol dire combattere il divario tra chi può e chi non può accedere.
Società compatibile vuol dire avere la possibilità di vivere, lavorare, consumare senza dover distruggere l’habitat in cui si vive. Vuol dire una mobilità collettiva e comoda allo stesso tempo, un consumo energetico giusto e rinnovabile, favorire industrie non energivore, non consumare il territorio per abitare e lavorare, attuare una politica di riduzione e di riciclaggio dei rifiuti.
Questa società richiede una riconversione ecologica, sociale e culturale dell’economia, richiede nuova idea di sviluppo che non è affidabile solamente al mercato che ha bisogno di un forte intervento pubblico, di una finalizzazione delle risorse pubbliche.
Questa società richiede di fare scelte di politica economica e di allocazione delle risorse pubbliche.
Meglio la raccolta differenziata e il riciclaggio che i termovalorizzatori
Meglio assistere a casa che ricoverare chi ha malattie croniche. Deve essere sancito e garantito il diritto alla continuità assistenziale, ad essere protetto e seguito chiunque è costretto a convivere con la malattia e la disabilità. La sanità pubblica deve salvare la vita, ma anche aiutare a vivere.
Meglio la generalizzazione della assistenza domiciliare, dei percorsi di continuità assistenziale, che la crescita delle convenzioni con le cliniche per ricoverare i malati cronici o gli anziani.
Meglio investire per valorizzare i beni culturali o costruire e far funzionare un teatro o sostenere le iniziative locali di promozione delle attività culturali che abbandonare i cittadini alla sola offerta di mercato che oggi non può che imitare i modelli televisivi dominanti.
Meglio aiutare la produzione culturale indipendente che quella condizionata dalle grandi concentrazioni dell’industria culturale
Meglio il recupero e la riqualificazione della città costruita che consumare territorio con l’espansione edilizia.
Meglio favorire la produzione alternativa di energie alternative, che localizzare nuove centrali nucleari o a combustibili fossili.
Meglio le energie alternative di quelle non rinnovabili e inquinanti.
Meglio avere la gestione pubblica dell’acqua e dei servizi pubblici locali che lasciarli alla logica del profitto. I servizi pubblici locali devono essere considerati beni comuni contro ogni logica di mercificazione e privatizzazione.
Il centrosinistra nel Lazio ha fatto tante di queste scelte.
Ma la scarsità delle risorse, ritardi culturali, pressione dei poteri costituiti non hanno consentito di farne una organica idea di sviluppo.
Questa idea di sviluppo, l’unica possibile per la Regione, presuppone un forte impegno di risorse pubbliche per consentire e indirizzare la mobilitazione delle risorse private. Questo è uno sviluppo che richiede e sollecita e il consolidamento di un vasto tessuto di imprese piccole e medie, contro la logica dei grandi interventi costruiti su misura degli interessi e delle imprese più forti.
Questa idea richiede una forte sollecitazione di risorse tecnologiche e intellettuali, su cui costruire un vero e proprio piano del lavoro nella regione, finalizzando a questo scopo le risorse europee.
Utilizzare tutte le forme di sostegno al reddito e alle imprese anche per aiutare la riconversione dell’economia, cessando ogni forma di aiuto alle imprese che de localizzano, licenziano o utilizzano lavoratori in nero.
Per avanzare solo alcuni esempi su cui può essere possibile una estrapolazione di dati di tendenza:
Intervenire sul risparmio e sul rinnovamento energetico degli edifici, a cominciare da quelli pubblici, può creare almeno 11.000 posti di lavoro.
Portare l’agricoltura biologica del Lazio all’obiettivo del 30% del settore agricolo può mettere in moto oltre 14.000 posti di lavoro.
Il 20% delle energie rinnovabili nel Lazio, possono produrre almeno 16.000 posti di lavoro.
Sostenere la manutenzione, la valorizzazione del territorio attraverso i suoi beni culturali e la crescita del turismo culturale e sostenibile si possono creare almeno 7.000 posti di lavoro.
Portare al 50% la raccolta differenziata entro il 2011 significa, nel Lazio, una crescita di migliaia di posti di lavoro.
Occorre aggiungere le possibili implicazioni occupazionali legate a possibili investimenti per riqualificare il territorio, estendere trasformare le coperture sociali e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, lo sviluppo dei settori direttamente legati alla produzione culturale e all’estensione dell’accesso alla rete.
L’importante è compiere scelte chiare, non disperdere le risorse, offrire alle imprese indicazioni di marcia univoche, facendo lavorare insieme tutti gli strumenti della Regione.
Offrire alla regione una identità produttiva e di sviluppo.
Di pari passo con le idee di un nuovo tipo si sviluppo economico e sociale deve andare la politica istituzionale.
Anche dalle regioni deve partire una controffensiva per contrastare la deriva plebiscitaria e populista che si vuole imporre a livello nazionale.
A Costituzione vigente, devono essere introdotte negli Statuti regionali tutte le correzioni necessarie per stabilire contrappesi reali alla logica presidenzialista del Governo regionale.
È assurdo, ad esempio, che si debba tornare a votare, in caso di impedimento per qualsiasi motivo del presidente. In questi casi è giusto che la regione possa continuare a funzionare.
Il presidente, anche se eletto direttamente non impersona tutta l’istituzione. Se esiste una maggioranza politica, che è stata legittimata dagli elettori, questa finchè c’è, deve poter governare.
La governabilità non si assicura riducendo la rappresentanza, non possono esserci contemporaneamente sbarramenti e premi di maggioranza, elezioni dirette e voti di fiducia.
Occorre restituire autonomia al consiglio. La sua esistenza non può essere messa nelle mani del presidente.
Occorre ,infine, là dove gli statuti non lo prevedono, inserire norme relative al conflitto di interesse, all’allargamento del concetto di cittadinanza che non può essere fondato solo sullo “ius soli” , a politiche dei diritti sociali e civili inclusive, al principio di laicità.
Queste sono alcune idee, certamente non esaustive, per aprire un confronto programmatico con i potenziali alleati di centro-sinistra, che non riduca tutto alla semplice selezione del candidato-presidente.
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