Montesquieu, una lettura suggerita al premier
Data di pubblicazione: 26.10.2009
Autore: Pirani, Mario
Un buon suggerimento. Andrebbe riivolto a molti: "despoti asiatici" ce ne sono in molte istituzioni, e in più partiti. La Repubblica, 26 ottobre 2009
Il fenomeno è circoscritto ma importante. Intendo parlare dell’emergere dall’interno della destra moderata di un filone di pensiero liberal democratico, implicitamente destinato a contrapporsi al populismo demagogico e autoritario, impersonato da Berlusconi. Sul piano politico questo filone è rappresentato da Gianfranco Fini e dalla fondazione FareFuturo, mentre sul terreno più specificamente culturale è identificabile nell’opera, pressoché solitaria, di Domenico Fisichella. Questo nucleo tiene alta la bandiera di un moderatismo democratico, purtroppo in Italia da sempre con scarso seguito. Del resto, anche oggi Fisichella appare come l’unico personaggio di alto prestigio accademico della Destra italiana. Non è poi senza significato che la sua uscita da An abbia coinciso con la battaglia perduta, da lui, però condotta strenuamente dagli scranni del Senato, per la salvaguardia dell’unità nazionale, deturpata in prima battuta dalla modifica del titolo V della Costituzione per sciagurata iniziativa della Sinistra ed affossata, poi, dall’asservimento di Forza Italia alla Lega.
Oggi Fisichella, che ha accompagnato quasi sempre le sue battaglie politiche con la pubblicazione di un’opera che ne illustrasse i presupposti dottrinari, ha pensato bene di rispondere alle devastazioni costituzionali immaginate da Berlusconi, riproponendo una lettura aggiornata di Montesquieu («Montesquieu e il governo moderato», ed. Carocci 2009) con particolare riguardo, quindi, alla separazione dei tre poteri istituzionali, il potere legislativo, quello esecutivo e, infine, il potere giudiziario. Per cogliere l’incidenza attuale di questo fondamentale paradigma, su cui si reggono le democrazie liberali, e che ebbe il suo massimo teorico in Montesquieu (1689-1755) e nella sua opera più importante, l’«Esprit des lois», è bene por mente all’assunto fondamentale, di Berlusconi, secondo cui in una democrazia tutto il potere discende dal voto popolare, e solo chi è «unto» dal suffragio ne detiene tutti gli attributi. Inoltre con una forzatura e, ad un tempo, con una falsificazione il nostro premier pretende di essere stato eletto direttamente dal popolo. Ne deriverebbe, a suo avviso, una «intoccabilità» che può essere revocata solo da un nuovo suffragio negativo.
Col che va molto al di là di una concezione presidenzialista dell’ordinamento, dato che nelle democrazie dove questo vige – vedi gli Stati Uniti – il Presidente non è affatto sottratto alla giurisdizione, come si è ben visto sia con Nixon (Watergate) e con Clinton (caso Monica Lewinsky). Per contro sottolinea, appunto, Montesquieu il sovrano che sfugge alla legge ricade nelle forme del «dispotismo asiatico» perché «l’inconveniente non è quando lo Stato passa da un governo moderato ad un altro governo moderato.... ma quando esso precipita dal governo moderato al dispotismo». Dispotismo, si badi, che è caratterizzato in primo luogo dalla sottomissione dei giudici al sovrano. Or bene, cosa altro significa ripetere a ogni piè sospinto, come accade a Berlusconi, che i magistrati, ricoprendo la loro funzione «solo perché hanno vinto un concorso», non possono pretendere ad un ruolo indipendente nei confronti di chi gode del suffragio universale? Probabilmente il nostro presidente del Consiglio non immagina neppure di richiamarsi a regimi che preesistevano, persino, alle monarchie moderate del XVII e XVIII secolo.
Eppure è così. Come bene illustra il libro di Fisichella i sovrani di Francia prima dell’Ottantanove esercitavano il potere nella «felice impossibilità» di ordinare ai magistrati di tenere comportamenti che potessero violare le leggi. Addirittura «Luigi XIV ordina ai suoi magistrati di disobbedirgli, sotto pena di disobbedienza, se mai avesse rivolto loro ordini contrari alla legge, così facendo il re vieta di obbedire all’uomo, poiché non ha nemico più grande di lui. In altri termini il re, nel suo ruolo di monarca, ha nelle sue passioni di uomo il suo nemico più grande». C’è di che meditare.
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