Il campo minato dei condoni
Data di pubblicazione: 19.11.2009
Autore: Boeri, Tito
La classe governativa e imprenditoriale sta costruendo un welfare “discrezionale” pericoloso economicamente e socialmente. Da la Repubblica, 19 novembre 2009 (m.p.g.)
Dopo cinque trimestri col segno meno abbiamo finalmente visto un segno più. Tecnicamente siamo fuori dalla recessione. Ma è un rimbalzo flebile e fragile.
Per consolidarlo abbiamo bisogno che riparta la domanda interna. Con 3 dollari che comprano 2 euro difficilmente sarà il consumatore americano, che per giunta farebbe bene a tirare la cinghia per ridurre il proprio indebitamento, a portarci fuori dalle secche. Gli italiani hanno fortemente aumentato la propensione al risparmio dall’inizio della crisi, destinando ai risparmi circa il 15 per cento del reddito disponibile. Per rilanciare i consumi si chiede in questi giorni a più voci di abbassare le tasse. Le richieste arrivano sommesse un po’ da tutte le innumerevoli rappresentanze di interesse che pullulano sul nostro territorio. Stranamente queste chiedono di abbassare le proprie di tasse e non quelle di chi potrebbe alimentare i consumi.
Si invocano, ad esempio, tagli all’Irap e all’Ires, più che riduzioni dell’Irpef. Ma anche chi è genuinamente convinto che il problema dei bassi consumi sia legato alle tasse evita accuratamente di porsi una domanda fondamentale: le tasse non c’erano già prima del calo dei consumi? E perché gli italiani hanno risparmiato di più durante la crisi? Non sarà forse perché quelli che possono permetterselo stanno accantonando risorse a scopo precauzionale, per proteggersi di fronte ai tanti rischi che la crisi ha posto loro di fronte? Con un futuro così incerto, si può capirli. È quello che farebbe ogni bravo capofamiglia.
Chi vuole davvero sostenere i consumi, anziché cercare una scusa per abbassare le proprie di tasse, dovrebbe perciò pensare prioritariamente ad offrire risposte a queste crescenti preoccupazioni delle famiglie, chiedendo al governo per quanto possibile di farsene carico. Ci sono una serie di rischi da cui solo lo Stato può proteggerci. Nessuna assicurazione privata, infatti, offre assicurazioni contro la disoccupazione. E la previdenza privata non ci tutela dal rischio di arrivare alla fine della vita lavorativa con risorse inadeguate per il nostro sostentamento perché abbiamo subito molte interruzioni della nostra vita lavorativa o perché non siamo più autosufficienti e abbiamo bisogno di continua assistenza. Quando non ci pensa lo Stato, ci deve perciò pensare l’individuo a tutelarsi da questi rischi, risparmiando anziché comprarsi una lavatrice o un’automobile. Essendo avverso al rischio finirà per risparmiare fin troppo. La stessa copertura potrebbe essere fornita da un’assicurazione collettiva, sottraendo ai consumi molto meno risorse.
La prima cosa da fare per sostenere i consumi è perciò ampliare la copertura delle assicurazioni sociali. Gli italiani devono essere certi di poter contare su di loro nel caso ne avessero bisogno. In questa crisi non abbiamo purtroppo esteso le assicurazioni sociali a chi ne aveva maggiore necessità (i lavoratori temporanei) e abbiamo reso meno sostenibili, dunque meno credibili, le assicurazioni già esistenti. Stiamo uscendone con meno assicurazione sociale di prima. Sono stati estesi i trattamenti di Cassa Integrazione, cosiddetti "in deroga", che non richiedono alcun contributo da parte di chi li ottiene. Per queste ragioni rischiano di diventare uno dei tanti strumenti temporanei che rimangono per sempre. Vuol dire scardinare l’assicurazione contro la disoccupazione che, per funzionare, ha bisogno di tanti contribuenti, imprese e lavoratori che versano i contributi e si proteggono insieme da un rischio che può riguardare chiunque. La scelta dei beneficiari dei trattamenti in deroga è poi discrezionale, dunque non si offrono certezze a chi ha paura di perdere il lavoro. Sono infine diversi da Regione a Regione, a seconda delle disponibilità. Nessuno può essere certo di riceverli nel caso perdesse l’impiego.
Non meno grave la situazione dell’assicurazione previdenza pubblica. La spesa è ulteriormente aumentata in rapporto al reddito generato nel nostro paese. Ormai un euro ogni tre raccolti fra tasse e contributi sociali serve a pagare le pensioni già in essere. Per ripianare i conti dell’Inps occorrono crescenti trasferimenti dalla fiscalità generale: più del 35 per cento del bilancio dell’ente quest’anno verrà dalla tassazione generale, anziché dai contributi dei lavoratori, erosi non solo dalla demografia, ma dal calo dell’occupazione. Tant’è che si parla di un imminente condono contributivo che servirebbe a fare affluire soldi alle casse dell’Inps. Sarebbe devastante per il sistema contributivo. Per convincerci che non lo si farà davvero, ormai non bastano più le rassicurazioni dei ministri. Sono state troppe volte smentite. Servirebbe un impegno cogente a non varare più condoni, magari scolpito sulla nostra Costituzione. In ogni caso, un sistema per un terzo coperto dalla fiscalità generale non è un’assicurazione. È un sistema che grava anche su chi sulla carta non dovrebbe pagare ed è chiaramente insostenibile. Talmente costoso da togliere risorse che servirebbero a coprire gli anziani dal rischio di non autosufficienza. Chi può allora dare torto agli italiani che decidono di assicurarsi da soli?
Rimane un mistero: perché molti sindacalisti ed illustri esponenti di Confindustria si ostinano a elogiare pubblicamente il nostro sistema di assicurazione sociale nonostante sia pieno di buchi, squilibrato e riduca i consumi che si vorrebbe tanto sostenere per uscire dalla crisi? Una risposta forse ce l’abbiamo, ma vorremmo tanto che non fosse quella giusta: non sarà forse perché questi trattamenti selettivi e discrezionali danno loro il potere di decidere a chi dare gli aiuti e a chi no? Per favore diteci che non è così.
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