IL TIRRENO
19/08/09
SCUOLA E DIALETTI
Creare una lingua intermedia, contro le esclusioni
PAOLA MENEGANTI
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Con un forte segno di polemica politica, la Lega Nord ha insistito perché si preveda, per i professori destinati ad insegnare, poniamo, in Piemonte piuttosto che in Abruzzo, un test che dimostri «il loro livello di conoscenza della storia, della cultura, delle tradizioni e della lingua della regione in cui vogliono andare ad insegnare».
La proposta è, lo si capisce, deliberatamente provocatoria: non mancano i consueti accenti razzisti («non è possibile che la maggior parte dei professori che insegna al nord sia meridionale»). Si tratta di bombe fatte di parole - che sono pericolose, attenzione - ma, ci piaccia o no, parole efficaci, che creano consenso; sparate che mettono in luce, ancora una volta, l’importanza della questione, tuttora irrisolta, dell’identità - che, lungi dall’essere un problema buono solo per intellettuali pedanti, sostanzia di sé la vita di tutte e di tutti. La complessità sempre maggiore del mondo e la mole di informazioni che circolano fanno crescere la voglia di radici certe e sicure.
Proviamo, però, ad affrontare il merito della questione. Beh, è sicuramente importante conoscere e valorizzare le tradizioni e la lingua locali. Anzi, è importantissimo. Consente di preservare la diversità, di sottrarsi all’omologazione, al modello “all inclusive”. Ma conoscere e valorizzare la storia e le tradizioni locali è uno strumento essenziale per capire quanto tutte e tutti noi siamo commisti, mescolati, quanto siamo intrecciati, amalgamati, spurii, debitrici e debitori a diverse radici.
La lingua, ogni lingua, quindi ogni dialetto presenta stratificazioni, contributi, contaminazioni. Così come le abitudini. Così come i volti, e i corpi. Il problema, quindi, non è conoscere le tradizioni locali, bensì conoscere e rispettare l’alterità, l’altro da sé; quindi, partire dalle tradizioni locali per conoscerne le radici multiculturali e multicolorate.
Ha detto Dario Fo, che è stato un geniale antesignano della riscoperta della lingua dialettale: «Io studio dialetti da quando sono nato e solo del lombardo ho contato circa cinquanta varianti, tra montagna e pianura... Sono stati alcuni poeti lombardi, come Matazone da Calignano a inventare una lingua intermedia composita».
Ecco il punto: creare una lingua intermedia composita. Una cultura, una forma di convivenza intermedia composita. Che si faccia un punto d’onore nell’essere compresa e condivisa da più persone possibile, senza nulla togliere all’infinita varietà delle matrici. Un possibile esempio è la storia della pecora di Mario Rigoni Stern, scrittore legatissimo al suo altipiano di Asiago ma capace di leggere e comprendere il mondo intero. Lui e suo figlio allevavano la pecora di razza Foza, particolare dell’altipiano: un’operazione naturalistico-culturale dell’Università di Padova l’ha salvata dall’estinzione.
È una vittoria della biodiversità, della tradizione locale, della valorizzazione della differenza: ma certo, Rigoni Stern non intendeva, con questo, stabilire l’esclusivo valore della pecora Foza a discapito, per dire, delle consorelle toscane o sarde.
Dobbiamo sempre ricordare che, nel gesto dell’escludere si annidano tanto male, indifferenza, rabbia, che hanno radici lontane e che radicheranno lontano.
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