lunedì 24 agosto 2009

Franco Astengo: terza via andata e ritorno

Dal sito di SD

Terza via andata e ritorno
di Franco Astengo
Dom, 23/08/2009 - 23:31
L'esigenza insopprimibile di ricostituire un soggetto politico rappresentativo della sinistra italiana, di quella che c'è e della sua tradizione storica che affonda le radici nei grandi partiti di massa del '900 e che non è stata ripresa da coloro che hanno tentato e stano tentando avventure diverse, necessita anche di punti di rifermento sul piano teorico e di obiettivi concreti da perseguire.
Il dibattito, almeno fino a questo punto, si è incentrato – senza eccessivi esiti, per la verità, date le responsabilità forti di un “ceto politico” che punta essenzialmente all'autoconservazione – su di una idea di metodo, richieste di congressi, volontà di espressione nella partecipazione dal basso.
Proviamo adesso ad alzare il tiro, cercando di guardarci intorno.
E' stato detto: la sinistra è in crisi in tutta Europa.
Da dove arriva questa crisi?
Rimaniamo convinti che le difficoltà più forti, per la sinistra italiana e per quella europea, nascono dall'errata risposta fornita ai fatti seguiti alla caduta del Muro di Berlino, alle rivoluzioni (più o meno, se pensiamo alla Romania) di “velluto” dell'Est, allo scioglimento dell'URSS.
Una risposta errata che ha colpito, più che in altre situazioni, la sinistra operante in Italia per via dei rapporti di forza, in allora ancora esistenti e che favorivano largamente il Partito Comunista, mentre il Partito Socialista aveva abbracciato la logica del potere, il decisionismo, la personalizzazione della politica, l'idea della riduzione nel rapporto tra politica e società attraverso il “taglio” della domanda sociale.
Non si comprese, come scrive oggi Stefano Bianchini nel suo “Le sfide della modernità”, il riecheggiare, nelle proposte di Gorbaciov, delle idee della Primavera di Praga, del tentativo di dimostrare come il socialismo fosse in grado di sostenere la modernità, di adattarsi alla sfida internazionale dell'interdipendenza e cioè della globalizzazione.
Siamo convinti anche noi che il disastro di Cernobyl, rimanga testimonianza emblematica della fragilità della situazione, probabilmente irrecuperabile, ma si dimostrò, anche in quel frangente così drammatico, la volontà di incentivare la partecipazione attiva alle istituzioni economiche e sociali, cambiando anche quelle politiche: per l'appunto quello che si era tentato di fare, in una breve stagione, nel'68 a Praga.
Si trattava di riconoscere la diversità degli interessi sociali e di inserirli in un processo di graduale democratizzazione.
Rimane la domanda: si era ormai in ritardo rispetto alle trasformazioni sociali in atto, alle resistenze di chi non voleva perdere potere e privilegi e alle obsolescenze tecnico-scientifiche?
Ovviamente con i se e con i ma non si costruisce la storia: l'esito di quella vicenda lo conosciamo benissimo.
Rimane il dato, incontrovertibile, che la sinistra europea, quella italiana innanzi tutto, non riuscirono a presentare un progetto politico in grado di comprendere la realtà, offrendo soluzioni: si trattò di una vera e propria “rotta”, una ritirata senza meta e senza fine (vale la pena di consultare il bel libro di Luca Telese, “Qualcuno era comunista”, uscito in questi giorni per Sperling e Kupfer), abbracciando la tesi del Fukuyama della “fine della storia”, e rifugiandosi nella “correzione” del liberismo selvaggio, attraverso idee assolutamente irrealistiche, come la “Terza Via” di Giddens che ha portato alla fine il Labour al minimo storico, il “Nuovo Ulivo Mondiale”che bombardava la Serbia, lo “sblocco del sistema politico”che in Italia ha portato dritto, dritto, ad un regime populistico – televisivo che Giovanni Sartori ha brillantemente definito “sultanato”.
Eppure la risposta possibile c'era, verificando con grande attenzione molto della produzione teorica della sinistra europea e della sinistra italiana: vado soltanto per titoli, limitandomi alla tradizione socialdemocratica dell'intervento pubblico in economia, dello stato sociale, della centralità di una produzione industriale ad alta densità tecnologica, all'attenzione all'ambiente, ad un progetto di democratizzazione dell'Unione Europea che non fa più passi avanti almeno dalla prima elezione diretta del Parlamento nel 1979, e riferendomi anche all'idea di “Terza Via” elaborata dalla sinistra comunista italiana (in questo “Terza Via” andata e ritorno: dal viaggio verso quella disastrosa di Giddens, al ritorno verso quella di Ingrao e Rossanda delle “conversazioni di fine secolo”) incentrata soprattutto su di un diverso rapporto tra masse e potere.
Senza considerare, in quel momento storico, quanto si era realizzato sul terreno della modifica dei rapporti sociali, del costume, della capacità di integrazione tra soggetti diversi.
Tutto è stato messo da parte, per far posto alle logiche di un liberismo che si è dimostrato, come da pronostico, senza speranza e senza futuro.
Oggi, quel ciclo appare concludersi, anche se le difficoltà non mancano (come dimostrano abbondantemente i primi passi della nuova amministrazione americana, che non paiono proprio delineare una “nuova frontiera”).
Dall'Europa può partire una diversa risposta, a livello unitario ed anche a livello delle forze politiche di ogni singolo stato, in un momento in cui la crisi delinea scenari, non soltanto di ritorno all'intervento statale con richiami- anche impropri – al keynesismo, ma anche di recupero di ruolo da parte del soggetto “Stato-Nazione”.
Segniamo punti di arretramento pauroso, nel rapporto tra pubblico e privato, nella vita quotidiana e nella politica: la questione di genere, così prepotentemente venuta fuori nelle cronache italiane di questi mesi appare paradigmatica, assieme al tema della personalizzazione della politica, in nome della quale abbiamo sacrificato, vogliamo ricordarlo ancora, la realtà dei grandi partiti di massa.
Dunque: in questo quadro, con i riferimenti che molto faticosamente abbiamo cercato di accennare, un nuovo partito della sinistra italiana.
Un nuovo partito che deve dotarsi di un obiettivo ben preciso: che non riguarda il mantenimento di piccole fette di potere ( fa impressione leggere, nel documento di Sinistra e Libertà, al primo punto il tema della presentazione alle elezioni regionali: boh! Che reale importanza ricoprono queste elezioni, di semplice spartizione del potere se intese come fin qui è stato fatto ad esempio da Rifondazione Comunista nel 2005 com'è nell'esempio della Liguria, nel momento in cui va portato avanti uno sforzo di grande portata?).
L'obiettivo deve essere quello del rientro in Parlamento della sinistra italiana: ma un rientro che non significhi semplicemente il superamento dell'ostacolo tecnico dello sbarramento al 4%, ma un rientro che significhi ripresa di presenza, di incisività, di radicamento.
Dovrà essere un partito a rientrare in Parlamento: con tutto ciò che questo significa, eliminando nella fase di costruzione, personalismi, leaderismi, assessorati vari, più o meno chiacchierati.
Come muoverci, allora, nel quadro politico italiano di oggi?
L'intervista di De Rita, rilasciata il giorno di Ferragosto al “Corriere della Sera” indica l'avvio di una fase di superamento del regime in atto: vi si parla di “sfarinamento” e di possibile implosione in divenire ( e basta analizzare i movimenti del Presidente della Camera per comprendere al meglio, queste affermazioni: parodiando, ci vorrà un 25 Luglio, non arriverà certo il 25 Aprile dell'alternativa).
Così come appare evidente la crisi del bipartitismo, mentre regge una anomalia di tensione “bipolare”, che non trova però corrispondenza, almeno per adesso, nei processi in atto.
Naturalmente non parliamo di domani, ma il traguardo va fissato alla fine della legislatura.
Apparirà necessaria una soluzione di transizione, che può trovarsi di fronte un fatto nuovo: quello della assunzione di centralità del tema dell'unità nazionale; della riduzione, cioè, della contraddizione Nord/Sud (riedizione aggiornata della contraddizione Centro/Periferia analizzata da Rokkan) ed emblematizzata dalla nascita di un Partito del Sud da contrapporre alla Lega Nord (tutto questo in un Paese dove larghe fette dell'economia sono in mano a soggetti illegali: ed è proprio per questo che il tema dell'unità nazionale potrebbe presentarsi come centrale).
Quale soluzione, allora, alla crisi del regime e al presentarsi del tema della disunità d'Italia?
Il “Corriere della Sera” sostiene, da tempo, una linea precisa che è anche quella che divide il PD (attorno al tema, occulto ma non troppo, come è stato fatto notare da osservatori ben più autorevoli di noi; della legge elettorale): la linea che chiameremmo del “taglio delle ali”, con la sconfitta della Lega Nord, l'emarginazione di Di Pietro, la riduzione all'impotenza del “ridotto della Valtellina” dell'attuale Presidente del Consiglio (si sono notate, ovviamente, le prese di distanza del Ministro dell'Economia sul terreno – proprio – del liberismo, e le posizioni della Banca d'Italia) e la formazione di un concerto di solidarietà nazionale poggiante su tre pilastri: AN, UDC, PD, sul modello tedesco (che potrebbe anche essere adottato sul piano elettorale).
Non crediamo di dilettarci di fantapolitica: tutto questo sarà all'ordine del giorno in un futuro nemmeno troppo lontano: la sinistra è chiamata, da subito, a ricostituirsi in partito (cercando anche un colloquio con Rifondazione Comunista, nel tentativo di tracciare una analisi comune), progettare un “programma comune della sinistra”, partendo dall'idea di una “terza via” davvero possibile posta al di là del liberismo sfrenato e dal puro e semplice tentativo di mitigarlo, trovarsi preparata ad un possibile avvio del meccanismo di scomposizione/ricomposizione della sinistra italiana.
Non serve in questo momento la ricostituzione di un nuovo centro-sinistra: serve l'affermazione, autonoma e importante, di una “nuova sinistra” alternativa che, per questa via, ritrovi la capacità di essere presente al più alto livello istituzionale, ricostituisca un radicamento sociale alla propria organizzazione politica, offra una idea di futuro alle generazioni che verranno.

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