Da L'Unione sarda, 10 agosto 2009
Gobetti, il ragazzo che spaventò Mussolini
“Piero Gobetti è ormai una divisa, un programma di vita. Sono certo che tra dieci, vent’anni, quando ciò che ci opprime e ci umilia sarà crollato egli sarà ricordato come uno dei più nobili ed efficaci precursori”. È questo uno dei passi più belli della lettera di cordoglio inviata da Carlo Rosselli, destinato ad essere barbaramente assassinato in Francia insieme al fratello Nello da sicari fascisti undici anni dopo, ad Ada Gobetti in occasione della scomparsa del marito Piero, avvenuta il 15 febbraio 1926 a Parigi dove si era rifugiato minato dalle continue aggressioni dei fascisti direttamente ispirati da Mussolini. La missiva dell’autore di “Socialismo Liberale” è ora contenuta nel volume “L’autunno delle libertà. Lettere ad Ada in morte di Piero Gobetti” (Bollati Boringhieri, pp. 306, € 17,00) ottimamente curato da Bartolo Gariglio, docente di storia contemporanea all’Università di Torino e autore di fondamentali studi sui rapporti tra il fondatore de “La Rivoluzione Liberale” e il mondo cattolico.
Lettere, telegrammi e messaggi di cordoglio che testimoniano l’affetto e la riconoscenza verso un giovane di appena venticinque anni che in poco tempo aveva segnato, grazie al suo temperamento e alla sua curiosità intellettuale, il panoramico culturale dell’antifascismo italiano, tanto che Norberto Bobbio si chiese anni fa se nella storia contemporanea italiana vi fossero stati altri esempi di personalità capaci di esprimere in così poco tempo una tale mole di produzione intellettuale politica e culturale. A scrivere alla vedova sono ammiratori comuni ma soprattutto il gotha della cultura italiana di allora: da Croce a Salvemini, da Sraffa a Tasca, da Einaudi a Prezzolini, sino a Sapegno e Sturzo. Colpisce, in particolare, la missiva di Balbino Giuliano, che di Piero era stato professore ma che aveva aderito al fascismo all’interno del quale avrebbe poi ricoperto importanti incarichi politici. Personalità che avevano seguito l’attività del giovane intellettuale torinese, e in particolare la sua rivista più importante, “La Rivoluzione Liberale”, dalle cui pagine si erano levate alcune delle più incisive prese di posizione contro il fascismo, anche se l’obiettivo del periodico non si ridusse mai ad una mera partecipazione alla battaglia politica di opposizione tentando, piuttosto, di diventare un canale di progresso pedagogico in vista della maturazione del vissuto collettivo nazionale soffocato da arretratezze secolari. Bellissime sono poi le lettere dove, con una sensibilità e una vicinanza tutta femminile, Sibilla Aleramo o la moglie di Nitti si rivolgono direttamente ad Ada facendo emergere con ancora più forza la compartecipazione al dolore di una giovanissima sposa e madre che si era vista cancellare da Mussolini la possibilità di costruire la propria esistenza al fianco del grande amore della sua vita, con il quale aveva costruito un sodalizio di passione totale culminata con la nascita del figlio Paolo.
Una giovinezza troncata dalla dittatura, quella di Gobetti, “più che una promessa”, come l’avrebbe definita Camillo Bellieni nel suo messaggio di cordoglio, capace di lasciare una testimonianza destinata a durare nel tempo per quel suo orgoglio nel caricare su di sé parte del peso dell’opposizione ad un totalitarismo che stava cancellando le libertà degli italiani sotto la coltre del conformismo verso il capo assoluto.
Grazie a questo epistolario la figura di Gobetti, dopo più di ottant’anni dalla morte, emerge insomma in tutta la sua forza nel testimoniare la lezione di come sia possibile opporsi ad un potere dispotico non cedendo ai compromessi e facendosi guidare dalla luce della libertà e della coerenza delle proprie idee. Perché senza di esse, per Gobetti, una nazione si piega senza resistere alla logica dell’uomo solo al comando perdendo la propria innocenza e precipitando nel baratro della dissoluzione morale.
Gianluca Scroccu
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