venerdì 21 agosto 2009

Kevin Rudd: Di fronte alla crisi mondiale tre sfide per la socialdemocrazia

La storia dell’umanità è a volte attraversata da avvenimenti percepiti come dei veri cataclismi, quando un’ortodossia viene rovesciata e poi sostituita da un’altra. Oggi, l’ampiezza della crisi finanziaria mondiale esige che noi riconsideriamo la filosofia e la politica economica che ci hanno condotto fin qui. George Soros ha dichiarato che “l’aspetto fondamentale della crisi finanziaria attuale é che essa non proviene da uno shock esterno, ma é stata generata dal sistema stesso”. George Soros ha ragione. La crisi attuale è il punto culminante di trent’anni di politica economica dominata dall’ideologia del libero mercato, a volta a volta chiamata neoliberalismo, liberalismo economico o fondamentalismo economico. L’idea di base di questa ideologia è che l’attività del governo dovrebbe essere limitata, per essere alla fine sostituita dalle forze del mercato. Nel corso dell’anno passato, abbiamo potuto constatare che le forze del mercato non controllate avevano condotto il capitalismo sull’orlo del precipizio. Invece di distribuire i rischi attraverso il mondo, il sistema finanziario mondiale li ha intensificati. L’ortodossia neoliberale sosteneva che i mercati finanziari mondiali avrebbero finito per autocorreggersi, che la mano invisibile che guida le forze del mercato lasciate a se stesse sarebbe stata eventualmente in procinto di aiutarle a trovare il loro equilibrio. Tuttavia, come ha osservato l’economista Joseph Stiglitz con tono piuttosto caustico: “La ragione per cui abbiamo l’impressione che questa mano invisibile è così spesso invisibile, è che essa non esiste.” Franklin Delano Roosevelt ha dovuto ricostruire il capitalismo americano dopo la Grande Depressione. I democratici americani, fortemente influenzati da John Maynard Keynes, hanno dovuto ripristinare la domanda interna dopo la guerra, e concepire il piano Marshall, per ricostruire l’Europa e mettere in funzione il sistema di Bretton Woods per gestire gli impegni economici internazionali. Spetta ormai a una nuova generazione riflettere e prendere l’iniziativa della ricostruzione dei sistemi economici nazionali e internazionali. Se i governi progressisti vogliono salvare il capitalismo, devono affrontare tre scommesse. La prima è di passare attraverso l’intermediazione dello Stato per ricostituire mercati ben regolati e ripristinare la domanda interna e mondiale. Con la fine del neoliberalismo, è stato riconosciuto una volta di più che lo Stato ha un ruolo fondamentale quando si è trattato di rispondere a tre elementi ben definiti riguardanti la crisi attuale: ha, infatti, evitato al sistema finanziario privato di crollare, ha dato un impulso diretto all’economia reale in ragione del crollo della domanda privata, ed ha definito un regime regolamentare, allo stesso tempo nazionale e mondiale, in cui il governo ha la responsabilità suprema di fissare e imporre le regole del sistema. La seconda scommessa, di fronte a cui si trovano i socialdemocratici, è di non buttare il bambino con l’acqua sporca. Mentre la crisi finanziaria mondiale persiste, e le famiglie in tutto il mondo subiscono il suo pesante impatto sul mercato del lavoro, sarà difficile resistere alle pressioni per un ritorno a un modello di Stato - provvidenza e non abbandonare interamente la causa dei mercati aperti e competitivi all’interno del paese, come all’estero. Abbiamo già risentito dei primi segni del protezionismo, benché sotto una forma più moderata e meno radicale della legge Smooth-Hawley del 1930 sulle tariffe doganali . Che sia moderato o profondo, il protezionismo è il modo infallibile per trasformare la recessione in depressione, perché aggrava il crollo della domanda mondiale. La socialdemocrazia sostiene ancora la filosofia che consiste nel credere che la legittimità del potere politico passa attraverso la sua capacità di bilanciare il privato e il pubblico, i profitti e i salari, i mercati e lo Stato. Questa filosofia mostra bene, e con forza, quali sono le scommesse della nostra epoca. L’altra scommessa di fronte a cui i governi sono posti, nel quadro della gestione della crisi attuale, è la sua dimensione senza precedenti su scala mondiale. I governi devono definire regole finanziarie sul piano mondiale, allo scopo di evitare d’arrivare a una situazione in cui i capitali fuggano verso le regioni dell’economia mondiale che hanno le regole più deboli. Noi dobbiamo mettere in opera norme mondiali più solide in materia di trasparenza per le istituzioni finanziarie d’importanza sistemica. Noi dobbiamo ugualmente costruire ambiti di sorveglianza più forti, allo scopo d’incoraggiare le imprese ad adottare un comportamento più responsabile, compreso il livello della remunerazione dei dirigenti. Il mondo si è volto verso un’azione governativa coordinata attraverso il G20: per mettere liquidità a disposizione immediata del sistema finanziario mondiale, per coordinare un rilancio fiscale sufficiente a permettere di rispondere all’interruzione della crescita dovuta alla recessione mondiale, per ridefinire le norme dell’ ordine mondiale per l’avvenire, per riformare le istituzioni pubbliche esistenti nel mondo, specialmente il FMI, e per dar loro l’autorità e le risorse necessarie per rispondere alle esigenze del XXI secolo. I dispositivi di “governance” del Fondo Monetario Internazionale (FMI) devono essere riformati. E’ ragionevole ammettere che se noi ci attendiamo che economie in rapido sviluppo, come la Cina, contribuiscano più largamente a istituzioni multilaterali come il FMI, bisogna parimenti che esse acquisiscano più peso nelle decisioni prese nel seno di questi “forum”.
La scommessa a più lungo termine per i governi sarà studiare la questione degli squilibri che hanno contribuito a destabilizzare l’economia mondiale nel corso dell’ultimo decennio, specialmente al livello degli squilibri tra le economie a forte eccedenza commerciale come la Cina, il Giappone e i paesi esportatori di petrolio, e le nazioni fortemente indebitate come gli Stati Uniti. L’ampiezza di questa crisi e il suo impatto nel mondo significano che non basterà cambiare leggermente le ortodossie stabilite da molto tempo. Due verità inconfutabili fin d’ora sono state dimostrate: che i mercati finanziari non si correggono o non si regolano da se stessi e che un governo (sul piano nazionale o locale) non può mai rinunciare alla responsabilità di mantenere la stabilità economica. Per i governi, è cruciale non sbagliare, non solo per impedire che il sistema di mercato aperto si autodistrugga, ma anche per ristabilire la fiducia verso mercati ben regolamentati, per evitare che sorgano vive reazioni da parte dell’estrema sinistra o dell’estrema destra. I governi non hanno il diritto all’errore, poiché le scommesse sono troppo grandi: ci sono innanzitutto i costi economici e sociali legati alla disoccupazione a lungo termine, la povertà che getta di nuovo un’ombra sul mondo in via di sviluppo, e l’impatto a lungo termine sull’ordine strategico e politico internazionale attuale. Noi non abbiamo altra scelta che quella di farcela. Troppi elementi si basano sulla nostra capacità di avere la meglio.

Kevin RUDD
Primo Ministro dell'Australia e leader dell'Australian Labor Party


da “Le Monde” – 11 marzo 2009


(traduzione di Nicolino Corrado)

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