Sinistra italiana e sinistra islandese o l'ultima Thule
di Felice Besostri
Ai dirigenti della sinistra italiana in crisi politica ed esistenziale suggerirei di compiere un viaggio in Islanda piuttosto che meditare di ritirarsi in Africa.
In fin dei conti è un esempio europeo di decolonizzazione, perché quando il 17 giugno 1944 dichiarò l'indipendenza dalla Danimarca, allora ancora occupata dai nazisti, quasi tutta l'America Latina, ad eccezione delle Guayane e di alcune isole caraibiche, si era liberata da più di un secolo dal colonialismo europeo.
Nel 1949 entrò a far parte della NATO e la base di Keflavik è stata una importante base militare statunitense per tutto il periodo della Guerra Fredda (mai espressione più appropriata vista la latitudine). In relazione al paese ed alla sua popolazione, anzi, il peso della base è stato superiore a tutte le basi USA in Italia: si è giunti a 40.000 soldati, cioè un numero superiore a quello della popolazione maschile adulta dei nativi.
L'Islanda è stata caratterizzata, come l'Italia, da una sinistra fortemente anti-americana e con la fazione filo-sovietica maggioritaria rispetto a quella socialdemocratica, un privilegio condiviso nell'Europa occidentale soltanto con Cipro. Nel terzetto l'Italia conserva, tuttavia, una particolarità: è l'unico paese nel quale la sinistra con un proprio partito e leader ed un proprio programma non abbia mai conquistato democraticamente il potere: i 2 governi di D'Alema e quello Amato non contano, perché alle elezioni si presentò una coalizione di centro-sinistra con un leader, Prodi, gradito alla sinistra, ma non sua espressione.
Prodi era personalmente convinto che con il crollo del muro di Berlino non ci fosse più un avvenire in Europa non soltanto per il comunismo, ma anche per la socialdemocrazia ed è stato di una coerenza esemplare: basta aver occhio alle sue azioni in sede europea per la formazione di un gruppo fuori dalle grandi famiglie politiche europee ed all'impronta data al progetto del PD.
Fino al 1998 le due sinistre islandesi sono sempre state contrapposte. I socialdemocratici sono stati alla guida del governo sempre per brevi periodi: 1947-1949, 1958-1959 e 1979-1980.
I comunisti di Alleanza popolare sono pure stati al governo, ma mai con i socialdemocratici e precisamente negli anni 1971-1974 e 1978-1979. Con coalizioni comprendenti il Partito Progressista e l'Unione dei Liberali e della Sinistra: entrambe le esperienze si sono conclusew prima del termine naturale della legislatura. Le coalizioni più durature sono state quelle dei socialdemocratici con il Partito dell'Indipendenza dal 1959 al 1971 e ancora dal 1991 al 1995, nonché degli indipendentisti con il Partito Progressista, un partito agrario-conservatore a dispetto del nome, dal 1995 fino alla sconfitta del 2009.
Un sistema elettorale proporzionale rendeva obbligatorie coalizioni pluripartitiche, una caratteristica analoga all'Italia, mai abbandonata a favore di sistemi misti, tendenzialmente maggioritari e bipolari.
Il Partito dell'Indipendenza è stato la forza centrale e dominante del sistema politico islandese, con un ruolo paragonabile a quello della Democrazia Cristiana italiana, come si può vedere dai risultati elettorali del periodo 1995-2007 oscillanti tra il 33,7% del 2003 ed il 40,7% del 1999, quindi in grado di scegliersi gli alleati per raggiungere la maggioranza dell'Althing (Parlamento) di 63 membri. Accanto ai 4 partiti tradizionali, cioè Partito dell'Indipendenza, Partito Progressista, Partito Socialdemocratico ed Alleanza Popolare (comunisti), compaiono e scompaiono da un'elezione all'altra sempre nuove formazioni politiche.
Dal 1983 al 1995 si è presentata una lista composta di sole donne con una percentuale minima del 4,9% e 3 seggi nel 1995 e massima del 10,1% e 6 seggi nel 1987.
Il Partito Liberale si è presentato nel 1999 ottenendo un 4,2% e 3 seggi ed una percentuale superiore al 7% nelle due successive elezioni del 2003 e del 2007, per scomparire dal Parlamento nel 2009, dove invece si è affermato un Movimento dei Cittadini con il 7,2% e 4 seggi, cioè la stessa forza dei liberali.
Interessante per il nostro raffronto tra Italia ed Islanda è la storia dei rapporti tra il Partito Socialdemocratico, fondato appena nel 1916 ed i comunisti. Parlando di un partito comunista islandese, si può essere fuorviati dai nomi. Il Partito Comunista propriamente detto si presentò per l'ultima volta alle elezioni nel 1937. Venne sostituito alle elezioni successive dal Partito di Unità Socialista (Alþidusosialistaflokkurin), per poi divenire nel 1956 Alleanza Popolare (Alþidubandalag). Questi cambiamenti si ebbero in occasione di vicende politiche maggiori, come quella del 1956 in occasione dell'ingresso nel partito di "socialdemocratici di sinistra", ma non cambiarono mai la sostanza delle cose. Nonostante i cambiamenti di nome c'è unanimità di vedute fra i politologi nel considerare il partito come schiettamente filosovietico. L'apertura degli archivi ex-sovietici ha addirittura permesso di stabile con certezza l'entità dei finanziamenti elargiti dall'Unione Sovietica. Certo ridotti e discontinui, questi pagamenti lasciano ben pochi dubbi, così come la formazione nella Repubblica Democratica Tedesca di giovani dirigenti con il controllo della Stasi ..
L'estrema sinistra islandese fu, in termini relativi, fra i partiti comunisti più forti d'Europa, sfiorando in diverse occasioni il 20% dei consensi (addirittura il 22,9% nel 1978) e, ancor più, come già detto sopra, sorprendentemente, diventando partito di governo nella stagione '71-'74 e nel '78-'79. Questo successo fu dovuto anche alla possibilità del partito di attirare, con il proprio antiamericanismo, larghe frange di elettorato neutralista ed antimilitarista, che pur non riconoscendosi nell'ideologia comunista era scontento della condotta dei socialdemocratici.
Nelle 11 elezioni parlamentari che hanno preceduto quelle della svolta nel 1999, a partire dalle elezioni del 1959, l'Alleanza Popolare (comunisti) ha ottenuto per 9 volte un risultato migliore dei socialdemocratici e con meno variazioni,cioè da un 14,3% del 1995 al 22,9% del 1978, anno nel quale anche i socialdemocratici ottennero il loro miglior risultato con il 22%, in un clima di forte contrapposizione tra i due partiti della sinistra.
Nello stesso arco di tempo il Partito Socialdemocrati superò di poco AP soltanto nel 1987 (15,2% v. 13,3%) e nel 1991 (15,5% v. 14,4%) e soffrì di perdite a favore di nuovi partiti della sinistra, nati da dissensi interni, come l’Unione dei Liberali e della Sinistra che nel 1971 ottenne lo 8,9% in buona parte a spese del PSD, che con il 10,5% ottenne il secondo peggior risultato nella arco di tempoo considerato. Nel 1974 il PSD ottenne il suo peggior risultato con il 9,1%, la metà di Allenza Popolare.
Nelle elezioni del 1978 ottenne, invece, il suo miglior risultato con il 22%, presto ridotto nel 1983 allo 11,7% avendo pagato lo scotto alla Allenza Socialista, che ottenne un notevole 7,3%.
La riflessione a sinistra cominciò con il deludente risultato delle elezioni del 1995, dopo 4 anni di governo dei socialdemocratici con gli indipendentisti e la constatazione che le perdite socialdemocratiche non andavano a favore dei comunisti.
La sinistra era scesa complessivamente al 25,7% ed il nuovo si esprimeva piuttosto in nuove formazioni, come l'Alleanza delle Donne o formazioni civiche ed ecologiste.
La svolta avvenne nel 1998 quando il Partito Socialdemicratico, Alleanza Popolare, la Lista delleDonne ed il Movimento Islandese Vivere il Paese si unificarono nella Alleanza Socialista Democratica, che ebbe la sua prima prova elettorale nel 1999. L'Allenza Socialista Democratica scelse in modo netto il proprio campo aderendo all'Internazionale Socialista ed associandosi al PSE.
L'unificazione non fu indolore, parlamentari ed iscritti di Alleanza Popolare e della Lista delle Donne, insieme con i Verdi, diedero vita ad una nuova formazione di sinistra il Movimento Sinistra Verdi. La competizione tra le due formazioni sostituì quella tra socialdemocratici e comunisti: nel complesso una competizione virtuosa, in quanto tutta a spese dell'elettorato centrista e moderato e con la conquista dell'elettorato giovanile e femminile.
Nello stesso periodo in Italia la ricomposizione della sinistra con l'Ulivo e gli Stati Generali della Sinistra del 1998 ebbero sviluppi diversi: l'Ulivo non si trasformò in una formazione politica ed i DS non seppero trasformarsi in una formazione del socialismo europeo malgrado le dichiarazioni di intenzione di procedere in quella direzione.
Nelle prime elezioni il consenso elettorale dell'Alleanza Socialista Democratica non fu strepitoso, rispetto alla somma di PSD, AP, Lista delle Donne e Movimento Islandese, cioè uno scarso 26,8% rispetto al 37,8% del 1995, ma appunto vi era stata la formazione di un altro partito di sinistra, che ottenne un 9,1%, cioè un totale per la sinistra del 35,9%.
Nelle successive elezioni del 2003 l'Alleanza Socialista Democratica è progredita passando al 31% in parte a spese del Movimento Verdi Sinistra, che scese al 8,8%, ma con un complessivo rafforzamento della sinistra ora al 39,9% dei voti.
Nel 2007 il travaso a sinistra è stato di segno diverso con l'Alleanza Socialista Democratica ritornata all'iniziale 26,8% dei voti ed il Movimento Sinistra Verdi balzato al 14,3%, cioè alla consistenza di AP del 1995: ora la sinistra era al 41,1%.
Nel 2009, elezioni anticipate,in seguito alla crisi finanziaria mondiale, che ha colpito in modo particolare l'Islanda, e le conseguenti dimissioni del primo ministro Geir Hilmar Haarde, del Partito Indipendentista, la Sigurðardóttir è diventata primo ministro, confermata dal voto popolare che, alle elezioni dell'aprile 2009, ha consegnato il governo alla coalizione tra l'Alleanza socialdemocratica e il Movimento Sinistra Verdi, grazie al forte consenso popolare del 29.8% all'Allenza Socialista Democratica ed un non meno spettacolare 21,7% del Movimento Sinistra Verdi: la sinistra ha superato per la prima volta nella storia islandese il 51%.
Al successo della sinistra ha sicuramente contribuito la personalità dei leader dei due partiti.Dopo Ingibjörg Sólrún Gísladóttir, già sindaco di Reykjavík e Ministro degli Esteri, la leader del partito è diventata Jóhanna Sigurðardóttir, conquistando il 98% dei voti al congresso del partito il 28 marzo 2009, cioè due donne e Steingrímur J. Sigfússon per il Movimento Sinistra Verdi.
Il rovesciamento politico è stato spettacolare e rappresenta un unicum nel panorama europeo: la crisi del modello liberista e della iperfinanziarizzazione dell'economia, cause della crisi planetaria è stata punita dall'elettorato e portato la sinistra alla vittoria. I governi di centro-destra (Partito dell'Indipendeza + Partito Progressista) erano fieri del successo della loro politica: l'Islanda era ascesa al 6° per reddito procapite. Il fallimento delle banche gravemente esposte agli effetti dei titoli tossici era scoppiato all'improvviso e condotto alla loro nazionalizzazione,
Il Partito dell'Indipendenza, che nel 2007 aveva il 36,6% dei voti, ne ottenne solo il 23,7% nel 2009, con una perdita seccca di più di un terzo. Alle elezioni si è presentato un governo provvisorio, già formato da Alleanza Socialista Democratica e Movimento Sinistra Verdi, benché non avessero la maggioranza in Parlamento, ma la rivolta dell'opinione poubblica era talmente forte, che la destra ha dovuto lasciare il potere.
La sinistra, nelle sue due articolazioni, è stata capace di assumersi la responsabilità di governare insieme ed anche per questo è stata premiata dalle urne.
Se ripercorriamo le vicende italiane nello stesso periodo, dobbiamo constatare che la strategia della sinistra non è stata pagante e per buone ragioni.
Il tentativo di ricomposizione politica del centro-sinistra è sfociato nel PD, un ircocervo, che programmaticamente si è posto fuori dalla sinistra europea, per trovare a fatica ed in ritardo un accordo pasticciato (e posticcio) con il PSE al solo livello parlamentare. Le varie anime della sinistra hanno dato prova di non essere capaci di governare insieme, tanto che il PD ha operato per eliminare ogni formazione di sinistra, e non solo quella radicale, dal Parlamento e per raggiungere tale fine a ricorrere all'uso strumentale della legge elettorale ed all'elevazione delle soglie di accesso per le passate elezioni europee e per le prossime regionali. L'accanimento è tale, che vuole distruggere la sinistra con lo strangolamento finanziario, escludendola, caso unico in Europa, dal rimborso delle spese per le campagne elettorali. D'altro canto la sinistra, sia quella riformista, che radicale, non ha dato segni di rinnovamento effettivo e il tragico risultato di socialisti e Sinistra Arcobaleno alle elezioni del 2008 ne sono stati la giusta sanzione elettorale e quelli europei di Sinistra e Libertà e dei Comunisti Uniti, sia pur migliori, l'epilogo, se non interviene un deciso cambiamento del modo di far politica e di costruire i gruppi dirigenti.
Si parva licet componere magnis il caso islandese dovrebbe attirare l'attenzione, pur tenendo conto che si tratta di un paese con poco più di 300.000 abitanti rispetto ai 60 milioni di italiani e con una partecipazione elettorale sempre superiore allo 80%. In Islanda la disaffezione della sinistra non si è mai tradotta mai in astensionismo, ma in reciproci travasi di voti e nella costituzione di nuove formazioni a sinistra, capaci di includere ecologismo e femminismo, nonché nella capacità di rinnovare la leadership sulla base di chiare opzioni politiche.
Soprattutto bisogna tenerconto dell'obiezione maggiore: cosa potrà mai insegnare un popolo di pescatori di merluzzi ad uno di poeti, santi, navigatori ed eroi? L'Islanda non corre il rischio di diventare l'ultima Thule di una smarrita sinistra italiana: se ci fosse bisogno di miti c'è, a portata di mano, il socialismo bolivariano.
Milano, 10 agosto 2009
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