Dal sito di SD
Neanche Sinistra e Libertà vuole giocare a perdere nelle regioni del nord
di Monica Cerutti
Mer, 26/08/2009 - 10:07
Dopo che la questione meridionale ha monopolizzato l’attenzione mediatica, facendo balenare la possibilità di giungere a una lobby o a un partito del Sud, all’interno del centrodestra o trasversale, la Lega ha alzato il tiro con una serie di provocazioni, dai dialetti nelle scuole alle fiction regionali, passando attraverso le gabbie salariali.
Uno dei suoi obiettivi è mantenere vivo quel malcontento diffuso che la stessa Lega alimenta in modo fittizio, facendo sentire il bisogno di ribadire la propria identità di fronte al presunto nemico, rappresentato di volta in volta dagli immigrati o dagli abitanti del sud Italia.
Ma la vera posta in palio è la definizione dei candidati alle presidenze delle regioni del nord, in particolare il Veneto e la Lombardia, e in subordine il Piemonte. La Lega non ci sta a non avere nessuno dei candidati alla presidenza, dato il consenso che sta man mano consolidando.
Dal canto suo, il PdL sembra non avere una chiara strategia, dovendo rincorrere le intemperanze del proprio premier e giocare sempre di rimessa rispetto alle uscite leghiste.
Così in Lombardia si è posta la questione del limite al numero di candidature consecutive alla presidenza, estromettendo di fatto Formigoni, e nel Veneto è iniziato un fuoco di fila leghista che ha come bersaglio il presidente Galan. Tanto che nelle altre forze politiche è partita una sorta di gara a “salviamo il soldato Galan”, nel centrodestra come nel centrosinistra.
Il segretario regionale dell’Udc veneta, Antonio De Poli, ha lanciato a Galan a metà agosto un appello perché non cada scacco della Lega Nord e si metta a capo di una coalizione che raggruppi tutte le forze moderate venete, dal Pdl all'Udc, dai “moderati” del Pd a liste civiche. Auspica “un nuovo laboratorio che salvaguardi le peculiarità venete e che non sia una finta scatola vuota come ha dimostrato di essere la Lega, che si preoccupa più di avere fiction in dialetto che di togliere dal patto di stabilità i nostri comuni”.
E questa sollecitazione non cade nel vuoto, ma viene accolta da Piero Fassino che afferma che per vincere in regioni come la Lombardia e il Veneto non basta riproporre il centrosinistra classico, e, pur escludendo in modo esplicito un’alleanza fra Pd e Pdl, apre a Galan, chiedendogli di fare il primo passo. Ciò provoca la reazione di Filippo Penati, coordinatore della mozione Bersani, che nella dialettica precongressuale risponde che la strategia vincente non può essere quella di rincorrere Galan.
Giustamente il Pd non sottovaluta la questione settentrionale. Sconcertanti sono infatti i dati del sondaggio realizzato da Ipr Marketing nelle scorse settimane. Il consenso alla proposta di adeguare i salari al costo della vita nelle singole regioni d'Italia è trasversale in relazione all’appartenenza politica degli intervistati, mentre è fortemente influenzato dall'area di residenza. Dall'analisi disaggregata per area geografica, emerge una netta polarizzazione delle opinioni: tre cittadini su quattro al nord si dicono favorevoli, al sud si dichiarano contrari. Insomma un'Italia divisa in due, in maniera netta.
Manca però la capacità di elaborare una proposta programmatica che metta insieme le esigenze del nord e del sud. La risposta è invece quella di pensare ad alleanze diverse a seconda delle regioni.
In quest’ottica, il Pd guarda con grande attenzione all’Udc che è al governo con il Pdl in Lombardia e Veneto, e all'opposizione del centrosinistra in Piemonte.
Questa situazione permette a quel partito di alzare il prezzo, ora che anche Berlusconi gli ha offerto esplicitamente la candidatura in Piemonte per Michele Vietti in cambio di un’alleanza in tutte le regioni.
L’Udc prende tempo. Finora si è mossa in un’altra direzione: prospettando un laboratorio politico inedito nel Veneto, pensando a Tabacci come candidato alla presidenza della Lombardia per il centrosinistra e dettando le condizioni di chi sta dentro e chi sta fuori alla coalizione in Piemonte.
In particolare, proprio Vietti, vicesegretario nazionale dell’UdC, ha recentemente affermato che l’alleanza dell’Udc con il Pd in Piemonte può avvenire solo a patto di tenere fuori sinistra radicale e Italia dei Valori, con toni tipici di chi vuole alzare la posta, proprio perché comunque, come lui dice, per le regionali “il matrimonio si avrà da fare”.
Non fa alcun riferimento ai programmi, accenna alle questioni, ma solo come titoli per brandirli contro l’una o l’altra forza politica. Contro la sinistra radicale, usa il trito e ritrito argomento delle infrastrutture, vedi Tav, che abbiamo visto avere un’importanza del tutto marginale nell’attuale governo regionale, e quello dei servizi sociali come ambito di scontro, con lo scopo probabilmente di affermare il sostegno alla sanità privata. I temi che invece identifica come propria bandiera, l’inizio e il fine vita, il matrimonio eterosessuale, la libertà di educazione non possono essere posti come degli aut-aut, sapendo che non solo la sinistra, ma anche il Pd non può rinunciare tout court alla laicità. Ci sono valori non negoziabili, che la Presidente Bresso ha ben difeso e non deve essere preteso alcun passo indietro, come Vietti chiede. Egli tuttavia considera l’UdC radicalmente alternativa rispetto alle posizioni della Lega. Allora, il suo partito non dovrebbe giocare su più tavoli, come in realtà sta facendo, sapendo benissimo di non essere un alleato intercambiabile per il Pdl rispetto alla Lega nelle regioni del Nord.
E in questo dibattito, in Piemonte, come nelle altre regioni, Sinistra e Libertà deve poter esercitare un ruolo, che non può essere quello di differenziarsi semplicemente dal partito della Rifondazione Comunista come alleato fedele del Pd, pronto ad accettare qualsiasi sua scelta nelle alleanze, indipendentemente dai programmi. Sui beni pubblici, sulle politiche sociali e ambientali, sulla laicità dobbiamo fare sentire la nostra presenza. E' una strada tutta in salita, ma è fondamentale provare a spostare il dibattito dalle alleanze a geometria variabile ai programmi.
Neanche noi, come sostiene il Pd, vogliamo giocare a perdere, ma non possiamo accettare che per paradosso si arrivi ad ipotizzare che per vincere contro Berlusconi possa essere il caso di allearsi con lui.
1 commento:
mi riferisco al lungo articolo di Monica Cerutti, che è consigliera comunale di Torino. Però, e mi riferisco al titolo, dovrebbe spiegarci perchè alle elezioni della provincia SD ha fatto una lista loro (la sinistra) costringendo i socialisti a farne un'altra. Risultato: Sel avrebbe potuto avere 2 consiglieri provinciali, ne ha avuto uno solo, di sd. e così ha potuto avere un assessore alle pari opportunità (e svuotamento cestini). Se ne avesse avuti due forse l'assessore sarebbe stato il socialista.Ossola, uscente e esperto. Prima che cominciasse questa campagna elettorale, avevo messo insieme 4 consiglieri della mia circoscrizione per fare un gruppo consiliare SEL. Si è precipitato un giovane burocrate di SD ( che non ha consiglieri nella mia circoscrizione9 a pregarci di non far niente fino a dopo le elezioni. e così nessuno dei 4 aderirà a Sel. E' così che ho deciso che era più utile aiutare Marino nel pd che perdere tempo coi nipotini di Stalin. se su scala nazionale non prevarranno loro, magari ci rivediamo...
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