Un tempo non lontano la “mafia” non esisteva (Nonostante Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino l’avessero radiografata in un saggio, sin dalla fine dell’800). Non esisteva politicamente e non esisteva giuridicamente anche se le sue vittime venivano, come oggi continua ad accadere, in parte uccise e regolarmente inumate (nel cemento armato, in “foibe” di fortuna, e anche nell’acido); e in gran parte soggiogate in una condizione di sudditanza morale e materiale (schiavitù moderna) che rappresenta tutt’ora l’acqua di coltura nella quale i bacilli mafiosi prosperano e si moltiplicano senza soluzione di continuità.
Un salto di qualità per lo Stato di diritto, è consistito quindi nel riconoscerne, della mafia, l’esistenza, sia da un punto di vista sociale e poi politico ed infine giuridico.
Ma che fatica.
Basti ricordare che la prima proposta per istituire una commissione parlamentare che indagasse il fenomeno mafioso risale al 1948, ma per il varo della prima Commissione antimafia si è giunti al dicembre 1962, e solo nel 1965 fu varata la prima legge recante “Disposizioni contro la mafia”, la L. 31 maggio 1965, n. 575. Non bastò però l’assassinio di un suo promotore, perpetrato con la solita vigliaccheria il 30 aprile 1982, per arrivare all’approvazione della legge Rognoni-La Torre, la prima vera legge antimafia capace di riconoscere giuridicamente l’Associazione di tipo mafioso, in tutta la sua dimensione criminale.
Per l’approvazione della legge Rognoni-La Torre, fu infatti necessario attendere che la mafia massacrasse anche il Prefetto Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982. Solo dopo di allora, il 19 settembre il Parlamento italiano si decise ad approvare la legge che ha introdotto l’art. 416-bis nel codice di procedura penale.
Da sempre l’associazione di tipo mafioso gode delle ingorde attenzioni “affettuose” della politica, ma solo con il riconoscimento giuridico di quella fattispecie di reato che si configura nel “concorso (sempre eventuale) esterno in associazione di tipo mafioso”, fattispecie delineata con il lavoro prima e il sacrificio della vita poi, dei giudici Giovanni Falcone e Antonio Borsellino, si è potuto sperare di mettere argine a…… per dirla con le precise parole della Suprema Corte di Cassazione:
«quella particolare forma di contiguità alla mafia comunemente definita come “patto di scambio politico-mafioso”».
Reato che rimane il più “osceno” (nel senso letterale del termine) fra i tanti che un politico italiano possa commettere.
La Suprema Corte di Cassazione nella sua “esemplare” Sentenza, la n. 33748 del 12 luglio 2005 - depositata il 20 settembre 2005, emessa dalle Sezioni Unite Penali, sotto il Presidente Nicola Marvulli, Relatore il giudice Giovanni Canzi (sentenza che ha riformato con rinvio ad altra Corte di Appello, la sentenza di colpevolezza riconosciuta in secondo grado a Calogero Mannino), di tale reato scrive:
“In merito allo statuto della causalità, sono ben note le difficoltà di accertamento (mediante la cruciale operazione controfattuale di eliminazione mentale della condotta materiale atipica del concorrente esterno, integrata dal criterio di sussunzione sotto leggi di copertura o generalizzazioni e massime di esperienza dotate di affidabile plausibilità empirica) dell’effettivo nesso condizionalistico tra la condotta stessa e la realizzazione del fatto di reato, come storicamente verificatosi, hic et nunc, con tutte le sue caratteristiche essenziali, soprattutto laddove questo rivesta dimensione plurisoggettiva e natura associativa.”
E qui siamo, ancora oggi, nell’anno di grazia 2008.
Riprendendo il linguaggio della prima sentenza di assoluzione a favore di Calogero Mannino:
“….non essendo espressione di un sistematico rapporto sinallagmatico* fra Mannino e Cosa nostra, non sarebbero configurabili gli elementi costitutivi del concorso esterno.”
*(sinallagmatico – dicesi di contratto a prestazioni corrispettive)
“Di talchè” (noi comuni mortali diremmo, cosicché) non avendo trovato traccia del contratto di lavoro sottoscritto dalle parti (l’amministratore delegato al personale della mafia, da un lato, e il consulente esterno Calogero Mannino, dall’altra) il Mannino deve considerarsi innocente della fattispecie criminosa attribuitagli.
E ancora citando la prima sentenza di assoluzione…… pur non essendo i comportamenti accertati del Mannino….
“…esenti da censurabili legami e rapporti non occasionali fin dalla seconda metà degli anni ’70 con esponenti delle famiglie mafiose agrigentina e palermitana di Cosa nostra, sarebbero interpretabili in chiave di “vicinanza” e “disponibilità”, secondo una casuale di tipo elettorale-clientelare o anche corruttiva, ma non quali contributi di favore destinati al consolidamento dell’organizzazione mafiosa, sì che in esse, non essendo espressione di un sistematico rapporto sinallagmatico fra Mannino e Cosa nostra, non sarebbero configurabili gli elementi costitutivi del concorso esterno.”
Da cui si evince che…..
L’asimmetria fra la “potenza” della mafia e l’incapacità dello Stato di diritto di difendersi, esaltando la propria natura di Stato di diritto, da queste parti si chiama “garantismo ad una direzione”, il solo tipo di garantismo che a tut’oggi viene esaltato, in questo sempre più disgraziato paese.
Vittorio Melandri
5 commenti:
«Io la mafia, l’ho contrastata fin da quando ero ragazzo – ha detto il senatore – Tutta la mia storia personale è limpida».
Fra virgolette sono riportate sul Corriere di oggi le parole del Senatore Calogero Mannino, ma la frase finale che viene subito dopo, e chiude perentoriamente l'articolo, è del giornalista che firma l’articolo stesso, Enzo Mignosi, e suona così :
“I giudici d’appello gli hanno creduto”.
Poiché il giornalista come noi tutti, non può conoscere le motivazioni della sentenza, affermare, come si deduce dall’uso che fa della lingua italiana, che i giudici che hanno mandato assolto Mannino hanno creduto che lui ha “combattuto la mafia sin da ragazzo, e che la sua storia personale è limpida”, coincide con un preclaro esempio di disinformazione costruita ad arte.
Una vergogna, che colta fra le pagine del più autorevole quotidiano del Paese, e che inserita sotto il titolo gridato – NESSUN RAPPORTO CON LA MAFIA – declina ogni ragionevole speranza di riscatto per un Paese alla deriva, prono ad un adepto di quella organizzazione che si chiamava P2 ed ebbe già il quotidiano di via Solferino nella sua disponibilità.
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Vittorio Melandri
ci sono 2 possibili letture della vicenda:
1 che la stagione di Caselli, basata sui pentiti di mafia, ha prodotto sostanzialmente solo tanto clamore e l'arricchimento degli avvocati
2 che urge un'altra riforma della magistratura, cheimpedisca ai magistrati di svolgere il loro mandato nella regione di cui sono originari
Io sono per la soluzione 2, ma ANM sicuramente no
Il Sen. Mannino è il mentore politico dell'attuale sen. Totò Cuffaro. Che noi Siciliani abbiamo conosciuto quotidianamente (consiglio la visione di Doppio Gioco di Rai Educational) e che tutta l'Italia ha ammirato ad Annozero con la coppola. Certo le sentenze vanno rispettate.
Ma vi sembra normale che ci sia una senatore a vita, condannato per mafia con sentenza definitiva fino al 1980, mi riferisco ad Andreotti sia ospite fisso della tv pubblica.
I processi socio-economici e politici in Sicilia sono molto molto complessi. E mi permetto di dire che non è semplissimo provare in un processo l'invasività della Mafia nella società e nella politica siciliana.
Consiglio la lettura di "Il ritorno del principe" di Roberto Scarpinato e Saverio Lodato.
Domenico Siracusano - Messina
Falcone e Borsellino, solo per citare i più noti, sono eccezioni? Solo se la risposta è si allora la seconda ipotesi va bene.
Sergio Tremolada
Non dico che la magistratura di oggi è collusa, ma l'ambiente pesa, e non solo in sicilia. Secondo me quella di far prestare servizio a tutti i magistrati in una regione dove non hanno parenti, compagni di scuola ecc. è una norma igienica.
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