venerdì 3 ottobre 2008

Melandri: fascismo e razzismo (come vermi nella mela)

Credo proprio che il fascismo sia tra noi, come il razzismo del resto.

Per rassicurarsi e negarlo, e negandolo rassicurarsi, ci si affretta ad evidenziare che i manganelli oggi sono offerti in dotazione ai vigili urbani in camicia azzurra e non sono nelle mani dei fanatici ignoranti che formavano le squadracce in camicia nera, e si dà retta ai parlamentari che usano un linguaggio razzista che più razzista non potrebbe essere, ma si dicono inorriditi quando vengono definiti tali.


Quando nel 1970 sono entrato a far parte della maestranze della Ing. C. Olivetti & c. S.p.A. (praticamente insieme allo Statuto dei diritti dei lavoratori), in una Ivrea svuotata dalle ferie d’agosto, il mio primo istruttore che mi insegnò a smontare e rimontare una macchina da scrivere elettrica che si chiamava Tekne 3, faceva di nome Berberian e credo proprio fosse di origini armene.



Sono passati “solo” trentotto anni da allora, e non solo non si usano più macchine da scrivere, ma le macchine che si usano per scrivere, stanno oggi nel palmo di una mano, e presto anziché pigiare sui tasti delle tastiere rimaste, che siano qwerty o qzerty fa lo stesso, alle macchine parleremo, perché loro scrivano.



Questo per dire che il mondo è cambiato moltissimo e che molti effetti del cambiamento sono ancora di là da venire, figuriamoci se non sono cambiate le forme che razzismo e fascismo hanno via via assunto, nel divenire dei cambiamenti della vita sociale, dentro la quale si annidano come vermi nella mela.



Da sociologo da strapazzo quale sono, azzardo che credo ci siano tre indicatori che meglio e più di altri, rivelino il tasso di fascismo e di razzismo presenti in una società moderna: la paura; la prepotenza; e i poveri che si fanno la guerra tra loro in presenza di un divario sempre più abissale tra poveri e ricchi.



In Italia, da almeno un quarto di secolo, una intera classe politica, di destra e sedicente di sinistra, su tali indicatori, campa alla grande.



Serve più che mai una nuova “Resistenza”.



Vittorio Melandri

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sembra che la diagnosi di Benedetto Croce, fascismo: malattia infettiva della crescita da cui ci si vaccina per sempre, non sia più condivisibile.

Sergio Tre

Anonimo ha detto...

contrariamente a quello che pensava Montanelli (che di politica, pace all'anima sua, non ha mai capito niente...) non ci siamo vaccinati neanche dal berlusconismo, puoi immaginare da una malattia molto più seria come il fascismo. Parafrasando Carlo Rosselli , siamo al "fascismo che torna", certo non con le stesse sembianze. Anche perché, piaccia o non piaccia ai vari Galli della Loggia, il fascismo (e il berlusconismo) sono davvero l'autobiografia della nazione. Leggete quanto scriveva piu' di 40 anni fa Giulio Preti (l'unica espressione da cancellare è il semi-iberico: lo fossimo...):

Il fascismo amava l'equazione "Fascismo=Italia". Equazione che non era del tutto vera, ma era, purtroppo molto vera. E per questo, senza camicie nere e senza retorica da ammazzasette, senza duci e colli, nella sua sostanza, nella sua politica economica, morale e culturale, scolastica, religiosa, nella sua corruzione, nel suo meridionalismo, il fascismo domina ancora l'Italia. E la dominerebbe anche se il partito al potere si chiamasse, anziché DC, PCI o PSI, o comunque. Questo fascismo è l'espressione di un Paese semi-balcanico o semi-iberico, un Paese ignorante, economicamente arretrato, moralmente e culturalmente vecchio, topograficamente (e spiritualmente) marginale, provinciale. E' l'espressione di quasi tutta l'Italia, ma non di tutta. Dal Settecento c'è, quasi sempre in minoranza, ma sempre abbastanza forte, un'Italia europea, moderna, progressista, che tende all'industrializzazione, al ringiovanimento del costume, al ripudio del peso morto delle tradizioni nazionali. L'Italia di Torino e di Milano, contro quella di Roma, Napoli e Firenze (...) Per questi intellettuali il problema è quello di liberare l'Italia dall'Italia -quello di inserire, economicamente, moralmente, culturalmente la vita nazionale italiana nell'unità- concreta, per nulla mitologica o utopistica, della grande vita europea. E che per queso non deve lottare che contigentemente con istituti, autorità e polizia dello Stato italiano: la sua vera lotta è con e contro il popolo italiano, contro i pregiudizi, le tradizioni, i sentimenti, a volte persino gli interessi del popolo

Anonimo ha detto...

Nulla di nuovo sotto il sole: ecco due citazioni che da qualche tempo ho sempre bene in mente.
Purtroppo oggi al posto di Pasolini o di Malaparte ci dobbiamo accontentare, quando va bene, della Guzzanti...

..."L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo,stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo... L'Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d'Europa... L'uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro. Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista"... (da "La Ricotta", Pierpaolo Pasolini, 1963)

..."L’Italia è sempre stata così. Una minoranza di gente seria, scontenta, delusa, di fronte ad un popolo in miseria, nell’ignoranza, curvo sotto una banda di ignobili profittatori, di cortigiani, di traditori, di vigliacchi, di sbirri e di preti, di bravi e di spie"... (da "Muss, il grande imbecille", Curzio Malaparte, 1943)

Mentre questa bella battuta di Cuoco è utile a ricordarci la differenza tra leadership politica e velleitarismo suicida o, al meglio, inconcludente. Da tenere presente - ammesso e non concesso che ci interessi o si creda ancora di poter dare alle nostre idee un riscontro concreto nell'azione politica.

..."Chi può dire che le famiglie Serra, Colonna, Pignatelli... fossero famiglie oscure? Che Pagano, Cirillo, Conforti fossero uomini senza nome?... Ma essi aveano un nome tra i saggi, i quali a produr la rivoluzione sono inutili, e non ne aveano tra il popolo, che era necessario, ed a cui intanto erano ignoti per esser troppo superiori. Paggio, capo de' lazzaroni del Mercato, è un uomo dispregevole per tutti i versi; ma intanto Paggio, e non Pagano, era l'uomo del popolo, il quale bestemmia sempre tutto ciò che ignora"... (dal "Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799", Vincenzo Cuoco, 1806)