Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
martedì 9 aprile 2013
Lorenzo Borla: La spesa pubblica
La spesa pubblica
Vorrei lasciare per un attimo i piani “alti” della discussione politica per atterrare sul duro terreno dei fatti, parlando di spesa pubblica. Da sempre i cittadini chiedono soldi allo Stato. Lo fanno in mille modi, ricorrendo di regola a complicate ed estenuanti argomentazioni, a giri di parole, a un fraseggio che se fosse raccolto in un volume supererebbe per dimensione l’Enciclopedia Treccani. Ora, i soldi dello Stato sono i nostri, cioè quelli che lo Stato preleva ogni anno “dalle nostre tasche” direttamente e indirettamente, attraverso infiniti canali e infiniti trucchi (per esempio, le bollette del gas, luce, benzina eccetera contengono più tasse che non spesa per le materia prima). Ebbene, nel momento in cui noi cittadini chiediamo soldi allo Stato, chiediamo, in effetti, di ridistribuire le risorse raccolte, in modo a noi più favorevole.
Parlo di “noi” cittadini, riuniti in gruppi di interesse. Per esempio gli abitanti dell’Aquila che chiedono la (sacrosanta) ricostruzione della città. Per esempio i carcerati, che chiedono (giustamente) più spazio. Per esempio le aziende in crisi, che hanno bisogno di aiuto per sopravvivere. Per esempio, gli esodati, i disoccupati, i poveri, i derelitti, gli emarginati. Ci sono anche altri gruppi, le cosiddette lobbies, che fanno meno rumore ma ottengono forse di più, dalle casse dello Stato, per i gruppi che rappresentano. E proprio perché sono lobbies, si intuisce che il loro lavoro è quello di dirottare risorse a proprio favore, anche a scapito della equità sociale. Senza dimenticare i mille parlamentari, che hanno dietro “grandi elettori” a cui devono riconoscenza per la carica. Vedi i numerosi eletti a vari livelli istituzionali con l’appoggio delle mafie, che in questo modo acquisiscono preziose protezioni.
Ora, fino alla crisi economica esplosa nel 2008/2009 esisteva un modo molto semplice per accontentare un buon numero, diciamo, di “bisognosi”. Non bastando i soldi prelevati ogni anno ai cittadini, si ricorreva al deficit, che diventava debito pubblico. Nel 2001 il debito pubblico era di 1300 miliardi. Oggi, come tutti sappiamo, è di 2000 miliardi. E’ chiara la responsabilità dei governi Berlusconi per non averne saputo controllare il decorso. Tanto è, che nel 2009 il Paese si è affidato a Mario Monti, che ha dovuto ricorrere a misure drastiche per “evitare il baratro”. La conseguenza è che la pressione fiscale è arrivata oggi al 52% della ricchezza prodotta. Il povero Monti ne porta il fardello, ma quello che forse bisogna ricordare è che, attraverso Monti, ha agito la longa manus dell’Europa, nelle fattispecie della Bce, Fmi, e Commissione europea (la cosiddetta “troika”) e un convitato di pietra che si chiama Germania.
Allontanata l’emergenza, quest’anno potremo fare debito aggiuntivo nella misura di tre punti di Pil (una cinquantina di miliardi), già tutti impegnatissimi, tanto è vero che il pagamento dei crediti alle imprese deve limitarsi a 20 miliardi, e già abbiamo avuto dall’Europa due avvisi di stare bene attenti a non sforare il limite, altrimenti... so’ cazzi. Non ci illudiamo, allora, di avere mano libera nelle decisioni di spesa. Possiamo fare un gran baccano, come Grillo, e magari uscire dall’euro ma, finché ci stiamo, siamo sotto strettissima osservazione e controllo. A conferma di ciò, il ministro Grilli ha dovuto volare a Bruxelles per dare assicurazioni e avere in sostanza il permesso di spendere i venti miliardi in questione. Ripeto, per essere chiaro: le invocazioni che sentiamo e leggiamo ogni giorno nei media, del tipo , servono solo a celebrare chi le pronuncia. Semplicemente non siamo liberi di spendere come vogliamo. Teniamo anche presente che i tre punti di Pil di spesa in più previsti per quest’anno, comunque aumenteranno il debito e gli interessi da pagarci sopra.
Tutto questo vuol dire tre cose. 1. La prima è che davvero sono finiti i soldi. A Roma direbbero che non c’è più trippa per i gatti. Nessun appello, per quanto straziante, ha qualche chance di essere soddisfatto. Dunque erano fantasie, parole in libertà (a fronte della realtà dei fatti), tutti quei discorsi sulla necessità di adottare politiche keynesiane per rilanciare l’economia. Con quali risorse? 2. La seconda cosa, è che i giochi sono fatti. Chi ha dato, ha dato, ha dato, chi ha avuto, eccetera. Voglio dire che le ricchezze accumulate nel corso dei decenni dalle famiglie italiane (che non sono insignificanti: 3.500 miliardi di euro solo la ricchezza liquida) si sono distribuite in maniera eccessivamente iniqua (cosa dirà Giuliano Amato, se diventa presidente della Repubblica, agli esodati, ai disoccupati, ai pensionati da 500 euro al mese, lui che ne prende netti, al mese, almeno 20.000, se non di più?). Sarà un compito durissimo per qualunque governo, posto che voglia provarci, riportare un po’ di giustizia economica.
3. La terza cosa è che una semplice soluzione ci sarebbe, per contenere il debito: è quella di tagliare la spesa pubblica. Ma è impraticabile. La spesa pubblica è composta all’80 per cento da salari, stipendi, emolumenti, consulenze eccetera. Tagliare la spesa pubblica vuol dire mandare a casa un bel po’ di dipendenti pubblici diretti o indiretti. Si rischierebbe la paralisi dello Stato, che già funziona poco e male, nonché il rischio della rivolta sociale. Le conclusioni politiche sono tragiche per la sinistra e il sindacato, che sostengono una spesa pubblica intoccabile nella sua struttura, mentre una vera riforma vorrebbe dire, non spendere meno, ma trasferire le risorse da impieghi improduttivi a investimenti che producano ricchezza. La spesa improduttiva include i troppi parassiti della Pubblica amministrazione, i troppi parassiti della Politica, lo scatafascio e gli sprechi della Sanità in mezza Italia, eccetera, eccetera, eccetera.
Lorenzo Borla
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Caro Lorenzo, tutto molto condivisibile, peccato che lo scorso anno (il 2012) i partiti italiani fecero di tutto per affossare l'unica riforma che avrebbe rimesso un po' in sesto le finanze italiane, in particolare la sanità, l'introduzione dei COSTI STANDARD nelle forniture sanitarie, che, probabilmente, avrebbe fatto risparmiare agli italiani qualcosa come 20 mld anno (i tecnici calcolarono addirittura 28), ed il tutto per continuare a lasciare nelle mani delle regioni gli appalti per le forniture, vero buco nero del deficit italiano. La motivazione fu che era difficile selezionare le tre regioni "virtuose" su cui calcolare la media dei costi standard.
La realtà è che per la propaganda pre-elettorale era difficile accettare che le tre regioni "migliori" fossero la Lombardia, la Toscana e la Basilicata. Pensa a quale disastro è giunta la sanità se la Lombardia, nota per i suoi "sprechi" (eufemismo) è la più virtuosa!
Fraterni saluti
Dario Allamano
Posta un commento