mercoledì 24 aprile 2013

Diego Dilettoso: La crisi del PD vista da Parigi

L’attualità degli ultimi giorni ha mostrato, in tutta la sua gravità, lo scollamento in atto tra il PD ed il suo elettorato. Non è certo l’elezione sul filo di lana di Deborah Serracchiani alla presidenza del Friuli Venezia Giulia ad invalidare questo dato di fatto. D’altronde, è ormai evidente a chiunque come gli eterni tatticismi piddini rispondano, innanzitutto, a logiche spartitorie del potere. Non si spiegherebbe altrimenti la “riedizione politica” del governo Monti che si sta profilando in queste ore. Per “motivare l’immotivabile” agli occhi degli elettori, i dirigenti democratici sostengono come in questa fase sia necessario superare le divisioni storiche tra “destra” e “sinistra” in nome di alcune “riforme condivise”. Per quanto quest’ultime continuino ad essere presentate in modo vago – ed il rapporto dei dieci “saggi” non contribuisce certo alla chiarificazione – resta largamente intuibile la direzione che queste prenderanno. Secondo i diktat della famigerata troika oltreché della Germania, la parte economica di queste “grandi riforme” coincide con il sostanziale restringimento delle politiche pubbliche nazionali, che tendono a diventare, sempre di più, dei meri esercizi di contabilità finanziaria al ribasso. In questo senso, si può sostenere che l’implosione del PD sia solo una delle possibili manifestazioni di una crisi d’identità più profonda, che tocca quasi tutti i partiti della sinistra democratica europea. Pur con tutti i distingui del caso, anche il Parti socialiste francese sta vivendo al suo interno una crisi lacerante. Numerosi simpatizzanti, quadri, dirigenti, parlamentari, e perfino ministri socialisti, si interrogano, sempre più apertamente, sugli orientamenti strategici del governo e del Presidente. In effetti, c’è di che porsi delle domande: ad appena un anno dalla sua elezione, Hollande ha già disatteso la maggior parte delle sue promesse. Riassumendo: ha “regalato” 20 miliardi di sgravi fiscali alle aziende per stimolare un misterioso “choc di competitività”, ha aumentato le tasse a tutti (anche se, contrariamente a quanto si pensa, le ha alzate soprattutto alle classi medie), non ha ancora fatto nulla per quanto riguarda la lotta alle delocalizzazioni, l’evasione fiscale, ecc. Per quanto riguarda la politica bancaria, aveva promesso di separare le attività di deposito da quelle speculative, ma anche questo progetto è rimasto senza seguito. A livello europeo, ha accettato, dopo qualche timida protesta, il fiscal compact, ricevendo, in compensazione, un magro quanto fantomatico “patto per la crescita”. Più, in generale, ha subito la Welt politik di Angela Merkel: in sostanziale continuità con il quinquennio sarkozista, ha preferito, di fatto, schierarsi dalla parte della Germania contro i paesi del sud dell’Europa – basti pensare alla sorte toccata, di recente, a Cipro. Per il resto, la Chambre des Députés ed il Senat sono rimasti bloccati per quasi un anno a dibattere sul Mariage pour tous (il matrimonio aperto alle coppie omosessuali): 175 ore di discussione in seduta plenaria a cui vanno addizionate le decine e decine di ore di dibattito delle commissioni parlamentari. Non si capisce bene perché ci sia voluto così tanto tempo per far approvare un progetto di legge che era uno dei capisaldi del programma presidenziale di Hollande (e anche di Ségolène Royal nel 2007) e che raccoglie il favore della maggioranza dei francesi (58%). Questo eternizzarsi dei dibattiti ha, infatti, contribuito ad acuire le tensioni tra i “pro” e gli “anti” Mariage pour tous: d’altronde, la Francia non è mai stata quel monolitico “bastione della tradizione laica” che viene dipinto in Italia; 220 anni dopo la Rivoluzione francese, sussistono ancora delle forti pulsioni identitarie in seno alle diverse confessioni religiose. Nasce il dubbio che, in un periodo di grave crisi economica, l’esecutivo cerchi, maliziosamente, di concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi di società piuttosto che su quelli sociali. Per rispolverare un po’ di terminologia marxista, la presidenza Hollande sembra privilegiare, più o meno scientemente, le “strutture” alle “sovrastrutture”. A coronare questa “tempesta perfetta” si sono aggiunti alcuni scandali che hanno fatto precipitare la (già bassissima) popolarità del Presidente. Recentemente, la stampa ha scoperto che il Ministro del Budget, Jerome Cahuzac, aveva un conto cifrato in Svizzera – il che è il colmo per un ministro il cui compito consisteva proprio nel combattere l’evasione fiscale… Il risultato è che, dopo appena un anno di mandato, il 75% dei francesi giudica Hollande un cattivo presidente. D’altra parte, la destra si è molto radicalizzata, ed i militanti dell’UMP chiedono con sempre maggiore insistenza un accordo elettorale con il Front National. Se la situazione non cambierà, ci sono discrete possibilità che il secondo turno delle presidenziali del 2017 si svolga tra l’estrema-destra di Marine Le Pen e la destra sempre più estremista ed affarista di Nicolas Sarkozy e Jean-François Copé. Si ritorna al punto di partenza: la crisi del PS come del PD sono, almeno in parte, il frutto di trent’anni di sudditanza culturale nei confronti dell’ideologia mercatista. Per Hollande come per Bersani e per Renzi, il ruolo della politica sembra limitarsi all’accompagnamento, più o meno timido, delle grandi mutazioni economiche. Quest’arrendevolezza nei confronti del liberismo suona tanto più sospetta in paesi latini come l’Italia e la Francia, in cui questa teoria economica si è quasi sempre declinata in forme corrotte – Sarkozy (ma anche Cahuzac) sono i degni eredi del clima culturale da “enrichissez-vous” già in voga ai tempi di Guizot... Pochi anni fa, il grande storico Tony Judt si era posto alcune domande sul ruolo della sinistra che ancora oggi restano d’attualità: “Perché ci riesce tanto difficile anche semplicemente immaginare una società diversa? Perché sembra al di sopra delle nostre forze concepire un assetto diverso, che vada a vantaggio di tutti? Siamo condannati a oscillare all’infinito fra un ‘libero mercato’ disfunzionale e i tanto sbandierati orrori del ‘socialismo’?” (Guasto è il mondo, Bari, Laterza, 2012, p.29) È ovvio che un socialista del 2013 non può limitare la sua azione alla difesa del Welfare State figlio delle Trente glorieuses. Le proposte per una maggiore “giustizia sociale” devono adattarsi alle realtà di un mondo globalizzato. Ma questa necessaria presa di coscienza non può coincidere, sempre e comunque, con l’accettazione passiva della regressione dei diritti sociali e civili, al contrario… Ci troviamo ancora in una fase in cui non sono chiari gli esiti dei conflitti interni alle nostre società. Tuttavia, è facilmente pronosticabile che dalle macerie dei corsi e dei ricorsi storici sorgeranno “nuove idee” ed anche alcuni “uomini di buona volontà”. In concreto, è ormai ineludibile la formazione in Italia di un partito “socialista” e “liberale” (ovviamente, non liberista) a sinistra del PD; in Francia, è probabile che le giovani generazioni di militanti e di quadri non restino a guardare le vecchie classi dirigenti mentre affondano il Parti socialiste. È difficile fare pronostici sulla forma ed i contenuti che assumeranno le istanze del progresso, ma sarebbe già una bella conquista se si ispirassero, per davvero, a due principi immortali: “Giustizia” e “Libertà” Diego Dilettoso

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